Fiumi di alcol, ragazze disinibite, musica jazz e favolose feste: questa è la sintesi perfetta dei ruggenti anni ’20, anche noti come l’epoca del jazz, anni segnanti dell’immaginario collettivo americano. Anni di eccessi, di trasgressione e di lusso sfrenato.

Francis Scott Fitzgerald ne ricrea perfettamente l’atmosfera nella sua opera più celebre, “Il Grande Gatsby”, libro che diventa ben presto manifesto dell’epoca. Pubblicato nel 1925, la storia è ambientata nell’estate del ’22. Sono anni che Fitzgerald e la complicata moglie Zelda vissero in prima persona; gli enfants terribles dell’età del jazz divennero ben presto la leggendaria coppia simbolo, emblema della giovinezza e della ribellione, la cui esistenza era scandita da alcol e feste: una vita fatta di eccessi e di irresponsabilità.

Il Grande Gatsby” è nient’altro che la storia del sogno americano, ossia la convinzione che attraverso il duro lavoro e con la determinazione si possa raggiungere il successo: Gatsby è il self made man, l’uomo che si è fatto da solo che, come i padri pellegrini, partendo dal basso, raggiunge con impegno le vette.

La trama è di fatto celebre, anche grazie alla recente trasposizione cinematografica (2013) che ne ha fatto un fenomeno cult, con protagonista uno straordinario Leonardo DiCaprio, sotto la visionaria regia di Baz Luhrmann.

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Leonardo DiCaprio (Jay Gatsby) e Carey Mulligan (Daisy Buchanan) in una scena del film del 2013

La storia è raccontata in prima persona da Nick Carraway (nel film di Luhrmann, interpretato da Tobey Maguire), funzionario delle borse americane che va ad abitare in una casa che fiancheggia la lussuosa villa di Jay Gatsby. La figura di Gatbsy è avvolta da un alone di mistero: è un uomo ricco, di cui nessuno sa come abbia costruito le fortune, dà continuamente sfarzose feste a cui partecipano tutti senza invito. Nick sarà la prima persona ad essere invitata. In seguito incontrerà Gatsby con cui instaurerà un rapporto di amicizia e scoprirà che l’uomo è follemente innamorato di Daisy, cugina di Nick, e spera soltanto di poterla rincontrare.

Gatsby e Daisy hanno avuto una storia anni prima, un primo amore mai dimenticato dal ricco uomo. Mentre Daisy è andata avanti, sposandosi e costruendosi un’altra vita, egli vive ancora bloccato nel ricordo di lei. Ed ecco che Nick diventa quasi una sorta di strumento per il rincontro tra i due. La storia d’amore sembra rinascere, ma le cose alla fin dei conti non sono così semplici.

«Non si può ripetere il passato? Ma certo che si può!»

Ciò che sembra sfuggire a Gatsby per tutto il corso del libro è proprio questo: la consapevolezza che il passato non possa essere ripetuto. Vive intrappolato in quel che è stato e nel ricordo della Daisy che era ed è convinto che soltanto rincontrandosi la storia sarebbe ripartita dal punto in cui era stata interrotta anni prima. Perché la luce verde è solo dall’altra parte della baia, ed è lì che si trova Daisy. Basta afferrarla per riportare il tempo indietro. Allo stesso tempo è l’uomo ottimista e idealista che crede nel futuro ed è persuaso che le cose possano andare sempre meglio. È semplicemente bloccato all’impasse del presente, sospeso tra quel che stato e quel che potrebbe essere, non riesce a vivere quel che ha. Rivivere il passato è un’ossessione logorante che lo porterà alla deriva. L’idea che si è creato intorno a Daisy e intorno al ricordo di quell’amore è quasi inarrivabile nella realtà.

«Perfino in quel pomeriggio dovevano esserci stati momenti in cui Daisy non era riuscita a stare all’altezza del sogno, non per sua colpa, ma a causa della vitalità colossale dell’illusione di lui che andava al di là di Daisy, di qualunque cosa.»

Daisy presenta, invece, una personalità molto meno complessa: sembra quasi in balia degli eventi, non riesce a scegliere consciamente e non ha la consapevolezza delle sue azioni distratte. È la personificazione del materialismo e della superficialità: nella sua continua ricerca del bello e del piacere diventa il simbolo della vacuità dell’epoca, fatta di divertimento ed eccessi, ma carente in sentimenti.

Sia Daisy che il marito Tom fanno sfoggio di una dubbia moralità: si tradiscono a vicenda, ma alla fine di tutto restano insieme, conservando solo l’apparenza di un’unione perfetta e distruggendo tutto ciò che li circonda.

E invece Nick, il narratore che non dà giudizi, è un osservatore della sua stessa vita: si dedica agli altri, dimenticandosi di sé ed è quasi una sorta di mezzo nella storia tra Daisy e Gatsby.

Nick e Gatsby hanno due modi completamente diversi di rapportarsi alla vita. Nick è realista, moralista. Gatsby è un idealista, che continua a coltivare i suoi sogni. E nonostante Nick cercherà di aprirgli gli occhi sull’impossibilità di rivivere il passato e sulla sua incapacità di rendersi conto che Daisy non è più la stessa, Gatsby resterà sempre un inguaribile romantico.

La morale che emerge dalla penna di Fitzgerald non è per niente semplicistica: per la mentalità borghese, Gatsby è un delinquente, coinvolto in traffici loschi e in tal modo si è arricchito. Non è in tal senso “ammirabile” eppure per Nick, in mezzo a tutta quella gente, è il solo a salvarsi. Tom, il marito di Daisy, perfettamente in linea con la morale borghese dell’epoca, ha un comportamento discutibile: tradisce la moglie, è incapace di amare ed è “razzista”, crede che la sua classe sociale sia superiore alle altre e, per questo, pensa di dover difendere la sua posizione (profetico anche in questo Fitzgerald).

È un romanzo che termina in modo amaro: nessuno andrà al funerale di Gatsby, i cui ricevimenti erano pregni di persone, di quella stessa società falsa e ipocrita, corrotta dalla ricchezza e che vive di apparenze. Gatsby è in fondo un uomo terribilmente solo e nella sua morte questo si manifesterà con evidenza.

Il Grande Gatsby” di Fitzgerald è un romanzo che sotto i ghirigori, nascosto tra le feste e il racconto romanzato di una storia d’amore impossibile, sotto il materialismo e i fiumi di alcol, porta avanti un messaggio pessimistico: la coscienza del fallimento.

Ad uscire sconfitto dalle righe di Fitzgerald è senza dubbio il sogno americano: il mondo basato sull’effimero è destinato a dissolversi, così come la ricchezza che sembrava senza fine in quegli anni. Ed è in ciò profetico il libro: nell’anticipare in qualche modo il crollo di Wall Street del ‘29, la fine dell’American Dream. La sconfitta di Gatsby è la sconfitta nient’altro che di un modo di pensare e di un modo di vivere che naufraga di fronte alla fugacità della vita e all’incostanza dell’essere umano. Gatsby è il perfetto eroe romantico, il sognatore sconfitto, che incanala tutte le sue energie nel raggiungimento di un amore ideale e idealizzato. Quella lucina lontana è piena di promesse e aspettative, ma anche di inganni e di illusioni. Le speranze per il futuro si dissolvono, e non ci sono nuovi inizi in quel ricercare costantemente di rivivere il passato. La luce verde è sempre più lontana, non importa quanti sforzi si facciano per afferrarla. La soavità del sogno si scontra con la realtà aspra e brutale, senza alcuna via di fuga.

«Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C’è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia… e una bella mattina…

Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.»

Vanessa Vaia

Vanessa Vaia
Vanessa Vaia nasce a Santa Maria Capua Vetere il 20/07/93. Dopo aver conseguito il diploma al Liceo Classico, si iscrive a "Scienze e Tecnologie della comunicazione" all'università la Sapienza di Roma. Si laurea con una tesi sulle nuove pratiche di narrazione e fruizione delle serie televisive "Game of Series".

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