Sono passati appena due anni dall’uscita di “Jobs”, film del 2013 di Joshua Michael Stern sulla vita del famoso informatico statunitense, ormai scomparso da quattro anni. Il film fu vittima di pareri contrastanti: il suo principale difetto fu la banale rappresentazione di uno Steve Jobs mitizzato, complice una recitazione di Ashton Kutcher non proprio convincente. La vita del fondatore di Apple non aveva ricevuto, al cinema, tanti onori quanto ne avrebbe meritati. Steve Wozniak, co-fondatore di Apple e una delle persone più vicine a Jobs, commentò il film sostenendo che fosse completamente da rifare.

Qualcuno ha ascoltato la sua richiesta. La vita di Steve Jobs ritorna al cinema e le premesse sembrano completamente diverse. Siamo lontani dal bel faccino monoespressivo di Kutcher e dalla regia debole di Stern: in occhiali tondi, jeans a vita alta e lupetto nero troviamo questa volta il brillante Michael Fassbender e, dietro la macchina da presa, Danny Boyle, il regista di Trainspotting e premio Oscar per “The Millionaire”. Un duo più che sufficiente per rendere finalmente giustizia alla vita di un grande innovatore, che sicuramente meritava una trasposizione cinematografica più introspettiva e calata nel personaggio. Ed è proprio questo che promette il film. Non è ancora chiaro quali parti della vita di Jobs saranno raccontati. L’unica dichiarazione a cui si può fare riferimento è quella dello sceneggiatore Aaron Sorkin che ha raccontato che il film sarà costituito in tre parti, che narreranno degli eventi più importanti della Apple: il lancio di Apple Macintosh (1984), la società NeXT (1988) e l’iMac (1998), mescolati con alcuni flashback. Il tema principale sarà l’introspezione del Jobs uomo e del suo rapporto con gli altri personaggi del film.

Tutto ciò non può che lasciare soddisfatti i fan e chiunque si sia sentito ispirato dalle parole di Jobs del celebre discorso “stay hungry, stay foolish”. Ma una domanda sorge, e tutt’altro che secondaria: a distanza di soli due anni da un film sulla sua vita, questo nuovo film era davvero necessario?

Il film del 2013 potrà essere stato carente sotto molti punti di vista, ma a una distanza così ravvicinata sembra quasi forzato. Sembra di vedere un reboot in classico stile Marvel, quasi come se Steve Jobs fosse Spider-Man. Battere il ferro finché è caldo è necessario e contemplato in un’industria come quella cinematografica. Il cinema serve anche e soprattutto per far fare soldi a chi il cinema lo fa. Ma finire vittima di strategie economiche e produrre solo film che possono permettere grandi entrate economiche è un circolo vizioso dal quale il cinema deve trovare scampo. E campare su una figura enorme come quella di Jobs è avere una vittoria al box-office assicurata.

Operazione commerciale o giusto rinnovamento? Nessuno può ancora saperlo. Rimandiamo dall’uscita di “Steve Jobs” l’ardua sentenza.

Davide Romano

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