Soumahoro Stati popolari
Aboubakar Soumahoro sul palco e i partecipanti degli "Stati Popolari" in piazza San Giovanni in Laterano, Roma. Fonte immagine: Twitter

Il 5 luglio scorso in Piazza San Giovanni a Roma si sono tenuti gli “Stati Popolari” convocati da Aboubakar Soumahoro, sindacalista dell’Usb (Unione sindacati di base). Il titolo dell’iniziativa riecheggia gli “Stati Generali” indetti dal governo Conte per progettare la ripartenza dell’Italia, ma i due eventi sembrano avere poco in comune, a partire dalla location.

Il governo ha scelto Villa Doria Pamphilj; il sindacalista italoivoriano una piazza conosciuta per le adunate di popolo (emblematico il concerto del primo maggio). Diversi sono anche gli invitati. Agli “Stati Generali” hanno presenziato, per citarne alcuni, i vertici politici ed economici dell’Unione Europea (i presidenti di Parlamento e Commissione David Sassoli e Ursula von der Leyen, la presidente della Bce Christine Lagarde); fra le parti sociali Confindustria e altre associazioni di imprese e la task force voluta da Vittorio Colao per progettare la ripartenza dell’economia italiana.

Gli “Stati Popolari”, invece, hanno ospitato gruppi di persone differenti, ma uniti da un denominatore comune: la loro invisibilità. La manifestazione, trasmessa in diretta Facebook e Instagram, è stata resa possibile dalla campagna di donazioni sul sito e dall’attività di volontari. A dare sostegno all’iniziativa sono stati vari personaggi, dal sindaco di Milano Beppe Sala all’attivista Carola Rackete, da artisti quali Valentina Lodovini e Ascanio Celestini ai genitori di Giulio Regeni.

Le diverse voci del “quarto stato” su un unico palco

Nonostante le lotte per le quali Soumahoro è conosciuto abbiano riguardato lo sfruttamento dei braccianti agricoli e lo strapotere della grande distribuzione organizzata, l’obiettivo si fa più ampio, in un momento in cui si progettano possibili scenari futuri per l’economia e la società. Il momento è propizio perché si tratta di ideare politiche redistributive più giuste. L’obiettivo dichiarato degli “Stati Popolari” – si legge sul sito – è stato quello di creare «una piazza umana per rendere visibili tutti gli invisibili e per dare voce a tutti gli inascoltati».

E in effetti cosi è stato. Sul palco hanno avuto spazio le voci di quel “quarto stato” che compone la maggioranza della popolazione italiana: lavoratori privi di tutele contrattuali e previdenziali, precari, disoccupati, persone discriminate per motivi razziali e di orientamento sessuale. In particolare hanno portato le loro storie i braccianti agricoli pugliesi, i rider, i lavoratori dei call center, i praticanti di libere professioni sfruttati e sottopagati con rimborsi spese, partite IVA e ritenute d’acconto, i precari in ambito scolastico e sanitario, gli studenti. Presenti erano anche i lavoratori Whirlpool, Alitalia ed Ilva, quelli dello spettacolo e del mondo dell’arte, le associazioni in difesa dei diritti LGBTQ. Si è parlato anche di problematiche ambientali e dei disagi che vivono le persone disabili.

Soumahoro stati popolari
Due braccianti agricoli del foggiano sul palco degli “Stati Popolari”. Fonte immagine: Facebook

Un’agenda politica dettata dal basso

In generale Soumahoro sta tentando di portare al centro dell’agenda politica il tema, di cui non si parla mai abbastanza, della riduzione delle disuguaglianze sociali ed economiche, coinvolgendo il più ampio numero possibile di fasce di popolazione, ciascuno con i propri disagi. Il sindacalista ha evidenziato come in questa fase sia necessaria una «nuova cultura collettivistica» che rilanci la centralità della comunità, in reazione all’attuale società abitata da una «convivenza parallela degli “io”, spesso incapaci di entrare in empatia con gli altri».

Soumahoro ha inoltre denunciato le storture della politica attuale, che hanno contribuito a creare ulteriori divari sociali. Alcuni leader hanno infatti fomentato le contrapposizioni per convenienza elettorale («La politica del “prima gli italiani” è sicuramente l’emblema di questo smembramento sociale […]»). A tale proposito il sindacalista ha sottolineato come compito primario della politica sia «creare coesione sociale attorno ai bisogni comuni […] unire le diverse forme di invisibilità in una lotta unitaria». Altro tema sempre attuale è la lontananza dei palazzi del potere dal popolo. Soumahoro ha parlato in particolare di una distanza emotiva, che impedisce alla politica di «ascoltare con empatia umana immedesimandosi nei dolori […], nelle aspirazioni, nelle speranze […] della massa popolare». Un’empatia che si è voluto ricreare dando un volto e una voce, appunto, a fasce variegate di lavoratori ed attivisti riuniti negli “Stati Popolari”.

Il “Manifesto per la giustizia, la libertà e la felicità”

Questi temi hanno trovato collocazione in un “Manifesto per la giustizia, la libertà e la felicità” in cui Soumahoro ha raccolto in un programma le richieste degli “Stati Popolari”. Non è ancora chiaro se il sindacalista voglia iniziare una carriera politica. Per il momento sembra voler farsi portavoce di un’ampia istanza di cambiamento che spetta al governo e a parte delle forze politiche raccogliere («Aprite il palazzo, spalancate le finestre, perché nella pancia della comunità c’è fame, c’è miseria […]») e che si incentra sulle seguenti proposte:

  • Un Piano nazionale emergenza lavoro. Soumahoro durante il suo discorso ha richiamato l’articolo 1 della Costituzione «nella sua accezione di emancipazione […] di risveglio, di dignità». Nella misura in cui il lavoro è sfruttamento, ha proseguito, esso entra in contrasto con la Carta fondamentale. Serve dunque un progetto in grado di dare risposte a coloro che hanno perso il lavoro durante la pandemia e di rilanciare la lotta al precariato, una condizione nei fatti permanente per alcune fasce di lavoratori (il sindacalista ha parlato di «precari/precarie esistenziali»). È stata anche rilanciata l’idea di un reddito universale per sottrarre i più indigenti all’obbligo di accettare condizioni di lavoro degradanti.
  • Un Piano nazionale per l’edilizia popolare e per l’emergenza abitativa. Il problema della casa, ha sottolineato il sindacalista, è trasversale poiché non coinvolge solo i disoccupati, ma anche i precari, i titolari di partita IVA, per i quali è difficile pagare i canoni d’affitto e le rate del mutuo.
  • Una Riforma della filiera del cibo che consenta al consumatore di tracciarne provenienza e percorso e di conoscere le condizioni lavorative dei vari operatori coinvolti nel processo produttivo (non solo braccianti, ma anche magazzinieri/e, cassieri/e, rider). È infatti improrogabile lottare attivamente per quel «caporalato digitale dei colletti bianchi» (si pensi al lavoro dei rider che dipende per lo più dal proprio smartphone) che privano il lavoratore di tempo e dignità.
  • Sul fronte delle politiche migratorie i profili affrontati sono vari. Soumahoro ha proposto l’istituzione di un ente pubblico di sostegno dei lavoratori italiani all’estero, che crei anche le condizioni per un loro eventuale rientro. Ha poi evidenziato la necessità di rompere con la «politica di razzializzazione» che nega la natura sociale del fenomeno migratorio per ricondurlo solo all’ambito della sicurezza dello Stato. Da questo punto di vista Soumahoro ha proposto che di tali politiche si occupi il ministero per le Politiche sociali, anziché quello dell’Interno. Il sindacalista ha poi rilanciato la necessità di abolire i decreti Bossi-Fini e “Sicurezza” (varati sotto il ministero Salvini) e ha proposto una regolarizzazione straordinaria per tutti quei migranti che, pur avendo continuato a lavorare in piena pandemia, ad oggi non hanno un permesso di soggiorno. Infine, il tema della cittadinanza per coloro che sono nati e cresciuti in Italia.
  • Un Piano nazionale per la tutela dell’ambiente e del territorio. Il punto di partenza è che non c’è giustizia ambientale senza giustizia sociale. Soumahoro ha portato ad esempio di tale consapevolezza l’Ilva di Taranto, in cui gli operai si sono trovati dinanzi al paradosso della scelta tra lavoro e salute.
  • Infine, un Piano Nazionale per la cultura che rilanci un effettivo diritto allo studio per tutti i cittadini e valorizzi il lavoro degli operatori del settore delle arti in generale.

L’appello al “noi” e alla politica per un nuovo (e vero) Stato Sociale

Gli “Stati popolari” hanno cercato di mettere in discussione l’individuo, la società e la politica. Per un serio piano di ricostruzione occorre ritrovare anzitutto un senso di comunità («il “noi” attuale è il “noi” dell’egocentrismo […]»), frammentata anche dalla forte presenza dei social network che contribuiscono ad allontanare le persone e ad indebolire le relazioni. Soumahoro spera, insomma, in un ritorno nelle piazze fisiche, dove sia possibile ri-accedere alla dimensione relazionale per sentire come propri i disagi, i bisogni e le speranze dell’altro.

Il messaggio lanciato alla politica mira al recupero della centralità dell’articolo 3 della Costituzione. Nella misura in cui è compito dello Stato impegnarsi per la rimozione delle disuguaglianze economiche e sociali, la politica dovrebbe avere come sua prima missione ascoltare e sostenere quel “quarto stato” espressione della maggior parte della popolazione. La pratica del fare il giro delle periferie per mere convenienze elettorali («le nostre periferie non possono essere sinonimo di uno zoo elettorale») ha fatto il suo corso; è giunto il momento, secondo Soumahoro, che la politica riprenda relazioni continuative e costruttive con le persone[…] dai territori nascono gli Stati popolari, non da Villa Pamphilj»).

Anche perché gli “Stati Generali” voluti dal governo, per quanto vi abbiano preso parte vertici economici e politici di primo piano (a parte i “grandi assenti”, come Mario Draghi), non hanno avuto molta eco sociale. Per l’ennesima volta la politica si è fatta cenacolo di pochi eletti e ha perso il contatto con la realtà. La speranza (che è sì sempre visionaria, ma tanto vale averla) è che quella piazza San Giovanni non cada nel dimenticatoio, che la sfida degli “Stati Popolari” venga raccolta da validi interlocutori politici. Il problema è chi, ad oggi, ha orecchi per intendere.

Raffaella Tallarico

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