Esiste un proverbio arabo che recita “Se l’uomo fosse fiume, la donna sarebbe ponte”. In Iran il ponte che porta dalla sponda di un regime autoritario a quella di una società civile hanno iniziato a costruirlo proprio le donne, con proteste e manifestazioni che si susseguono ormai da più di un anno. Questo lavoro incessante, il loro impegno e sacrificio per la causa le ha rese talmente grandi che due dei più importanti riconoscimenti internazionali in campo umanitario sono stati assegnati proprio a quelle donne: Narges Mohammadi e Mahsa Amini.
Narges Mohammadi: un esempio di determinazione e resilienza
L’attivista e giornalista iraniana Narges Mohammadi ha ricevuto lo scorso 6 ottobre il Nobel per la Pace 2023 per il suo impegno contro l’oppressione delle donne in Iran e per la sua lotta a favore dei diritti umani e della libertà. La notizia è stata accolta con grande entusiasmo sia dall’attivista, che attualmente si trova nel carcere di Shahr-e Rey a Teheran, sia dalla sua famiglia, da suo marito e i suoi due figli che non vede da quasi 10 anni per via delle diverse incarcerazioni e del loro esilio forzato a Parigi.
Mohammadi sta scontando l’ennesima condanna dopo essere stata arrestata il 16 novembre 2021 mentre si trovava nel corteo di una cerimonia commemorativa. In passato, la giornalista iraniana si è battuta per diverse cause civili, dalla protesta per vedere riconosciuti i diritti delle donne in Iran alla sua campagna contro la pena di morte per il quale è stata anche imprigionata.
Da quando ha iniziato il suo percorso di attivismo, la giornalista iraniana è stata arrestata 13 volte, sottoposta a 5 condanne penali e condannata complessivamente a 31 anni di carcere e 154 frustate oltre a essere stata quotidianamente sottoposta a trattamenti disumani all’interno del carcere.
Mahsa Amini: l’inizio delle rivolte in Iran
Mahsa Amini era una ragazza curda di 22 anni morta mentre era sotto custodia della polizia morale iraniana (un organo della polizia iraniana che si occupa del rispetto del codice d’abbigliamento imposto ai cittadini), che l’aveva arrestata 3 giorni prima per aver indossato in modo sbagliato il velo che, secondo il codice iraniano, è obbligatorio per le donne.
La sua morte sarebbe stata fatta passare per infarto anche se il suo corpo mostrava ferite riconducibili a un pestaggio. Proprio il modo violento e il motivo apparentemente futile per cui è morta hanno scatenato un’ondata di manifestazioni in Iran che continuano ancora oggi. Per il coraggio e la lotta per vedere riconosciuti i propri diritti fondamentali e libertà è stato conferito il premio Sacharov 2023 dal Parlamento Europeo a Mahsa Amini e alle donne iraniane del movimento.
L’assegnazione del Nobel all’attivista Iraniana e il conferimento del premio Sacharov a Mahsa Amini e alle donne iraniane sono un segnale chiaro e forte che la comunità internazionale si unisce seppur simbolicamente ai cortei che chiedono giustizia, diritti e libertà per le strade iraniane.
Un anno di contestazioni e la risposta della Repubblica Islamica
Le donne iraniane, quasi spontaneamente, a seguito della morte di Mahsa Amini si sono unite e hanno creato il movimento “Donna, Vita, Libertà”: la prima organizzazione in Iran a essere stata costituita principalmente da donne.
Evidentemente l’esigenza di unire la loro voce per farsi sentire il più lontano possibile era forte, ma è stata necessaria perché le contestazioni hanno fatto luce su altri dibattiti che mostravano delle crepe nella struttura della Repubblica Islamica: alle proteste già in atto, infatti, se ne sono aggiunte altre come, ad esempio, quelle per l’eliminazione del “Consiglio dei Guardiani”, un’organizzazione con diritto di veto sulle candidature presentate alle elezioni che ostacolerebbe il normale svolgimento di elezioni democratiche.
Ma a un crescendo di manifestazioni e proteste sempre più consistente la risposta del regime è stata quella della repressione in ogni sua forma: dai manganelli agli idranti, dagli arresti alle uccisioni. Si conta che in un anno siano state arrestate circa 20.000 persone e uccisi 500 manifestanti nei modi più disparati.
Dopo un anno anche i più conservatori cominciano a cedere
Questa non è la prima volta che la Repubblica Islamica affronta dei momenti di crisi: già nel 2009 ci furono diverse contestazioni riguardo l’esito delle elezioni presidenziali, mentre nel 2017 scoppiarono dei disordini per via delle preoccupanti condizioni economiche in cui versava il paese.
Ma la differenza sostanziale tra le proteste degli anni passati e quelle di oggi, partite all’indomani della morte di Mahsa Amini, sta nel grado di coinvolgimento della popolazione alla causa: se prima le proteste riguardavano solo alcuni ceti sociali, e soprattutto uomini, le contestazioni di oggi in Iran riguardano cittadini di ogni genere e classe sociale.
Fortunatamente nel corso di questo anno turbolento anche le fasce più conservatrici sembrano iniziare ad aprirsi al dialogo. Alcuni membri del governo si sono espressi a riguardo e avrebbero trovato nei motivi delle varie proteste dei punti su cui poter lavorare. Ad esempio, il Ministro del Turismo conservatore Ezzatollah Zargram ha affermato durante un incontro al governo che alle donne dovrebbe essere concesso il diritto di poter apparire senza velo.
C’è ancora molto da fare in Iran
Riassumendo, il periodo critico che stanno affrontando i cittadini mediorientali trova la sua genesi, per la prima volta, da una rivolta di sole donne al quale poi si è aggiunta la popolazione tutta. Una rivolta così unificante e determinata non si era mai verificata nel paese e questo ha dunque scosso ulteriormente tutte quelle crepe che il muro della Repubblica Islamica si porta dietro dal 1979, anno della fondazione.
Questa volta, però, ad appoggiare le proteste delle donne iraniane e di chiunque stia combattendo per il paese c’è anche la comunità internazionale e l’Occidente che ha dato, seppur simbolicamente, sostegno alla causa iraniana insignendo Narges Mohammadi del Nobel per la pace e Mahsa Amini e le donne del movimento “vita, donna, libertà” del premio Sacharov.
Certo è che il cammino che porta verso un Iran in cui donne e uomini godono degli stessi diritti sociali e civili e in cui la libertà di pensiero non venga più considerata una blasfemia è ancora lungo, ma oggi a fare la differenza c’è che per la prima volta, in Iran, uomini e donne si sono uniti per combattere contro un regime autoritario che lede la libertà di tutt*.
Resta la speranza che i nomi di Narges Mohammadi, di Mahsa Amini e delle altre donne come loro non vengano solamente aggiunti alla lista dei martiri per la causa, ma siano il trampolino di lancio per un cambiamento profondo e radicale nell’Iran teocratico.
Benedetta Gravina