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Fonte: www.silenziefalsita.it

Lo scorso giovedì 30 maggio è balzato all’onor delle cronache un caso giudiziario tutto interno alla magistratura che rischia di avere importanti risvolti politici. La Guardia di Finanza ha infatti perquisito l’abitazione e l’ufficio di Luca Palamara, ex consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) ed ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM). Palamara è accusato di aver influenzato alcune sentenze a carico di imprenditori importanti in cambio di soldi e regali vari da parte di lobbisti vicini agli imputati in questione.

In Italia la fiducia nella magistratura ha vissuto momenti di alterna fortuna negli scorsi decenni, spesso coincidenti con il favore riscosso da una determinata parte politica. Così dagli eroi antimafia e del pool di Mani pulite si è passati alle tanto vituperate toghe rosse attaccate per un ventennio da Silvio Berlusconi e ora, in un’ottica solo un filo meno personalistica, dal suo figliol prodigo Matteo Salvini. Il filo conduttore del rapporto tra italiani e potere giudiziario resta però lo stesso: nell’impossibilità per evidente mancanza di competenze di giudicare la magistratura sul piano che le compete, il giudizio del popolo si è sempre fatto politico.

Caso Palamara, cosa c’è di nuovo

Il caso Palamara rappresenta su questo piano qualcosa di inedito. Non è un giudizio della magistratura su un politico, o su una questione che lo riguarda, che si porta con sé gli strali del popolino, ma è un giudizio della magistratura su chi ha rivestito il ruolo più importante del CSM, in definitiva su se stessa. Ed è proprio per questo che questo caso è in un certo senso ancora più politico dei suoi illustri precedenti: ad esser messo in discussione non è solo il fare di un singolo, ma di rimando anche l’intero sistema di potere politico-giudiziario che gli ha permesso di agire impunemente.

Anzi, il secondo ordine di accuse rivolte a Palamara riguarda la libertà con cui si è mosso dopo aver scoperto di essere indagato, ed è forse per questo ancora più grave. Palamara avrebbe cercato di influenzare la nomina del prossimo procuratore di Perugia, che è competente per le indagini sui magistrati di Roma, tra cui rientra ovviamente Palamara stesso.

«O sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti», queste le parole che David Ermini, uno degli otto componenti laici del CSM eletti nello scorso luglio, ha rivolto ai suoi colleghi. Ermini è un ex deputato del Partito Democratico ed è anche vicepresidente del CSM, de facto la funzione più importante. Il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura è infatti il Presidente della Repubblica, ma il potere di Sergio Mattarella è prettamente formale e simbolico.

In seguito all’esplosione del caso Palamara si è scatenata una guerra senza esclusione di colpi tra le varie componenti del CSM, ognuna facente riferimento a una parte politica, e soprattutto dalle toghe rosse di cui sopra si è iniziato a parlare di toghe sporche. Il focus dell’opinione pubblica non è più stato tanto sul colore politico di questo o quel magistrato, ma sul generale fetore che si è tornati a sentire in rapporto ai giochi di potere tra politica e giustizia.

CSM e politica, la scoperta dell’acqua calda

Riccardo Arena sul Post parla di «mercato delle toghe», ma sottolinea anche l’ipocrisia di parlarne solo ora. Il caso Palamara non ha scoperchiato il vaso di Pandora, semmai seguendo un’altra metafora potremmo dire che è la scoperta dell’acqua calda. L’unico vero elemento di novità è che dagli accordi tra correnti si è passato agli accordi tra individui, tra Palamara e i suoi uomini in altre posizioni di potere all’interno della magistratura. Non un’ulteriore degradazione morale, semmai un cambio di prospettiva.

E qui entra in gioco in modo prepotente la figura di Mattarella. Certo, lo abbiamo detto, il suo potere è formale e simbolico, ma anche mediatico. Se Mattarella per assurdo domani si pronunciasse a favore della chiusura del CSM, è indubbio che se ne parlerebbe. Non basta una risposta precisa e puntuale all’ultima bolla scoppiata; serve una soluzione generale. Finora il Presidente della Repubblica ha parlato della necessità di «voltare pagina» per tornare a dar lustro a un CSM il cui prestigio è «fortemente incrinato». Ma da parole più concrete potrebbe passare il futuro della magistratura italiana.

Davide Saracino

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