Polonia: il palcoscenico polacco è stato ostaggio di neo-fascisti che, tra slogan xenofobi e modi di dialogo “democraticamente” violenti, hanno attraversato con marce fasciste più punti della Polonia; tra gli aderenti anche Roberto Fiore, leader di FN, e Tommy Robinson, leader della England Defence League.

Chiaro è che la simbologia ha forte ascendente sull’opinione pubblica: ma se sul piano internazionale la simbolica marcia ha etichettato la Polonia come “fascista”, sul piano nazionale polacco giacciono altri simboli di lotta antifascista preclusi da risonanze mediatiche e omessi dall’immagine che la Polonia trasmette di se stessa.

Dunque il passaggio da “res pubblica” a “res fracta” dipende da chi racconta la storia, a meno che la frattura sia così evidente, soprattutto laddove lo spazio di libertà d’opinione diviene spazio di coercizione.

In una Wroclaw tipicamente fredda, ridondante di sfumature natalizie e padroneggiata dal gotico Municipio Ratusz, intervisto Marta Lempart, Tadeusz Jakrzewski ed Ewa Trojanowska: difensori della democrazia, gli anelli forti della catena antifascista.

Marta Lempart è un avvocato, originaria di Varsavia, ed è alla guida del Movimento per i diritti delle donne. Movimento che esordisce il 3 ottobre 2016 con il cosiddetto Black Tuesday, un rilevante sciopero generale indetto da nuclei di donne scese in piazza in segno di protesta contro la proposta di divieto totale di aborto: oltre 24.000 polacchi e polacche hanno pacificamente marciato su Varsavia e parallelamente in altre cittadine; la protesta si è ramificata fino a veicolare il messaggio nell’entroterra polacco e la lotta è stata abbracciata anche dai quartieri più emarginati.

Una delle conseguenze del Black Tuesday è stata l’introduzione del termine femminismo nel gergo comune, varcando barriere ideologiche ed entrando nella quotidianità dei focolari: la rete di solidarietà e unità ha orientato le donne lontano dalla paura della denuncia e in direzione della difesa dei diritti che ad esse spettano, che a tutti spettano. «Finalmente in Polonia si parla di diritti umani», afferma Marta.

La grande marcia è stata l’incipit della presa di coscienza della perdurante diseguaglianza sociale tra generi e di spoliazioni di diritti attinenti alla libertà d’opinione: si tratta di un Movimento decentralizzato che si articola in nuclei organizzativi presenti in tutto il territorio polacco.

La prima vittoria del Movimento delle donne è stato il passo avanti nel rispetto della volontà popolare e la marcia indietro sulla legge anti-aborto proposta dal partito nazional-conservatore (Pis); infatti il Parlamento ha respinto il disegno di legge sul divieto totale d’interruzione della gravidanza, ma la legge sull’aborto in Polonia rimane ancora una delle più restrittive.

Una residente polacca, per abortire, è costretta a recarsi in Germania o in altro paese estero, ciò richiede ingenti spese economiche e rende l’aborto esclusivo appannaggio dei ceti più abbienti.

Marta Lempart spiega che il loro programma si articola in quattro punti essenziali:

  • L’educazione sessuale dev’essere considerata non un tabù ma un metodo di prevenzione, e introdotta in primis nelle scuole;
  • Il problema della violenza sulle donne non dev’essere derubricato, ponendo la dovuta attenzione anche al fenomeno della violenza domestica;
  • La Chiesa e lo Stato devono essere autorità indipendenti e la Chiesa non può invadere le sfere di competenza decisionale dello Stato, tantomeno influire nell’ambito medico: si chiede che la clausola di coscienza ceda il posto ad una più luminosa medicina laica;
  • La tutela della situazione economica delle donne, penalizzate sul posto di lavoro in caso di maternità: il che significa percepire una pensione inferiore rispetto agli uomini e di conseguenza l’assoggettamento economico. Inoltre si chiedono sostegni fiscali da parte dello Stato per i nuclei familiari.

Le manifestazioni del Movimento di Marta Lempart sono pacifiche, nonostante in vari casi siano state vittime di violenza, la loro arma è la parola e alcuni strumenti di lotta metaforicamente significativi: il vestito nero, lo scotch sulla bocca e lo sciopero generale.

La lotta, tutt’oggi, continua e il movimento ha già rappresentanze governative in vari quartieri. L’intenzione è di creare un partito stabile e competere, tra 3 anni, alle prossime elezioni.

Obywatele RP è l’altro punto fermo della democrazia e dell’antifascismo in Polonia: con la disobbedienza civile risponde alle censure e alle violenze governative.

Obywatele RP è un’organizzazione nata da Tadeus Jakrzewski e altre 3 persone che il 6 luglio 2016 innalzarono lo striscione “La dignità è la base” dinanzi al Palazzo Reale. Un gesto simbolico che non è passato inosservato, né dal Governo né dal popolo che ha chiaramente abbracciato gli ideali di ORP rendendo numericamente più consistente la seconda marcia su Hajnowka, cittadina bielorussa. Nelle marce ricorre una costante: le rose bianche quali simbolo di lotta, le stesse rose bianche che nel 1943 gli studenti innalzavano in modo non violento per opporsi alla Germania nazista, prima di venire arrestati e decapitati.

Dal 2015 la Polonia è governata dal partito di estrema destra Diritto e Giustizia, ovvero Pis (eletto democraticamente, ma come reazione a ciò che accadde prima del 1989) che nel luglio del 2017 ha presentato al Parlamento una delle leggi più illiberali ed anti-democratiche: il pensionamento (a prescindere dall’età) di tutti gli 83 giudici della Corte Suprema e la sostituzione di essi con nuovi giudici eletti da 22 funzionari, questi ultimi scelti dal Governo, ovvero il connubio tra potere legislativo e giudiziario.

Una legge che farebbe rabbrividire Montesquieu, il quale anticipò che il miglior modo per evitare abusi di potere è tener distinti i tre poteri: «Perché non si possa abusare del potere occorre che il potere arresti il potere».

Alla riforma giudiziaria Obywatele RP ha risposto prima con uno striscione dinanzi al Parlamento polacco: “Il Tribunale è anti-democratico” , poi il 21 luglio 2016 si è tenuto uno dei molteplici sit-in nella piazza sottostante il Parlamento polacco. Accusati di aver manifestato “senza autorizzazione” sono stati chiamati in giudizio. La causa l’hanno vinta, ma restano ancora 618 denunce da contestare in giudizio. Oggi la piazza del Parlamento è recintata e gli attivisti possono manifestare, ma a distanza.

ObywateleRP

Tadeus Jakrzewski , fondatore di Obywatele RP, spiega che non hanno un programma da seguire ma un codice etico, ovvero difendere la dignità utilizzando come linguaggio la disobbedienza civile e «mai la guerra, mai il fascismo».

Attualmente la protesta popolare si svolge su più fronti: le leggi illiberali varate dal Governo e l’avanzata dei fascisti.

Il giorno dell’Indipendenza alcuni membri del Movimento delle donne e di ObywateleRP hanno protestato con una rosa bianca al centro della piazza di Wroclaw in cui erano radunati i fascisti: le donne sono state insultate e picchiate dai fascisti, ma hanno continuato imperterrite la loro protesta finché sono state ostacolate e allontanate dalla polizia, come racconta Ewa Trojanowska vittima di violenza e testimone dei fatti. Dinanzi alla complicità e all’omertà, le donne hanno urlato alle forze dell’ordine frasi come “No Pasaràn” e “Togli la divisa e vai a scusarti con tua madre”.

Gli episodi di violenza contro gli attivisti sono la normalità, così come la complicità della polizia, la quale piuttosto che vietare manifestazioni che trasudano apologia del fascismo, preferisce bloccare l’opposizione senza risponderne giuridicamente. Infatti la polizia polacca utilizza una particolare tecnica: riescono ad accerchiare i manifestanti, bloccandoli fisicamente per alcune ore, senza dichiarare il fermo legale (in modo da esonerarsi dalla compilazione del verbale).

La sinistra polacca non gode soltanto, come si potrebbe immaginare, del consenso dei poveri, ma degli esclusi,ovvero delle persone economicamente benestanti ma prive di diritti sociali e umani; in Polonia il progresso economico non coincide con il progresso nell’ambito dei diritti e delle libertà dell’individuo.

Il Governo polacco può aspirare agli USA di Trump, può voltare le spalle all’UE, ma se viola di diritti del popolo pare che il PIL sia l’ultimo dei problemi. 

Melissa Bonafiglia

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