Ian Angus, «Anthropocene»: capitalismo fossile e crisi ecologica
Anthropocene (greenMe)

Il libro Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi del sistema terra di Ian Angus è stato pubblicato la prima volta nel 2016, ma solo da luglio 2020 è disponibile tradotto in italiano grazie al ragguardevole lavoro di Alessandro Cocuzza, Vincenzo Riccio e Giuseppe Sottile affinché avvenisse la pubblicazione con la casa editrice Asterios.

Il libro Anthropocene è suddiviso in tre parti oltre ad avere al suo interno l’introduzione di Giuseppe Sottile, la prefazione di John Bellamy Foster, un’appendice dello stesso autore e la post-fazione di Alessandro Cocuzza. La prima e la seconda parte s’intitolano rispettivamente: Una situazione senza precedenti e Capitalismo fossile, la prima è composta da sei capitoli, mentre la seconda parte da cinque capitoli. Mentre la terza parte s’intitola: L’alternativa, ed è costituita da due capitoli.

Il testo si struttura su una doppia tesi. La prima esplica un dato di fatto: stiamo già vivendo in una nuova era geologica succeduta all’Olocene (iniziato circa 12.000 anni fa), ossia l’Anthropocene. Inizialmente l’autore descrive – suffragato da numerosi dati scientifici – gli aspetti prettamente biofisici dell’Anthropocene, in modo da comprendere le mutazioni qualitative delle caratteristiche fisiche vitali del sistema terrestre quali conseguenze abbiano su tutti gli esseri viventi. La conclusione è che le recenti trasformazioni testimoniano il fatto che l’umanità è la principale forza geologica ad avere una notevole influenza sull’avvenire del pianeta Terra.

Attraverso la seconda tesi viene invece analizzata l’incombente crisi dell’intero sistema Terra da una prospettiva socio-ecologica, quindi in che modo sia mutato il rapporto della società umana con il mondo naturale. In virtù di ciò s’evidenzia come non sia più possibile conciliare la logica ipertrofica e distruttiva del capitalismo fossile con la salvaguardia della vita terrestre. Ragion per cui Ian Angus dichiara espressamente la necessità d’un contro-potere ecologico che possa tracciare un nuovo e divergente cammino: l’eco-socialismo.

Anthropocene, The Human Epoch (Cinematographe)

Anthropocene: Capitale contro Natura

La Terra brucia e la maggior parte dell’umanità – che non ha alcun interesse nella riproduzione costante degli attuali rapporti di produzione – ha, per ora, solo due possibilità: salvarla o accettare una futura e certa estinzione di massa, sradicare il capitalismo o distruggere la Terra, tutelare determinate classi sociali o salvaguardare la Terra e chi la abita.

Anthropocene smaschera il feticcio della crescita insito nel capitalismo, difatti tale meccanismo auto-perpetuantesi di espansione smisurata ha inevitabilmente provocato una pericolosissima frattura metabolica nell’interazione uomo-ambiente. Naturalmente tutto ciò si sta manifestando attraverso molteplici e gravissime crisi ecologiche. Dunque, l’affermazione del capitalismo fossile e la conseguente colonizzazione dell’intera superficie terrestre minacciano ora più che mai la conservazione della biodiversità e della civiltà umana.

Fino a non molto tempo addietro nella storia della Terra l’attività antropica è stata una forza irrilevante nella dinamica del pianeta, invece ora l’umanità ha un impatto devastante sulla biosfera, sugli ecosistemi e sugli altri aspetti del ciclo terrestre. L’attività umana eguaglia o addirittura prevarica la mutagenesi dei differenti cicli biogeochimici. Infatti, l’industrializzazione, l’urbanizzazione, l’automobilizzazione e la nuclearizzazione in ambito militare figlie della «Grande Accelerazione» sono state i prodromi dell’imminente ecocidio.

Pertanto, Ian Angus enuclea i fattori che caratterizzano l’Anthropocene: innanzitutto in poche generazioni l’umanità sta esaurendo le riserve di combustibili fossili generatesi nell’arco di milioni d’anni. Il business del petrolio e del gas, in termini di capitalizzazione, equivale a circa 6,729 trilioni di dollari: capitalismo e combustibili fossili sono inscindibili.

Ciò è la principale causa d’una concentrazione media globale di CO2 che supera le 400 ppm: non si è constatato un simile valore dal Pleistocene, ossia tre milioni di anni fa, quando la temperatura era di 3° o 4°C più elevata di oggi. Successivamente una parte di tali emissioni di gas serra, più i pesticidi e i fertilizzanti adoperati nell’agribusiness contenenti azoto e fosforo si riversano negli oceani scatenando l’acidificazione e l’eutrofizzazione delle acque a loro volta causando una rilevante asfissia della vita nell’ecosistema acquatico. Ovviamente l’inquinamento atmosferico e del suolo che ne deriva ha nefasti effetti sulla salute, infatti può causare malattie respiratorie, malattie cardiache e neoplasie.

Inoltre il sottile strato atmosferico di ozono (O3) funge da scudo contro le radiazioni solari, dunque la sua rapida riduzione causata da una famiglia di gas sintetici (CFC) compromette la base delle catene alimentari oceaniche, la fotosintesi delle piante verdi e negli uomini provoca gravi patologie.  

Un’altra enorme piaga causata dal capitalismo fossile è la sovrapproduzione di plastica che solo nel 2018 ha raggiunto quota 310 milioni di tonnellate e di questo passo nel 2050 il peso della plastica riversata negli oceani supererà quello di tutti i pesci.

Anthropocene, flagello della plastica (VignaClaraBlog)

Anche lo smodato utilizzo d’acqua potabile per scopi agricoli sta esaurendo le principali falde acquifere mentre lo scioglimento dei ghiacciai sta prosciugando le fonti d’acqua potabile e innalzando il livello del mare. A tutto ciò si unisce anche la scriteriata deforestazione, svolta perlopiù per l’espandersi degli allevamenti intensivi o per scopi agricoli. Per giunta dalla distruzione degli habitat terrestri hanno origine molteplici epidemie (SARS, Ebola, aviaria, etc.). Quasi il 50% della superficie terrestre è stato trasformato dall’attività antropica.

Tutto questo lede inevitabilmente la biodiversità e danneggia irreversibilmente il clima. Il 40% degli insetti è sparito a causa del surriscaldamento globale e il 60% degli animali negli ultimi cinquant’anni è scomparso. Il 30% circa degli stock ittici pescati a fini commerciali è sovrasfruttato o già esaurito e il 60% è al limite della disponibilità.

L’ecologista Barry Commoner scrisse: «La crisi ambientale rivela gravi incompatibilità tra il sistema imprenditoriale privato e le basi ecologiche che lo sostengono».

Dunque, attraverso il testo di Ian Angus si comprende che il sistema Terra da tempo ha raggiunto un punto di non ritorno dirigendosi inesorabilmente verso la catastrofe. Il caos climatico ne è l’ulteriore dimostrazione. Ciononostante i miopi leader mondiali con le annesse coalizioni politiche e le fameliche corporation non considerano seriamente le criticità relative all’Anthropocene. L’obiettivo dei 2°C adottato a Parigi è stato definito da molti climatologi una capitalis poenae per i miliardi di persone in Africa, in Asia e in America Latina. Infatti nel breve termine questo obiettivo è considerato il limite tra il cambiamento climatico pericoloso e quello estremamente pericoloso. Inoltre l’OMS ritiene che tra il 2030 e il 2050 il nuovo regime climatico causerà ogni anno milioni di morti e il bilancio sarà in tendente aumento. Le implicazioni per la salute collettiva e per la sopravvivenza umana sono terrificanti.

Il capitalismo fossile del XXI secolo è caratterizzato da una disuguaglianza estrema: nel 2017 l’1% più ricco della popolazione mondiale deteneva una ricchezza pari a quella del restante 99% e 8 persone da sole ne possedevano più di 3 miliardi e mezzo di persone più povere. Perciò le vittime più colpite saranno i più indigenti e i cambiamenti climatici avranno un impatto catastrofico sulla produzione alimentare, sulla malnutrizione già ampiamente diffusa, inoltre causeranno siccità, desertificazione e la conseguenza sarà un vero e proprio apartheid ambientale con inevitabili esodi di massa e feroci conflitti etnico-sociali nelle aree più povere.

L’establishment afferma costantemente di voler rispettare tale soglia ma è evidente che i governi e le aziende non desiderano una riduzione della dimensione complessiva dell’economia globale. Del resto, la cosiddetta green economy è una maniera astuta per far sì che i limiti planetari non vengano percepiti come vincolo alla crescita, bensì come inedita opportunità di business, come fondamento di un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica.

È fin troppo palese: il riscaldamento globale in atto è il massimo esempio di fallimento del mercato che abbiamo mai visto.

«Il mondo moderno venera gli dèi della velocità, della quantità e del profitto rapido e facile; da questa idolotria sono nati mali mostruosi». (Rachel Carson).

Anthropocene, riscaldamento globale (Studia Rapido)

Crisi del sistema Terra: ecosocialismo o barbarie!

Il libro Anthropocene ci mostra che il capitale sfrutta il lavoro umano e la natura, sovraproduce e induce necessariamente al sovraconsumo pur di massimizzare i profitti con l’unico scopo di accumulare sempre più capitale e ripetere il processo tendenzialmente all’infinito. Dunque, tale logica obbliga tutte le aziende a incrementare la produttività e ridurre i costi. Quindi: depredazione, inquinamento, rifiuti e devastazione ambientale sono parte costituente del capitalismo e ciò lo rende incompatibile con una civiltà realmente ecologica.

Il pianeta Terra non ha risorse infinite ed è necessario secondo Ian Angus costruire un’alternativa eco-socialista dove l’economia è organizzata dalla grande maggioranza al fine di soddisfare i reali bisogni sociali e che non sia dedita al perverso produttivismo in modo da ingigantire il profitto privato di alcune oligarchie.

Dunque, Ian Angus delinea i punti focali d’una nuova società basata sulla democrazia pluralista e partecipativa, sull’antimperialismo, sull’egualitarismo, sulla comune cooperazione e pianificazione economica, sul pieno sviluppo del potenziale umano, sul valore d’uso e non di scambio dei beni, sulle energie rinnovabili, sul riciclo e sul disinquinamento, sull’accesso universale ai beni e ai servizi essenziali e sulla giustizia socio-ambientale.

Quindi spetta a tale contro-potere ecologico fare la propria storia. La lotta contro il capitalismo e quella contro la devastazione ambientale sono strettamente connesse.

Bisogna cambiare il sistema ormai degenerato e non il clima, di conseguenza estirpare la barbarie già in atto e urge farlo sia per la maggior parte dell’umanità ancora in vita sia per le future generazioni. Questa è ora l’unica possibilità concreta di cambiamento che nasce in seno all’Anthropocene.

«Anche un’intera società, una nazione, e anche tutte le società d’una stessa epoca prese complessivamente, non sono proprietarie della terra. Sono soltanto suoi possessori, i suoi usufruttuari e hanno il dovere di tramandarla migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive». (Karl Marx).

Gianmario Sabini

Gianmario Sabini
Sono nato il 7 agosto del 1994 nelle lande desolate e umide del Vallo di Diano. Laureato in Filosofia alla Federico II di Napoli. Laureato in Scienze Filosofiche all'Alma Mater Studiorum di Bologna. Sono marxista-leninista, a volte nietzschiano-beniano, amo Egon Schiele, David Lynch, Breaking Bad, i Soprano, i King Crimson, i Pantera, gli Alice in Chains, i Tool, i Porcupine Tree, i Radiohead, i Deftones e i Kyuss. Detesto il moderatismo, il fanatismo, la catechesi del pacifismo, l'istituzionalismo, il moralismo, la spocchia dei/delle self-made man/woman, la tuttologia, l'indie italiano, Achille Lauro e Israele. Errabondo, scrivo articoli per LP e per Intersezionale, suono la batteria, bevo sovente per godere dell'oblio. Morirò.

1 commento

  1. Grazie per questa recensione così sentita! Apprezzo che una generazione ormai così lontana dalla mia sia animata da simili idealità e capacità critiche da riconoscere i problemi con cui siamo costretti a convivere e il valore di un libro e di una proposta come quelli di Ian Angus. Questo mi dà speranza per il futuro! Non voglio naturalmente sottintendere che la cosa mi sorprenda, ma conosco quali effetti deleteri abbiano avuto sulle coscienze di grandi e meno grandi, e ormai da un pezzo, la crisi economica di lungo periodo che stiamo attraversando e il potere ipnotico e rincoglionente dei media e della società dello spettacolo nel suo complesso… Ciò nonostante, anche il nostro paese sta aprendosi a un dibattito nuovo, come attestano fecensioni come questa e la nascita di numerosi circoli, come quelli di Extinction Rebellion, con la loro organizzazione capillare e la loro protesta pacifica.
    Il panorama italiano, forse anche a causa del fatto di aver ospitato il più importante partito comunista europeo del passato, che si è sempre ispirato al principio del primato della politica, ormai da decenni si mostra purtroppo impreparato a cogliere e a inserirsi in un dibattito non solo teorico, che nei paesi anglosassoni è altrimenti assai vivace. Mi riferisco prima di tutto all’analisi del cosiddetto marxismo empirico, gravido di studi eccezionalmente incisivi sullo stato di salute del capitalismo, e quindi all’ampio dibattito suscitato, in ambito teorico e politico, da quell’ampia congerie che si può ricondurre oggi sotto il nome di Ecosocialismo, e che ha importantissimi punti di riferimento, tra gli altri, nella Monthly Review e in Climate&Capitalism. La prima diretta e animata in modo stimolante da John Bellamy Foster, la seconda appunto da Ian Angus.
    Una breve ricerca online può fornirci il quadro chiaro di quanto le questioni affrontate da Angus siano seguite in ambito teorico da attivisti e studiosi delle università di tutto il mondo, e intendo proprio tutto, dalla Nuova Zelanda al paese più piccolo, mentre nel Belpaese siano quasi sconosciute. Se su questo fronte siamo in ritardo, fortunatamente, come dicevo, sul piano dell’impegno e delle battaglie si registra una nuova consapevolezza, che mi auguro diventi sempre più diffusa.
    Grazie, Gianmario Sabini, per la seria e partecipata attenzione riservata al libro di Angus!
    Preciso anche qui che il nostro è stato un lavoro da “attivisti”, non retribuito né incentivato dalle vendite. Lavoriamo, come si diceva una volta, per la causa: in questo caso, perché crediamo in una società più giusta e rispettosa dei diritti dell’ambiente. E se abbiamo fatto della pubblicità è stato solo e soltanto perché crediamo nel libro, che ci ha impegnato in un lungo lavoro di traduzione (speriamo nella ristampa, che dovrebbe essere prossima, di eliminare alcuni refusi ed errori, non sostanziali, sfuggitici nella fretta impostaci dall’editore per mandare in stampa il libro) e perché è costato all’editore un migliaio di euro in diritti di traduzione.

    Spero che il libro e la tua (mi permetto il “tu”) recensione e le altre recensioni possano circolare il più possibile, in modo da far crescere la consapevolezza rispetto a un problema di cui non finiremo di sottlineare l’urgenza. Ancora grazie!

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