La questione del velo e in generale il tema della donna musulmana accendono da mesi il dibattito sull’integrazione in Europa. Spesso sui media la questione finisce col ridursi ad un discorso populista e razzista, sebbene la questione del femminismo in contesto islamico sia molto più complessa.

Noi di Libero Pensiero News abbiamo intervistato la dottoressa in Studi su Nord Africa e Medio Oriente Sara Borrillo, attualmente assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale.

Svelate. Marocco: femminile plurale è il titolo del progetto che dal 2010 è stato in mostra in numerose città italiane tra cui Napoli, nell’ambito della mostra Futuro Remoto. Di che cosa tratta?

«”Svelate. Marocco: femminile plurale” è un progetto di foto-narrazione che racconta sette storie di donne marocchine in chiave biografica. I soggetti di questo progetto provengono da diversi contesti, perlopiù urbani, e da diverse classi sociali, ma sono accomunati dal filo rosso dell’emancipazione. Si tratta di storie che, nella loro straordinaria ordinarietà, vanno al di là degli stereotipi diffusi in Italia sulle donne provenienti dai paesi a maggioranza islamica. In particolare, ci siamo occupate del caso del Marocco, paese dove mi trovavo a scopo di ricerca già nel 2008 e dove, per un caso fortuito ho conosciuto Michela Pandolfi (N.d.R. la fotografa co-autrice del progetto). È con lei che abbiamo deciso di dare voce a queste storie e di esporle in una mostra. 

femminismo donne
Sara Borrillo durante il workshop presso la cooperativa Dedalus.

La mostra, che da subito ha avuto una vocazione itinerante, non si limita alle fotografie e ai testi, ma ad un insieme di presentazioni di libri, attività ludiche e teatrali che costruiamo con la collaborazione delle associazioni culturali che ci ospitano di volta in volta. Questo tipo di attività culturali, come ad esempio il workshop tenutosi a gennaio presso la cooperativa sociale Dedalus, hanno lo scopo appunto di “svelare” una serie di pregiudizi sulle donne musulmane, sul velo e in generale sull’Altro, percezioni che portano con sé un carico simbolico che intendiamo decostruire. Il senso del progetto sta tutto nel gioco di parole del titolo “svelare”, non forzatamente le teste delle donne musulmane, come vorrebbe un certo femminismo occidentale e neoliberale, ma svelare le storie delle persone per decostruire gli stereotipi che hanno a che fare con l’universo femminile e per estensione con tutto il mondo arabo-islamico.»

L’integrazione è un tema che viene poco affrontato nelle scuole e i laboratori di cui hai parlato erano spesso rivolti proprio ai ragazzi della scuola secondaria. Che feedback hai ricevuto da queste esperienze?

«Una delle prime domande che abbiamo fatto agli studenti iniziando i seminari è: “Cosa pensi quando vedi una donna velata nello spazio pubblico delle nostre città?”. Come potete immaginare, le risposte riecheggiavano tutte i temi di sottomissione, mancanza di diritti, costrizione, assenza di scelte e della capacità di pensare e agire autonomamente. Al termine del laboratorio queste idee, espresse con parole pesanti e fortemente connotate, cambiavano. Dai commenti lasciati alla fine dei laboratori si avverte l’avvenuto ribaltamento di uno sguardo preconfezionato, un’apertura di orizzonti che, se non altro, rende la questione più complessa. Sembra poco, ma già avere la restituzione di un senso di vicinanza che viene colto da chi legge e da chi guarda è un risultato.»

Oltre al progetto Svelate, Sara Borrillo è autrice di un libro dal titolo Femminismi e Islam in Marocco. L’opera di carattere storico-sociologico esamina in particolare tre grandi correnti del femminismo marocchino: il femminismo laico, l’attivismo islamista, nel quale la questione di genere viene elaborata, differentemente dalle altre correnti, tramite il concetto di “complementarietà” tra uomo e donna (divisione di genere del lavoro secondo la dicotomia produzione/riproduzione), e infine il femminismo islamico. Quest’ultimo in particolare è una corrente di pensiero piuttosto recente e che in Italia si conosce poco. Di cosa si tratta?

«Intanto mi sembra utile ribadire che in Marocco, come del resto emerge da questo lavoro, esiste un movimento delle donne che può essere definito femminista e che rivendica i diritti di quella che viene percepita come una minoranza, quella femminile appunto, a partire dall’assunto che le donne subiscono una discriminazione sociale, di stampo patriarcale, giustificata e legittimata dalla presenza di leggi effettivamente discriminatorie. Spesso la religione viene utilizzata a fini politici per legittimare relazioni di potere esistenti e così è stato per l’Islam, sostengono le femministe islamiche, religione che per secoli ha rafforzato un sistema patriarcale a causa di coloro che hanno interpretato le fonti sacre del diritto. Secondo le femministe islamiche all’origine di tutta una serie di interpretazioni misogine vi è proprio questo squilibrio di potere in società: se gli unici a cui è concesso interpretare le Scritture sono gli esponenti di una classe egemonica composta da uomini in generale, e in particolare da un’élite di sapienti (gli ʿulamāʾ), non è escluso, anzi è la prassi, che le leggi elaborate sulla base dei loro pareri siano misogine. 

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Le femministe islamiche rivendicano, innanzitutto, l’accesso delle donne all’autorità religiosa e la capacità femminile di elaborare ragionamenti giurisprudenziali indipendenti, e mirano ad apportare una riforma sociale e politica, inserendosi nella continuità storica del riformismo islamico (corrente di pensiero viva ed attiva nel mondo arabo, contrapposta al conservatorismo dei ben più noti salafismo e wahhabismo). Queste intellettuali – ad oggi il movimento si muove ancora nell’ambito purtroppo ristretto dell’élite colta – credono fermamente in una rilettura del Corano e della Sunna in chiave egualitaria, compatibile con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Questa corrente di pensiero è presto diventata globale ed è diventata campo di ricerca di molte intellettuali, nordafricane ma anche dell’afroamericana Amina Wadud, e si sta pian piano affermando come una “terza via” tra femminismo laico e islamismo, in quanto è vista come una conciliazione tra il discorso postcoloniale, relativo alla possibilità di dare voce alle minoranze (lungo l’intersezione di genere ed etnicità) e di creare un sapere libero dagli stereotipi occidentali, e un discorso identitario e culturale.»

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Un’ultima riflessione, relativa ad un argomento di attualità. In questi ultimi mesi la regione più settentrionale del Marocco, il Rif, è in protesta contro la marginalizzazione sociale ed economica a cui la zona è sottoposta da anni. Dopo l’arresto del leader della rivolta Nasser Zafzafi pare che ad “ereditare” la leadership, se così si può dire, di un movimento fondamentalmente popolare, sia stata proprio una donna, Nawal Ben Aissa, senza dubbio una figura che cozza con l’immagine della donna musulmana reclusa in casa ad accudire la prole.

«Nawal Ben Aissa, stando a quanto ho potuto leggere sui media locali e internazionali, è una madre poco più che trentenne di quattro figli. Si è distinta durante le continue manifestazioni che si sono tenute nel Rif a partire dalla morte di Fikri per i suoi continui appelli alla non violenza e alla protesta pacifica (in arabo silmiyya) usando il web e scrivendo e che, dopo l’arresto di Zafzafi, si è consegnata di sua spontanea volontà alle autorità non appena ha saputo di essere ricercata, le quali tuttavia non hanno ancora proceduto all’arresto. Possiamo dire che Nawal Ben Aissa, che chiaramente non è l’unica donna a partecipare attivamente alle proteste, è un simbolo dell’assunzione di responsabilità da parte delle cittadine marocchine nella lotta per i propri diritti, nonostante provenga da ambiente sociale marginalizzato. La sua figura decostruisce i nostri stereotipi, a parte la questione velo/non velo, e dimostra che le cose sono molto più complesse di quanto ci raccontano i media mainstream, e sicuramente queste micro-storie, questa di Nawal Ben Aissa e quelle che abbiamo raccontato noi, possono aiutare a ribaltare delle prospettive e a svelare i nostri stereotipi.»

Intervista a cura di Claudia Tatangelo

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