Da Marco Bellocchio a Barry Levinson, da Spike Lee a Andrzej Wajda, sono molti i registi che nel corso degli anni hanno realizzato film politicamente impegnati. Godard ammoniva di fare film politicamente, piuttosto che film politici. Nella nostra rassegna non abbiamo nessuna pretesa teorico-critica, quanto piuttosto voler offrire al lettore un elenco di film da vedere, perfetti per il clima elettorale.

Se non ci può essere Natale senza l’ennesima replica di “Una poltrona per due” (ma forse potremmo farne anche a meno), non dovrebbe esserci stagione elettorale senza la visione di almeno uno dei seguenti film. Una lista che non si propone di essere esaustiva, ma di mettere in contatto, per un’ipotetica maratona destinata a durare parecchie ore, autori diversi come Bellocchio e Spielberg, Spike Lee e Andrzej Wajda.

Sbatti il mostro in prima pagina (1972) di Marco Bellocchio

Negli anni Settanta Volonté prese parte, e come protagonista, a molti film che si potrebbero definire impegnati politicamente. Da “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” a “Sacco e Vanzetti”, senza dimenticare “La classe operaia va in paradiso” e in fondo anche la vena polemica di “Giordano Bruno”. Questo film di Bellocchio è quello che più esplicitamente affronta i rapporti tra la politica, il potere e la carta stampata. La scena del film in cui Volonté “corregge” il pezzo di Roveda, un giovane giornalista, mostrando come le notizie vengano sottilmente manipolate, dà un’idea dei temi affrontati nella pellicola di Bellocchio.

Due curiosità: due anni dopo l’uscita di questo film Indro Montanelli avrebbe fondato “il Giornale”, quotidiano con lo stesso nome di quello diretto da Bizanti (Volonté). All’inizio del film, inoltre, è possibile vedere un giovane Ignazio La Russa mentre fa un comizio

L’uomo di ferro (Człowiek z żelaza) (1981) di Andrzej Wajda

L’epoca del Soldarność, degli scioperi di Danzica nell’opera di uno dei grandi registi polacchi del dopoguerra (insieme a Kieślowski e Polański). Seguito ideale de “L’uomo di marmo” del 1977 e seguito idealmente da “Walesa, l’uomo della speranza” è uno dei tanti film di Wajda che hanno a che fare con la politica.

Malcolm X di Spike Lee (1992)

Considerato uno dei migliori film degli anni Novanta da Martin Scorsese e dal critico Roger Ebert, il film di Spike Lee è una sorta di agiografia del leader afroamericano. L’occasione di conoscere la storia di un uomo che ha avuto un grande impatto sulla società americana, che spesso viene però oscurato dalla figura più rassicurante di Martin Luther King. Icastica e memorabile la scena che apre il film di Spike Lee, nella quale la bandiera americana, bruciando, si trasforma in una “x”, la lettera che Malcolm Little scelse per sostituire il suo cognome, percepito come eredità dei padroni schiavisti.

Sesso & potere (Wag the dog) (1997) di Barry Levinson

In questo film di Barry Levinson, lo spin doctor interpretato da Robert De Niro assume un produttore cinematografico per realizzare “una finta guerra” all’Albania, al fine di distrarre l’opinione pubblica dallo scandalo sessuale provocato dal Presidente. Uscito poco prima dello scandalo Clinton-Lewinsky, il film si trovò ad essere, inaspettatamente, di estrema attualità.

Se Barry Levinson è spesso ricordato per “Rain Man” o il drammatico “The Sleepers” (forse il suo film migliore), l’antecedente diretto qui è una sua regia degli anni Ottanta, quel “Good Morning, Vietnam” che raccontava l’esperienza di un dj (Robin Williams) in Vietnam. Tratto dal romanzo “American Hero” di Larry Beinhart, la sceneggiatura riscritta da David Mamet fu nominata all’Oscar. Chi fosse interessato a ritrovare l’ironia di Mamet, può buttarsi sul suo “Hollywood, Vermont” (State and Main, 2000).

I cento passi (2000) di Marco Tullio Giordana

Si tende spesso a collegare questo film alla mafia, dimenticando che la storia raccontata, soprattutto se si considera il tragico epilogo, ha molto più in comune con “Milk” che con “Il padrino”. Del resto Peppino Impastato era un membro del partito di sinistra Democrazia Proletaria (un nome che, a differenza della vaghezza dal sapore americano che ammanta nomi come “Partito Democratico”, non lasciava spazio a fraintendimenti) e il suo omicidio avvenne proprio pochi giorni prima delle elezioni.

Fahrenheit 9/11 (2004) di Michael Moore

Questo documentario che parla di Bush, dell’undici settembre, della guerra in Iraq, potrebbe sembrare confinato a un periodo storico che, per quanto vicino a noi nel tempo (si parla di meno di ventanni fa), ha davvero poco in comune con l’epoca in cui viviamo. Sono passati due governi di Obama e già quelli sembrano appartenenere ad un passato irraggiungibile, forse per quel drammatico spartiacque che è stato un solo anno di Trump. Eppure questo film, che potrebbe essere considerata la controparte seria di “Sesso & potere”, oppure, in maniera dolorosamente assurda, la realizzazione della profezia di Levinson, parla dell’uso politico delle guerre, e del costo umano che questo uso politico implica e questo è un tema che non perderà mai di attualità.

Il caimano (2006) di Nanni Moretti

La politica è anche una farsa. Prima di Moretti, ce lo ha mostrato Woody Allen, con Bananas all’inizio degli anni Settanta, con “Don’t Drink The Water” ventanni dopo, ma anche con il Napoleone ritratto in “Amore e guerra”. Al di là del cinema, che la politica possa essere una farsa è chiaro a chiunque sia cresciuto durante il ventennio berlusconiano. Mischiando la verità con la finzione, Moretti mette in luce quale sia stato il vero campo d’azione della politica degli ultimi vent’anni: non la politica reale, ma la televisione, lo spettacolo. E infatti Berlusconi è trattato prima di tutto  come personaggio cinematograficamente interessante, che come politico.

Milk (2008) di Gus Van Sant

Harvey Milk fu la prima persona apertamente omosessuale ad essere eletta per ricoprire una carica pubblica in California. Questa è la sua storia, girata dal regista apertamente gay di “Belli e dannati” (My Own Private Idaho). A chi fosse interessato ad approfondire il personaggio di Harvey Milk, consigliamo  “The Times of Harvey Milk”, documentario di Rob Epstein vincitore di un premio Oscar nel 1985.

Il divo (2008) di Paolo Sorrentino

Il film di Sorrentino nel 2008 ha portato Andreotti, la cui storia è al centro della pellicola, a definirlo “una mascalzonata”. Come ha dichiarato lo stesso Andreotti, quella è stata una delle poche volte in cui si è lasciato andare.

The Post (2017) di Steven Spielberg

Se fu un caso a far sì che “Sesso & potere” di Levinson uscisse un mese prima dello scandalo di Clinton, Spielberg ha appositamente interrotto il progetto “Il rapimento di Edgardo Montara” per fare uscire “The Post” il prima possibile. Ancora una volta, come accadeva nel film di Bellocchio e in quello di Wajda è il ruolo dell’informazione ad essere posto sotto la lente d’ingrandimento.

Luca Ventura

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.