Si definisce zoonosi ogni infezione animale trasmissibile agli esseri umani. Quasi tutte le zoonosi vengono trasmesse da sei tipi di microrganismi patogeni: virus, batteri, funghi, protisti, prioni e vermi. Le malattie infettive sono dappertutto e quando un patogeno passa da un «ospite serbatoio» non umano al primo ospite umano – paziente zero – e si radica nel nuovo organismo in quanto agente infettivo, svolge il salto di specie ossia avviene lo «spillover».
Tale salto interspecifico non è una rarità, anzi è un fenomeno molto diffuso. Infatti, si è verificato per oltre il 60% circa delle malattie infettive dell’uomo oggi note (AIDS, influenza, leptospirosi, febbre gialla, SARS, Ebola, antrace, covid–19 etc.). Questi patogeni non agiscono coscientemente, bensì il loro evolversi è la risultante della naturale logica selettiva, poiché tali strategie virali, si sono dimostrate efficienti sia in termini di sopravvivenza sia di successo riproduttivo. Ciò conferma l’antica verità darwiniana: tutte le specie sono indissolubilmente connesse tra di loro, nelle origini, nell’evoluzione, nella salute e nella malattia.
Virus: veleni invisibili
Tra i vari patogeni esistenti, i virus sono i più problematici perché sono furtivi, duttili ed estremamente letali. Un virus è privo del meccanismo di auto-replicazione e può riprodursi solo all’interno di una cellula vivente, perché è un «parassita obbligato intracellulare». Il suo genoma, proporzionale alle sue minuscole dimensioni, è semplificato al massimo ed è funzionale alle esigenze d’una vita totalmente parassitaria, deve di conseguenza sfruttare l’organismo ospitante per poter proliferare. La struttura e la capacità genetica di questi microrganismi sono modellate per ottenere tali scopi con il minimo dispendio di energie. La strategia adottata è silente e consiste nell’annidarsi in un ospite serbatoio – roditori, uccelli, insetti, pipistrelli – senza arrecare danni o quasi e ricevere asilo incondizionatamente. Inoltre, tra le caratteristiche che rendono un organismo serbatoio per definizione, c’è proprio l’asintomaticità.
Dunque, il materiale genetico è in grado di contaminare le cellule dell’ospitante. Il virus entra in contatto con la membrana della cellula bersaglio attraverso degli aculei posti sulla parte esterna della proteina che lo avvolge, il capside o il pericapside a seconda del virus, e poi rilasciano la singola unità virale contenuta internamente, il virione. Le istruzioni per creare nuovi virioni identici variano in base al materiale genetico che può essere RNA o DNA.
Ogni variante presenta vantaggi e svantaggi, ma le differenze sostanziali sono nei tassi di mutazione. Il tasso di mutazione nei virus a DNA è relativamente basso invece i virus a RNA mutano con una frequenza estremamente elevata. Quest’ultimi evolvono con eccessiva rapidità, forse più velocemente di ogni altro tipo di organismo terrestre: ciò li rende imprevedibili, e determina l’elevata pericolosità dei fenomeni di zoonosi. In questa cerchia rientrano i coronavirus (tra cui SARS–CoV).
Infine il permanere parassitariamente nell’anonimato del virus è possibile lì dove v’è una elevata biodiversità e il bioma è relativamente incontaminato in modo tale da garantire anche un equilibrio microbiologico. Tuttavia ogni equilibrio biologico è contingente, e molte volte brusche o lievi alterazioni dell’equilibrio ecologico possono far uscire allo scoperto determinate malattie infettive. Quando avviene la zoonosi il virus entra in un nuovo organismo e la tregua precedente si infrange: la reciproca tolleranza non è trasferibile, l’equilibrio si spezza, s’instaurano nuove relazioni. Il virus può trasformarsi in un innocuo passeggero, in un lieve problema o in una piaga biblica.
Zoonosi e covid-19: pandemia della globalizzazione
Le zoonosi si situano all’interno delle complesse connessioni biofisiche che formano gli ecosistemi, sono altresì la causa di circa un miliardo di casi di malattia all’anno e di milioni di morti nel mondo, i cui fattori scatenanti sono sovente antropici. Dunque, le epidemie di zoonosi sono quasi sempre la conseguenza d’una anarchica organizzazione della produzione e del consumo che comporta: surriscaldamento globale, deforestazioni, urbanizzazione scriteriata, estrazioni minerarie, agricoltura e allevamenti intensivi, mancanza di adeguati sistemi fognari, di acqua potabile e di basilari strutture sanitarie.
L’autoperpetuantesi ciclo capitalistico stimola lo «spillover» tra le faune selvatiche e le nascenti aree rurali soggette a una selvaggia urbanizzazione, e con ciò s’incrementano notevolmente le possibilità di fomentare catastrofi epidemiologiche. Popolazione molto numerosa e forte densità facilitano un maggior tasso di trasmissione, inoltre le condizioni di affollamento deprimono la risposta immunitaria, mentre una produttività elevata fornisce una scorta di unità più suscettibili all’infezione che si rinnova continuamente. Questo è il combustibile per il diffondersi delle trasmissioni virali, e dunque anche della zoonosi.
Le corporation possono semplicemente esternalizzare, spesso impunemente, i costi delle proprie operazioni proficue economicamente e rischiose sul piano ambientale ed epidemiologico su gran parte della popolazione e non solo: dagli stessi animali ai consumatori, dagli ecosistemi locali ai governi nazionali. L’inarrestabile sottrazione di risorse a nocumento degli ecosistemi del pianeta interrompe l’ordinario ciclo ecologico, provocando così una pericolosissima frattura metabolica nell’interazione uomo-ambiente e di conseguenza portando la maggior parte della popolazione globale – soprattutto i poveri – a doversi relazionare con patogeni rischiosissimi un tempo marginalizzati.
È evidente che il vertiginoso incremento degli incidenti virologici, nel nostro secolo, così come l’incremento della loro letalità, sono direttamente correlati alle infauste strategie aziendali delle corporation agricole e dell’allevamento. Difatti la Cina è il produttore di animali allevati più importante del mondo e la crisi globale provocata dall’attuale pandemia da covid–19 rivela palesemente il suo ruolo nell’economia mondiale, particolarmente nella produzione industriale di alimenti e nello sviluppo dell’allevamento intensivo.
Il covid–19 ha iniziato a diffondersi verso novembre dello scorso anno a Wuhan, la città più popolata dell’est della Cina, perno per il commercio e gli scambi nella regione. Dalle prime indagini pare sia emerso che i contagiati frequentassero assiduamente i wet market di Wuhan. Questo virus, stando al parere dei virologi, pare sia simile a quello della SARS, ma è più contagioso e meno letale. In ogni caso di lì a poche settimane, il covid–19 è divenuto una pandemia globale: ha già colpito più di cento Stati.
Citando D. Quammen: «Tutto ha un’origine».
I virologi hanno dimostrato la somiglianza tra il covid–19 e altri coronavirus simili presenti in alcune specie di chirotteri (pipistrelli), che potrebbero aver costituito il serbatoio naturale del virus. Questi pipistrelli sono ampiamente presenti nella Cina meridionale, in tutta l’Asia, in Medio Oriente, in Africa e finanche in Europa. I pipistrelli rappresentano il 20% di tutte le specie di mammiferi sul pianeta e sono l’ordine di mammiferi con un sistema immunitario più tollerante a «estraneità» presenti nel loro organismo rispetto ad altri sistemi immunitari. Probabilmente ciò è dovuto ad alcuni fattori biologici, come la spiccata socialità, che li porta, per il riposo o il letargo, a enormi aggregazioni (fino a un milione di esemplari in un sito). Oltretutto la loro longeva storia evolutiva li ha portati a maturare con molti virus un legame di coabitazione, e in più la capacità di volare li ha portati potenzialmente a contrarre o a diffondere virus su aree molto estese.
Dunque, al momento due scenari ipotetici vengono esaminati dagli scienziati al fine di comprendere l’origine della pandemia: il primo riguarderebbe i suini allevati nella provincia di Guangdong, nel sud della Cina, ammalatisi nel 2016 a causa del virus della diarrea epidemica suina (PEDV): un coronavirus che colpisce le cellule che ricoprono l’intestino tenue dei maiali. L’anno successivo sono morti all’incirca 24mila suini e in virtù di ciò la malattia è stata rinominata «Sindrome della Diarrea Acuta Suina» (SADS-CoV). Inoltre tutto ciò è accaduto nella stessa regione da cui è sorta in passato l’epidemia di polmonite atipica: la SARS.
Stando ai vari studi condotti, l’origine del contagio è stata localizzata esattamente nella popolazione di pipistrelli presenti nella regione. Difatti la crescita dei macro-allevamenti di bestiame ha alterato profondamente le nicchie vitali dei pipistrelli, ragion per cui l’allevamento industriale ha incrementato le possibilità di contatto tra la fauna selvatica e il bestiame allevato, facendo esplodere il rischio di zoonosi poiché gli habitat degli animali selvatici sono drammaticamente aggrediti dalla deforestazione. Di qui dunque l’origine della pandemia.
Mentre il secondo scenario vagliato, meno probabile, rintraccerebbe l’origine della pandemia proprio nei pipistrelli venduti vivi e macellati nei mercati cinesi, veri e propri focolai virali. Lì si sarebbe verificata la zoonosi e successivamente si sarebbe diffuso il virus per via respiratoria tra gli umani, tramite fluidi corporei, colpi di tosse e starnuti.
Per ora non sussistono certezze in merito. Nonostante l’origine esatta del covid-19 non sia del tutto chiara, v’è però la certezza che non è possibile scagionare in nessun modo la produzione intensiva di bestiame per quanto concerne gli effetti diretti dal punto di vista epidemiologico.
Il virus è il capitalismo
Globalmente – non solo in Cina – la produzione di carni sta assumendo una maggiore rilevanza in quanto settore economico proficuo che si correla al settore spietato dell’agribusiness. Dal momento in cui la produzione penetra nelle foreste vergini deforestando o ponendo pressione su chi opera nel settore della produzione di cibo selvatico per cercare nuove fonti di approvvigionamento, dà inizio al traboccamento di nuovi agenti patogeni tramite zoonosi. Inoltre lo smog e le polveri sottili derivanti dalla massiccia e inquinante produzione industriale fungono da vettore per la diffusione aerea dei virus, rendendo di conseguenza più vulnerabili gli abitanti delle zone fortemente inquinate già affetti da problemi respiratori.
Il capitalismo distrugge in nome del profitto gli habitat naturali: questa è l’era dello sradicamento e dell’estinzione delle specie. Globalizzazione attualmente significa devastazione incontrollata del pianeta: il mito di una crescita economica infinita mostra di rigetto una realtà umana profondamente contraddittoria, insostenibile e terribilmente vulnerabile. Questa pandemia è la quintessenza di una putrescente società globalizzata.
L’intera umanità è in serio pericolo nel momento esatto in cui domina il pianeta come nessun’altra specie abbia mai fatto prima. Necessariamente bisogna sanare le fratture metaboliche che separano l’equilibrio ecologico planetario da una economia predatoria, che contribuisce persino allo scatenamento di pandemie mortali.
Ne vale la vita di tutti gli esseri viventi e del pianeta Terra.
Gianmario Sabini
Bellissimo articolo, semplice e chiaro, comprensibile anche a chi non mastica tutti i giorni queste tematiche e dando parecchi spunti per andare ad approfondire.
Grazie Gianmario per ciò che riesci a trasmettere.
Interessante e assolutamente comprensibile. Persino per me.
Infiniti spunti di riflessione in un’analisi lucidissima e scientificamente fondata. Va rifondata la presenza della specie umana sulla Terra, avendo chiaro che l’Uomo ne è ospite, non il padrone.