Si scrive
Fonte: carnetverona.it

Il “Land Grabbing”, letteralmente “accaparramento” o “furto” di terra, indica un’espressione semi-sconosciuta dall’opinione pubblica, eppure evidentemente e immediatamente evocativa del neocolonialismo che sottace. Di quale fenomeno si tratta, chi lo promuove e chi lo subisce, e quali effetti comporta sui territori che ne sono interessati?

«La nazione che distrugge il proprio suolo distrugge sé stessa»
(Franklin D. Roosevelt)

Il Land Grabbing tra falsi miti ed economia globale

Cos’è, più specificamente, il “Land Grabbing”? Si tratta di un fenomeno in realtà antico (la terra è stata nei secoli la preziosa risorsa che ha comportato guerre, conflitti o scambi), ma rielaborato attraverso modalità proprie dell’attuale infrastruttura economica globale: descrive infatti l’acquisizione, a livello internazionale e su vasta scala, di terreni che si trovano solitamente nei Paesi in via di sviluppo, da parte di grandi investitori privati o governi esteri.

Il fine più o meno dichiarato di tali acquisizioni è lo sfruttamento delle risorse (agricole, energetiche o commerciali), che questi appezzamenti di terreno possono consentire, attraverso contratti di compravendita o affitto a lungo o lunghissimo termine, che hanno valore vincolante. Con la crisi finanziaria del 2007-2008, la crescita dei prezzi dei prodotti agroalimentari ha costretto molti Paesi in possesso di capitali da investire a esternalizzare la produzione per sostenere la domanda interna.

Il Land Grabbing ha finito così per assumere dimensioni importantissime, anche se reperire dati e numeri certi è assai difficoltoso (le cifre ufficiose spaziano tra i 55 e i 227 milioni di ettari secondo Oxfam): il processo di acquisizione è segnato da una palese opacità, esperito attraverso rapporti diretti tra classe dirigente locale e imprese multinazionali, le quali tessono una rete di investimenti miliardari ma difficilmente tracciabili, riconducibili frequentemente ai paradisi fiscali.

Land Grabbing neocolonialismo
Mappa mondiale delle acquisizioni di terre (2013) © European Environment Agency (EEA). Fonte: globalchallenges.ch

Secondo diverse ONG e agenzie di ricerca e di studio del fenomeno (l’organizzazione internazionale no-profit GRAIN ne è l’esempio più autorevole), esso comporta un’espropriazione delle terre e delle risorse appartenenti alle popolazioni locali, senza il contrappeso dello sviluppo economico, della produttività e del progresso “per tutti” proclamati e millantati da buona parte dei soggetti aziendali e politici che lo promuovono.

A preoccupare è innanzitutto un dato politico: i contratti, stipulati senza assistenza e senza intermediari credibili, passano inevitabilmente dal filtro delle amministrazioni locali, controllate da circuiti politici corrotti e antidemocratici. Coercizione, intimidazione o manipolazione sono la norma, attraverso un processo che mai vede coinvolte direttamente le comunità locali, prime interessate dalle acquisizioni e che spesso traggono sussistenza proprio dai terreni in questione.

Ma il principale problema attiene più propriamente la governance economica e il modello di sviluppo: la proprietà dei terreni viene infatti impiegata per colture intensive, biocarburanti e materie prime, pensate quasi esclusivamente per l’esportazione, e ne tradisce la logica di neocolonialismo. Questo sfruttamento esponenziale e incontrollato finisce per impoverire drammaticamente il suolo, con conseguenze ambientali devastanti sugli ecosistemi e sulle popolazioni che lo abitano, a cominciare dall’inquinamento e dalla perdita di biodiversità, fino a provocarne degradazione irreparabile.

Vincitori e vinti della corsa alla terra

Per la sua matrice di fondo, per i rapporti di forza tra acquirenti e destinatari e per l’importante dimensione del fenomeno, il Land Grabbing richiama direttamente la realtà storica delle pratiche di sfruttamento territoriale del colonialismo europeo della fine del XIX e XX secolo.

Tuttavia, presenta caratteristiche assai diverse rispetto al passato, proprio, come si era accennato, a causa della mutate circostanze storiche della globalizzazione. Differenti sono l’istituzionalizzazione, le proporzioni e le modalità che il fenomeno può assumere: il neocolonialismo si annida proprio tra le maglie della legalità internazionale, del pensiero neoliberista e del paternalismo pietista per passare inosservato e per macinare profitti, al riparo della tracciabilità e dai riflettori.

Land Grabbing neocolonialismo
Agricoltura di sussistenza in Africa. Fonte: Fabrizio Floris, africarivista.it

Il Land Grabbing, come ogni fenomeno di una globalizzazione condotta dai capitali, articola la consolidata e consumata dialettica tra vincitori e vinti.

Tra i primi rientrano le grandi potenze economiche dalle quali provengono gli investimenti (Stati Uniti ed Europa, Italia compresa, ma anche Cina, India, Corea del Sud e Paesi del Golfo) e in generale le classi sociali più privilegiate, che non dipendono dall’agricoltura di base e sono ben inseriti nei mercati globali.

Tra i secondi i Paesi di destinazione (soprattutto africani, ma anche asiatici e latino-americani) e le categorie a maggiore rischio sociale (soprattutto contadini e piccoli consumatori), tanto al nord quanto al sud del mondo.

Agricoltura intensiva in Brasile. Fonte: lifegate.it

Non si tratta quindi semplicemente di sfruttamento dei Paesi industrializzati su quelli in via di sviluppo, secondo la logica coloniale più tradizionale, ma di un peculiare capitolo della lotta di classe “globalizzata”: le élite corrotte dei Paesi di destinazione si alleano direttamente con i colossi agroindustriali, energetici e finanziari dei Paesi industrializzati, per i propri interessi reciproci, a danno di chi si trova in basso nella piramide sociale. Il caso più emblematico a dimostrazione di tutto ciò è quello del Brasile, non a caso caratterizzato da aspre disuguaglianze, che si colloca contemporaneamente tra i principali “land grabbers” e tra le principali vittime del Land Grabbing.

Stop al Land Grabbing: lotta impari, battaglia necessaria

“La terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla terra”, sostiene un conosciuto proverbio dei nativi nord-americani, tanto più attuale in tempi di emergenza climatica. Non necessariamente bisogna essere di questo avviso per comprendere quanto profondi possono essere i legami economici, sociali e culturali tra popolazioni e suolo.

Il Land Grabbing scinde con brutalità questo legame, qualificandosi come una delle forme più estreme, pervicaci e violente di neocolonialismo. Un neocolonialismo che agisce come cassa di risonanza delle disuguaglianze socio-economiche e ambientali, amplificandole e approfondendole: contribuisce infatti a impedire la trasformazione dell’economia funzionale alle necessità dei territori, così come la nascita di borghesie e ceti produttivi locali.

Si tratta tutt’ora di un fenomeno in rapida crescita, nonostante i tentativi di regolamentazione promossi faticosamente da ONG e movimenti di resistenza delle comunità in alcuni Paesi interessati. Iniziative di tutela internazionale sono attualmente negoziate in sede ONU (UN Treaty), per elaborare un trattato vincolante per le acquisizioni fondate sull’economia sociale.

Land Grabbing neocolonialismo
Un contadino vittima del Land Grabbing e del neocolonialismo. Fonte: Oxfam via fanpage.it

Seppur approvate formalmente, queste prescrizioni sarebbero difficilmente messe in pratica: le forze che si contrappongono al Land Grabbing sono infatti quasi ininfluenti negli affari globali, e devono confrontarsi con la dinamica strutturale e ideologica delle relazioni geopolitiche internazionali nel loro complesso. Le guerre per le risorse, dalla terra all’acqua, saranno infatti endemiche ed evidenti in tutta la loro drammaticità nel futuro prossimo.

Nonostante la sperequazione delle forze in campo, è necessario che i movimenti globali, i consumatori e le forze politiche responsabili si mobilitino per l’improba battaglia: impedire che tutto questo continui significa anzitutto tutelare diritti umani inderogabili, ma anche preservare i diritti delle comunità locali, favorirne l’autonomia, l’autosufficienza e la crescita (tema essenziale a proposito della gestione dei fenomeni migratori), e proteggere contemporaneamente i piccoli produttori in Occidente.

Porre fine ai Land Grabbing significa, infine, smantellare strutture produttive predatorie e anti-ecologiche, passo fondamentale verso la costruzione di uno sviluppo più inclusivo e sostenibile. Quella “lotta di classe ambientalista”, che si combatte a ogni latitudine e longitudine, passa anche e soprattutto da qui.

Luigi Iannone

Classe '93, salernitano, cittadino del mondo. Laureato in "Scienze Politiche e Relazioni Internazionali" e "Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica". Ateo, idealista e comunista convinto, da quando riesca a ricordare. Appassionato di politica e attualità, culture straniere, gastronomia, cinema, videogames, serie TV e musica. Curioso fino al midollo e quindi, naturalmente, tuttologo prestato alla scrittura.

2 Commenti

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.