L’incontro di questa mattina fra il premier Renzi e le parti sindacali si è concluso con una secca bocciatura da parte del leader Cgil, Susanna Camusso. “L’unica vera novità dell’incontro di oggi è che ci saranno altri incontri. Il resto sono cose note”, le lapidarie parole con cui il confronto sul Jobs Act viene sonoramente bocciato.

Nell’intensa mattinata del premier, che oltre alle parti sindacali ha incontrato anche imprese e Cocer, fa capolino una consapevolezza: la riforma del lavoro, per cui il Governo si accinge domani a chiedere la fiducia in Senato, va costruita attraverso il confronto e l’apertura al dialogo, ma non può subire rallentamenti (lo avevamo annunciato già ieri). Perché il vertice europeo sul lavoro è in programma domani e Renzi, nonostante l’opposizione di Camusso e Cgil, vuole ad ogni costo arrivarci in una posizione di forza.

L’apertura della “Sala Verde” per l’incontro con i sindacati, preludio al prossimo round in programma per il 27 ottobre, assume così una valenza particolare all’interno di quel delicato gioco di equilibri e compromessi su cui l’esecutivo è pronto a mettere in ballo la sua stessa sopravvivenza. Passiamo subito in rassegna i principali punti che questa mattina sono stati articolati alla presenza del sottosegretario Del Rio, dei ministri Poletti e Madia, e dei leader sindacali Camusso, Furlan, Angeletti e Mancini.

Priorità assoluta alle “3 T” da mettere in salvo, ovvero gli stabilimenti FIAT di Termini Imerese, ILVA di Taranto e AST di Terni. Fra gli interventi previsti nella legge di stabilità, un’attenzione particolare alla riduzione del costo del lavoro: oltre alla stabilizzazione del bonus IRPEF da 80 euro, 1,5 miliardi da destinare ai nuovi ammortizzatori sociali, più ulteriori 2 miliardi per la riduzione delle tasse sul lavoro da dettagliare in seguito. Sul TFR in busta paga, Camusso ribadisce: sono soldi dei lavoratori, non si tratta di un bonus, per cui guai ad aumentare l’imposizione fiscale.

Oggetto di ulteriore confronto, a tratti anche aspro, le tre delicate questioni di salario minimo, rappresentanza sindacale e contrattazione decentrata. Infine, la spinosa questione dell’articolo 18. Renzi, recependo una proposta della minoranza PD, annuncia il reintegro in caso di licenziamento disciplinare a patto che vi sia “una verifica della fattispecie”. Un modo per strizzare l’occhio anche alla Camusso, che però non si ritiene soddisfatta e a fine incontro è netta: per la Cgil, si ribadisce “il giudizio negativo sul modo in cui si sta proponendo l’intervento sul lavoro e troviamo tutte le conferme della necessità della manifestazione del 25 ottobre”.

Ramoscelli d’ulivo, invece, vengono porti dai leader di Cisl e Uil. “Abbiamo riscontrato una disponibilità al confronto: avere la certezza che sui temi di lavoro, contrattazione e rappresentanza si dialoga con il sindacato lo vediamo come valore aggiunto”, dichiara Anna Maria Furlan, successore di Bonanni alla Cisl. “Oggi Renzi ha fatto una scelta simbolicamente diversa in discontinuità con quella dei mesi precedenti.La valutazione è che forse, siamo in presenza di un cambiamento, di un atteggiamento del governo diverso verso le forze sociali”, le parole del numero uno Uil Luigi Angeletti.

Insomma, nonostante i toni per nulla concilianti di Susanna Camusso, Renzi incassa una mutata disponibilità di parte dei sindacati, incuneandosi in quel blocco che sull’articolo 18 e la riforma del lavoro sembrava ritornato granitico, e si prepara a sfidare l’aula, dicendosi convinto che non vi saranno “tiri mancini” da parte della minoranza PD. Del resto, come fa sapere anche Angelino Alfano, il Jobs Act “è uno di quei temi per cui il Governo o va avanti perché ottiene la fiducia o casca perché non la ottiene”.

 

Emanuele Tanzilli

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