Senza alcun dubbio la Terra nel suo complesso si sta riscaldando. A 550 km dal circolo polare artico, sulle coste orientali della Groenlandia, si trova Warming Island, isola del riscaldamento globale riconosciuta tale nel 2005: quando il ghiacciaio che la univa alla terraferma si sciolse, a causa dell’aumento della temperatura globale, provocò il definitivo distacco.
Il riscaldamento globale è uno dei fenomeni emergenziali dalle problematiche più stringenti. Indubbiamente il clima della Terra subisce naturalmente un cambiamento continuo, a causa dei cambiamenti periodici dei moti orbitali della Terra e dell’inclinazione dell’asse di rotazione, nonché variazioni di intensità della luce solare e dell’attività vulcanica.
Ma è ormai ampiamente accettato che le attività umane stanno anch’esse influenzando il clima: infatti, sono in atto un aumento globale della temperatura media dell’aria e degli oceani, un diffuso scioglimento di neve e ghiaccio e l’aumento globale del livello medio del mare. Tutto ciò, secondo la comunità scientifica, è molto probabilmente dovuto all’aumento delle concentrazioni di gas serra di origine antropica (effetto serra).
Gli esseri umani attraverso molte attività contribuiscono significativamente a determinare le concentrazioni atmosferiche dei gas serra. Bruciare combustibili fossili o legno produce anidride carbonica; il bestiame, la produzione di petrolio e le miniere di carbone aggiungono metano; i processi agricoli e la produzione di acido nitrico contribuiscono a diffondere nell’atmosfera protossido di azoto. Altre pratiche, come la deforestazione, svolgono anch’esse un ruolo rilevante, perché le foreste assorbono anidride carbonica dall’aria, immagazzinandola.
Ma il punto focale è la combustione di combustibili fossili, che produce la stragrande maggioranza dell’anidride carbonica emessa ogni anno dall’attività umana. Mentre gli oceani, il terreno e la vegetazione terrestre assorbono circa la metà di queste emissioni, il resto si accumula nell’atmosfera, contribuendo a rafforzare l’effetto serra.
Tali fattori antropogenici hanno suscitato molte riflessioni scientifico-filosofiche in merito a una nuova era geologica, successiva all’Olocene, appellata come Antropocene.
L’ecologia odierna è uno dei campi di battaglia più ideologici, con una sequela di strategie per offuscare le dimensioni reali della minaccia ecologica. Con il termine Antropocene viene postulata un colpa universale dell’uomo in quanto specie e vengono presi in considerazione esclusivamente le cause e gli effetti geologici del riscaldamento globale, in tal modo si astraggono dal contesto i fattori storici e socio-economici e si compie di conseguenza una mistificazione storica.
Capitale e Natura sono in un rapporto dialettico di reciproca influenza. La crisi ambientale ha delle precise cause politiche ed economiche. L’oggetto di critica è il capitalismo, non il clima in sé. Dunque non utilizzeremo il termine Antropocene, bensì Capitalocene (coniato da J.W. Moore).
Per la prima volta nella storia terrestre, cioè in più di 4 miliardi di anni di vita, l’essere umano ha dimostrato di poter mutare l’evoluzione naturale della Terra. Tuttavia non è razionale estendere a tutta l’umanità la responsabilità del drammatico cambiamento climatico. L’umanità non è un’unica entità omogenea che agisce collettivamente, è invece suddivisa in nazioni, tra cui molte sono povere e poche sono ricche. Esistono classi sociali, differenti sessi e culture e ognuna nella sua differenzialità ha un impatto particolare sulla natura della pianeta Terra. Pertanto il metabolismo dell’uomo con la natura è guidato dal meccanismo di produzione capitalista: plus-valore e accumulazione.
Lo sviluppo economico emerge come una potente norma societaria in grado di penetrare in tutti i sotto-sistemi della vita sociale. I tentativi di utilizzare razionalmente le risorse del mondo e di contrastare il degrado ambientale su vasta scala si scontrano contro l’anarchia della produzione capitalista, che si basa sulla proprietà privata dei mezzi di produzione: le fabbriche, la tecnologia, terra, ecc. Per quanto ben organizzate possano essere le singole fabbriche, sotto il capitalismo non esiste un piano d’insieme dell’economia. Le decisioni di investimento, incluse quelle per ricerca e sviluppo, sono in primo luogo guidate dal profitto e, nella logica capitalistica, il pianeta è un deposito di risorse da sfruttare.
Ovviamente le risorse utili costituiscono l’obiettivo del capitalismo: trasformare la natura in valore, per creare capitale al di fuori della natura. Molti economisti e politici si preoccupano del fatto che gli inquinanti emessi da un processo industriale hanno un impatto sul loro benessere, e non solo su quello degli schiavi salariati. Più in generale, un numero crescente di rappresentanti politici dei capitalisti è allarmato per il riscaldamento globale a causa delle conseguenze economiche e sociali negative che ne possono conseguire. Dunque il capitalismo verde (green economy) è solo un mistificante e religioso tentativo di riconciliare un’economia predatoria con il concetto d’ecologia.
Il pensiero generalizzante e rassicurante che ne scaturisce è: 1) ignoranza pura e semplice: è un fenomeno marginale, la vita (del capitale) va avanti, la natura si prenderà cura di se stessa. 2) La scienza e la tecnologia ci salveranno. 3) Lasciamo che il Mercato (Dio) trovi una soluzione. 4) Decrescita felice: ognuno di noi dovrebbe solamente riciclare, consumare meno e vivere in armonia con Madre Natura.
Non v’è più margine per l’ipotetico ritorno a un equilibrio naturale. Quali che siano i tempi e le effettive conseguenze del riscaldamento globale, una cosa è certa: in un mondo dominato dal capitalismo imperialista, il costo umano, misurato in fame, distruzioni o malattie, sarebbe soprattutto a carico di lavoratori e poveri. I paesi meno sviluppati del mondo, con infrastrutture misere e con meno risorse disponibili per adattarsi alle mutate condizioni, sarebbero colpiti in maniera particolarmente severa.
Il vero colpevole non è il riscaldamento globale in quanto tale, ma piuttosto il sistema capitalistico mondiale, che impone condizioni disumane ai paesi coloniali e priva la popolazione dei beni più elementari, e non solo in tempi di calamità.
Anche se il riscaldamento globale indotto dall’uomo fosse in qualche modo fermato sotto il capitalismo, la depredazione imperialista continuerebbe senza sosta producendo fame di massa e altri flagelli, quali epidemie prevenibili – conseguenza della mancanza di sistemi di fognature, acqua potabile e basilari infrastrutture sociali – e ovviamente mutazioni ambientali.
La crisi del nostro mondo contemporaneo va intesa come la crisi della forma sociale, dell’insieme di forme sociali e dei suoi modelli di produzione. L’intera costruzione socio-economica va superata affinché si superino le molteplici crisi capitaloceniche del sistema sociale e della natura del pianeta Terra.
Il riscaldamento globale è penetrato in ogni ambito della vita umana e pone in maniera fragorosa una realtà tremenda: può esserci un futuro anche senza la nostra esistenza. Qui sta il paradosso del Capitalocene: più la riproduzione della natura è mediata dall’uomo, più l’umanità diventa un agente decentrato e incapace di regolare il processo di disfacimento del pianeta.
Dunque l’umanità ha prova dei propri limiti, in quanto specie, proprio nella consapevolezza d’essere talmente potente da influenzare l’equilibrio di tutta la vita sulla Terra.
Gianmario Sabini