Negli ultimi giorni si susseguono statistiche e opinioni, affermazioni e correzioni, come in un grande festival del “detto-non detto” degno del Berlusconi dei tempi migliori. C’è chi esulta per un (im)probabile accenno di ripresa e chi si colloca dall’altra parte della barricata per conquistare (ir)realisticamente una manciata di voti in più. Il mare è in tempesta ed ognuno cerca di ricacciare quanta più acqua dalla propria nave.

Matteo Renzi è in evidente difficoltà non solo per via dello scivolone sui dati relativi all’occupazione e/o per la totale mancanza di voce nelle questioni europee (immigrazione in primis), ma essenzialmente perché coloro che lo sostengono si stanno dividendo di nuovo. La borghesia italiana mostra in queste ore il suo lato peggiore. Perché è vero che c’è un accenno di ripresa. Quello che però si omette di dire è a favore di chi sta andando questo famoso zerovirgola. E basta leggere gli andamenti economico-finanziari degli alti dirigenti finanziari ed economici (soprattutto del settore “export”) per rendersi conto che non solo la crisi non è una condizione di tutti, ma soprattutto che gli squali sono tornati a mangiare e non hanno alcuna intenzione di dividere il loro pasto con gli altri.

La crisi del capitalismo scoppiata nel 2007 ha svelato il grande inganno, la grande contraddizione: da un lato vi sono masse immense di individui disoccupati, od occupati marginalmente, che hanno bisogno di trovare un lavoro ragionevolmente retribuito e stabile; dall’altra masse immense di capitale alla ricerca di un impiego redditizio. Con la seconda esplosione della crisi del debito, quella del 2010, l’attacco al modello sociale europeo è diventato ancora più forte: la necessità di risanare i bilanci pubblici senza intaccare le rendite di chi la crisi l’ha causata o cavalcata ha generato il mantra dell’austerità, arma letale con la quale si riduce a brandelli la spesa sociale dell’Unione, assottigliando classi medie ed aumentando la povertà diffusa.

Non c’è quindi da meravigliarsi che alle urne si rechi un italiano su due, ed è ingenuo pensare che sia colpa dell’antipolitica, che magari influenzerà un ristretto gruppo di opinionisti da tastiera. La verità è che le persone non votano perché non lo reputano utile al miglioramento delle proprie condizioni di vita. Non votano perché la democrazia non si interessa di loro. La filo­so­fia del ren­zi­smo si com­pie nel segno di una inte­grale deco­sti­tu­zio­na­liz­za­zione del lavoro. E la sua genuina essenza ideo­lo­gica è con­te­nuta nella cele­bre for­mula sulla libertà dell’imprenditore di licen­ziare come segno di una grande inno­va­zione desti­nata a fare epoca. Tagli alla spesa pubblica, tassazioni inique, provvedimenti a favore delle corporazioni portano alle urne soltanto i cosiddetti poteri forti e tutto il sistema clientelare che gli gravita intorno.

D’altronde l’austerità non è un errore di valutazione, come predicano gli economisti riformisti, bensì l’arma che completa il trasferimento dell’onere della crisi alla forza-lavoro. Questo perché essa rappresenta l’intervento a valle del processo di socializzazione delle perdite per via statale, tra l’altro nel momento di massima vulnerabilità dei conti pubblici. Ed il sistema di potere che sorregge Renzi traballa sotto i colpi della reazione borghese allo scempio perpetuato dalla grande finanza all’economia reale. Negli ultimi anni, miliardi sono stati spesi per salvare le banche e il divario fra economia finanziaria ed economia reale è spropositamente aumentato a favore della prima. E non c’è alcuna forza dotata di soggettività politica nello scenario italiano che rappresenti interessi alternativi. Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega Nord sono espressioni di corporazioni uguali perché ultraliberiste e conservatrici ma diverse per cavalli di battaglia e sfumature ideologiche.

Una democrazia non funziona con le statistiche, ma attraverso un processo dialettico fra almeno due parti. E se invece ve n’è rappresentata soltanto una?

Antonio Esposito

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