In piena contrapposizione i due filoni legislativi che si stanno sviluppando in questi giorni sul tema pensioni, con Landini e i sindacati che premono per un’incentivazione all’uscita anticipata dal lavoro e una riduzione drastica dell’età pensionabile per creare spazio lavorativo ai giovani e, in opposto, il governo che riduce l’ammontare dell’assegno pensionistico e contestualmente, quasi per obbligo, aumenta l’età pensionabile.

Era già nell’aria e mancava solo l’ufficialità. Da ieri, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prende efficacia giuridica il nuovo decreto del Ministero del Lavoro che va a revisionare i coefficienti di calcolo per le pensioni. La modifica parte da un aggiornamento delle previsioni ISTAT sulle aspettative di vita dei pensionati e dall’obbligo del decreto legge 78/2010 che impone una revisione di questi ultimi al fine di mantenere l’equilibrio finanziario nelle casse dello Stato.

Tale equilibrio del sistema è sostenibile solo se un pensionato medio, che dai recenti dati ha aumentato la sua prospettiva di vita, non viene a “costare” di più rispetto a quello che ha versato. Quindi, contestualmente la rata delle pensioni erogate deve diminuire in proporzione. La revisione fino ad oggi è avvenuta ogni 3 anni, ma a partire dal 2019, in base al decreto Salva Italia, si potrà assistere a modifiche dei coefficienti del montante contributivo ogni 2 anni.

Dal 1995, anno della riforma delle pensioni Dini, ad oggi, i coefficienti per il calcolo previdenziale sono stati tagliati del 12%.
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La decisione di oggi tocca tutti i pensionati, che riceveranno in media assegni previdenziali ridotti del 2%, circa 8 euro, rispetto al 2015, ma li riceveranno posticipati di 4 mesi (a 66 anni e 7 mesi) rispetto ai pensionati di quest’anno a 66 anni e 3 mesi. Viene ribassata ancora la pensione e insieme ad essa si andrà in pensione più tardi, ma tale scelta del Ministero è scelta obbligata. Facendo un confronto tra un pensionato ai tempi della riforma Dini e un neo-pensionato, il secondo deve lavorare 4 anni in più e andare in pensione a 69 anni a fronte di 65 anni.

Continua invece l’opera di pressing istituzionale del segretario della Fiom-Cgil Maurizio Landini che in questi mesi in tutte le salse sta ripetendo come sia necessaria una modifica della riforma pensionistica Fornero. “Sulle pensioni, ad esempio, Renzi non mi pare che abbia deciso di tagliare l’età”, ha detto Landini proponendo più flessibilità in uscita con nuove forme di pensione anticipata. Il leader della nuova coalizione sociale insiste su una riduzione “drastica” dell’età per il raggiungimento dei requisiti per l’accesso al trattamento previdenziale anche con lo scopo di creare nuove opportunità lavorative per i giovani per far fronte alla drammatica disoccupazione giovanile in Italia.

Proposte intanto arrivano da parte del presidente della commissione lavoro alla camera Cesare Damiano e dal fronte Dem. “Pensione a partire dai 62 anni con 35 di contributi ed una ragionevole penalizzazione dell’8% potrebbe essere una misura di modernizzazione del sistema”, dice il primo, mentre dalla minoranza dem si preme per l’uscita per i lavoratori precoci con 41 anni di versamenti senza alcuna penalizzazione; tale provvedimento andrebbe a tutelare quei lavoratori che hanno cominciato in giovanissima età e che ora vogliono uscire dal mondo del lavoro trovatisi spiazzati dalla nuova età pensionabile della riforma Fornero, un modo per generare un mini turn over tra ex lavoratori e nuovi (giovani) lavoratori.

Si prospetta dunque una classica calda estate di ddl e riforme su entrambi i fronti del lavoro e delle pensioni.

Vincenzo Palma

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