Perché le delocalizzazioni piacciono tanto ai neoliberisti?
Protesta contro le delocalizzazioni Fonte: Il Fatto Quotidiano

La Commissione Bilancio del Senato ha bocciato, senza remora alcuna, l’emendamento Mantero avanzato dal senatore di Potere al Popolo e scritto collettivamente con i lavoratori della GKN in agitazione per contrastare lo strapotere delle multinazionali in materia di delocalizzazioni, mentre ha dato il via libera all’emendamento del governo con il voto favorevole di tutte le forze politiche ad esclusione di Barbara Lezzi del Gruppo Misto. È risaputo che la libera circolazione dei capitali è uno degli elementi fondanti di una società neoliberale e il Trattato di Lisbona dell’Unione Europea che ha istituito la libera circolazione di persone, merci e capitali come principi fondamentali dell’individuo all’interno della Comunità Europea, ne è la prova provata.

Così com’è altrettanto risaputo che uno dei governi più neoliberisti della storia repubblicana italiana non avrebbe mai potuto accettare un emendamento come quello Mantero-GKN nonostante appena poco tempo fa i vari Letta, Meloni, Salvini, Conte, Di Maio avessero esternato tutta la loro solidarietà ai lavoratori a rischio licenziamento, come se questo processo non fosse il frutto di scelte politiche ed economiche portate avanti nel corso degli anni dagli stessi politici.

Le delocalizzazioni sono diventate in maniera esponenziale una delle questioni politiche più delicate degli ultimi anni poiché possono risultare estremamente pericolose per la tenuta sociale di un paese: tuttavia, per alcuni governi, non basta che due, tre, cento aziende lascino senza lavoro migliaia e migliaia di persone delocalizzando la produzione nonostante abbiano un bilancio attivo, anzi, per alcuni, la scelta aziendale della delocalizzazione produttiva è una delle tante prerogative inalienabili che un’azienda ha a sua disposizione nell’inventario che il miracolo della globalizzazione economica gli ha gentilmente messo a disposizione per massimizzare i propri profitti.

È questo quello che pensano i neoliberisti, è questo il background del premier Draghi, è questo quello che il nostro governo propone quando boccia l’emendamento Mantero per avanzare l’emendamento governativo che va ad istituzionalizzare la procedura per le delocalizzazioni. Sebbene il problema delle delocalizzazioni non possa essere totalmente risolto con un semplice emendamento in quanto fa riferimento ad una questione che non ha una portata nazionale bensì globale, non si può ad ogni modo pensare che uno Stato, che abbia almeno un minimo a cuore le sorti dei propri cittadini, sia totalmente asservito alle logiche del neoliberismo.

Con l’emendamento governativo (qui trovi le differenze sostanziali tra i due emendamenti), il governo non solo conferma di essere subalterno al mondo delle imprese, ma crea una procedura istituzionalizzata per le aziende, che permetta loro di delocalizzare la produzione in maniera del tutto regolamentata reprimendo, di fatto, le esperienze di lotta dei lavoratori a rischio licenziamento che in questi mesi hanno evidenziato il dramma sociale delle delocalizzazioni: al governo non interessa il destino dei lavoratori Caterpillar, Whirlpool, GKN, Gianetti Ruote, Timken e tanti altri, al Ministro del Lavoro Orlando interessa solo che gli operai non vengano licenziati tramite Microsoft Teams o WhatsApp, mentre sono ben accetti i licenziamenti effettuati con PEC.

È l’ideologia thatcheriana del governo che ha permeato la società tutta che guida l’attacco al salario, individuando nei percettori del reddito di cittadinanza i nemici della società ed elevando, invece, ad eroi rappresentati quasi alla stregua dei martiri, coloro che invece fanno impresa; emblematico è l’esempio dell’esperienza della GKN: mentre i lavoratori in stato d’agitazione chiedono dignità e lavoro, i media si concentrano sul nuovo imprenditore Borromeo, interessato ad acquisire lo stabilimento GKN, che viene definito come un filosofo e filantropo come se non fosse anch’egli guidato dalla stessa logica del profitto che aveva messo in strada i 422 lavoratori GKN.

I veri furbetti, pertanto, non sono coloro che prendono il reddito di cittadinanza per non andare a lavorare per salari da fame, ma sono quelli che invece pretendono la manodopera a basso costo per aumentare i propri profitti, gli stessi che chiedono (ed ottengono) incessantemente incentivi pubblici e sgravi fiscali col ricatto di un’eventuale delocalizzazione produttiva (come nel caso FIAT), salvo poi andarsene comunque con la “botte piena e la moglie ubriaca” (come nel caso Whirpool).

Insomma, basta cambiare il punto di vista e smettere di ragionare come se fossimo tutti “classe media” perché così non è. L’aspirazione piccolo-borghese di elevarsi socialmente ad imprenditori ricchi e benestanti si scontra con la realtà fatta di precarietà, salari da fame e sfruttamento: sono queste le basi fondanti del benessere di pochi a discapito dei molti nelle società neoliberali. Ed è per questo che ai neoliberisti piacciono le delocalizzazioni: esse mantengono lo status quo, spostano la discussione sul costo del lavoro e colpevolizzano invece chi, come i percettori del reddito di cittadinanza o come chi sciopera, a questo gioco non vuole stare. È la narrazione perfetta.

Nicolò Di Luccio

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