Siamo già a dicembre, alle porte del lungo e triste inverno. Consoliamoci, c’è chi è messo peggio di noi. I pesci antartici, per esempio, costretti a vivere per tutta la loro vita in acqua ghiacciata. Come fanno? Essi possiedono, all’interno dei loro fluidi corporei, proteine antigelo chiamate AntiFreeze Proteins, come particolare adattamento per sopravvivere alle bassissime temperature polari (perennemente intorno a -1,9°C). Queste speciali proteine riescono ad abbassare il punto di congelamento dell’acqua, ovvero la temperatura alla quale l’acqua solidifica e diventa ghiaccio, in questo modo: si legano in maniera irreversibile ai cristalli di ghiaccio che entrano nel corpo dei pesci, smussandone le spigolature ed impedendo l’aggiunta di altre molecole di acqua, a meno che la temperatura non si abbassi ulteriormente. L’esistenza di queste molecole dalle particolari proprietà ha, quindi, consentito ai nototenioidei, una famiglia di pesci antartici, di proliferare e, praticamente, dominare questi ambienti ostili.

Fin qui gli aspetti positivi, ma, come sempre, esiste anche un rovescio della medaglia. Pare, infatti, che le AntiFreeze Proteins impediscano lo scioglimento dei cristalli di ghiaccio, durante le seppur brevi e tenui estati polari, causandone così l’accumulo nei tessuti corporei.

Esperimenti condotti su pesci nototenioidei hanno dimostrato che il ghiaccio contenuto nei loro tessuti si scioglie quando questi sono sottoposti per un’ora a 4°C, temperatura molto maggiore rispetto a quelle massime registrate nell’acqua marina durante le timide estati dell’Antartico.

Inoltre, è stato osservato, in vitro, che le AntiFreeze Proteins riescono ad impedire lo scioglimento dei cristalli di ghiaccio, consentendo la permanenza di questi ultimi in uno stato definito superheated. In questo particolare stato “superriscaldato”, il ghiaccio, sebbene si trovi alla temperatura di fusione, non fonde.

Un gruppo di ricercatori provenienti da diverse università degli Stati Uniti e della Nuova Zelanda, ha fatto una serie di scoperte molto importanti al riguardo. Innanzitutto, ha osservato che, a temperature intorno a 0,32°C, le AntiFreeze Proteins endogene sono le sole  responsabili, in vitro, dei cristalli di ghiaccio superheated nei campioni di siero di pesci nototenioidei. Ancora più importante, gli esperimenti condotti in vivo, hanno rivelato che il ghiaccio contenuto nei tessuti resiste alla fusione a temperature fino ad 1°C superiore alla temperatura alla quale si ha la fusione del ghiaccio nei fluidi corporei dei pesci. Grazie agli esperimenti sul campo, il team di ricerca è riuscito a dimostrare per la prima volta che il fenomeno del ghiaccio “superriscaldato” nei tessuti avviene anche normalmente in natura. Tale fenomeno impedisce completamente, o quasi, la possibilità che il ghiaccio contenuto nei tessuti possa sciogliersi durante l’intero arco di vita dei pesci.

In altre parole, l’effetto del legame delle AntiFreeze Proteins ai cristalli di ghiaccio ha una duplice azione: da un lato ne impedisce la formazione all’interno dei tessuti, dall’altro ne impedisce la fusione anche a temperature alle quali essi dovrebbero fondere. Di conseguenza, i lievi innalzamenti di temperatura delle estati polari risultano inefficaci e i cristalli di ghiaccio si accumulano nei tessuti dei pesci con effetti potenzialmente molto dannosi.

Anche se le conseguenze non sono ancora conosciute, è presumibile che la ritenzione dei cristalli di ghiaccio causi alterazioni fisiologiche, come risposte infiammatorie e l’occlusione dei vasi sanguigni; pertanto, secondo il parere dei ricercatori, è possibile che esistano dei meccanismi, ancora sconosciuti, che mitighino il duplice effetto delle AntiFreeze Proteins.

Articolo e foto a cuira di Valentina Spennato

Riferimenti: P. A. Cziko et al. Antifreeze protein-induced superheating  of ice inside Antartic notothenioid fishes inhibits melting during summer warming. PNAS. October 7, 2014. Vol.111. no.40. 14583-14588.

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