Lo scorso 8 aprile è finalmente arrivata la tanto attesa Esortazione Apostolica post sinodale di Papa Francesco, un importante testo che riassume e sistematizza i dibattiti dei due Sinodi sulla famiglia.

Si intitola Amoris Laetitia, «la gioia dell’amore» e in circa 260 pagine cerca di chiarire e di giustificare la nuova linea dottrinale e pastorale della Chiesa, rispetto a tematiche scottanti e attuali come il calo demografico, le unioni di fatto, la contraccezione e il divorzio, ma anche l’educazione dei figli e la vita coniugale.

Le aspettative erano tante, soprattutto perché dalla nomina a pontefice nel marzo 2013, Bergoglio ha rapidamente catturato il cuore di credenti in tutto il mondo, affascinando vecchi e giovani, cattolici e laici e apparendo ai più come il Papa che non ha paura di aprirsi all’altro, che non esclude e non condanna, ma accoglie. Alcuni non hanno esitato a definirlo “rivoluzionario” e alternativo, capace di rompere con la tradizione e sovvertire l’ordine costituito. Dalla croce di legno in segno di umiltà, all’astensione di giudizio nei confronti degli omosessuali, fino a un’apparente apertura al dibattito sulla sessualità; Francesco in questi tre anni di pontificato è riuscito a costruirsi un’immagine tanto potente e immacolata da oscurare tutti i dubbi e le ambiguità che circondavano i suoi rapporti con la dittatura argentina ai tempi del vescovato a Buenos Aires.

Proprio in virtù di tutte queste aspettative, il nuovo documento ufficiale sulla famiglia, a sostituzione di quello scritto 35 anni fa da Giovanni Paolo II, si presenta un po’ come il banco di prova per misurare la reale portata rivoluzionaria dei vertici ecclesiastici. Ed effettivamente, in alcuni passaggi del testo non si può non notare una certa quantità di progressismo, soprattutto relazionandolo a quella che Antonio Gramsci chiamava «la più grande forza reazionaria esistente in Italia», segnata da una condotta estremamente conservatrice, tanto da propagandare modelli sociali e culturali a volte completamente estranei non solo dal mondo contemporaneo, ma anche dalla vita reale di molti cattolici.

Sono tantissimi gli argomenti trattati nei nove capitoli del documento, ma i passaggi più interessanti sono quelli che trattano delle tematiche intorno all’affettività e alla sessualità, che negli ultimi anni hanno popolato i grandi dibattiti dell’opinione pubblica: dal divorzio all’eutanasia.

Davanti alla tradizionale esclusione dall’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati, papa Francesco decide, invece, di anteporre alla dottrina la ratio e la capacità di discernimento.

Il sacerdote dovrebbe valutare attentamente caso per caso e, singolarmente, perdonare e accogliere anche le seconde famiglie, i cui membri «non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo».

Finalmente, quindi, anche la Chiesa si è “arresa”, almeno in parte, alla dolorosa statistica che parla di un divorzio ogni quattro unioni coniugali, mettendo in luce come l’amore per una persona può anche non essere eterno e, soprattutto, che la vita matrimoniale può risultare insostenibile anche per i fedeli più ubbidienti.

Non stupisce affatto, invece, la chiusura verso le coppie omosessuali e le unioni civili, anche perché l’ormai famoso «chi sono io per giudicare» del 2013 e il passaggio dell’Esortazione che sottolinea come «ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto», si affiancano alla prevedibile riaffermazione di un’unica naturalità coniugale composta da uomo-donna, essendo quindi ben lontano da un atteggiamento di reale parità e uguaglianza di tutti i tipi di amore e di famiglie. A proposito delle unioni civili, il papa – in nome della misericordia che dovrebbe caratterizzare l’Amoris Laetitiae nell’anno del giubileo – evita i toni apocalittici di una dichiarazione antecedente al pontificato, quando aveva apostrofato le nozze gay come «la distruzione del piano di Dio», ma si limita a ribadire e a giustificare la più assoluta disparità delle unioni omosessuali rispetto al matrimonio tradizionale, perché «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia».

Meno prudente è, invece, nei confronti della terribile e pericolosa diffusione della teoria gender, che di fatto non esiste, ma risulta essere sempre un buon argomento di cui parlare per rimanere fedeli a un certo tipo di oscurantismo sessuale, tanto caro al Vaticano. Così affronta la questione al paragrafo 56: «è inquietante che alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili, cerchino di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini». Affermazione in piena sintonia ideologica con la campagna, appoggiata tra gli altri da Mario Adinolfi, che vuole contrastare la diffusione dell’ora di educazione alla sessualità e alla parità di genere nelle scuole.

Chissà cosa penseranno di questo Svezia, Danimarca, Germania e la maggior parte dei paesi Europei – tranne Italia, Grecia, Spagna e Polonia – in cui la lotta agli stereotipi di genere si affronta da anni proprio dedicando obbligatoriamente del tempo a questi temi. Nonostante questa intransigenza dottrinale, anche il Papa vuole pensare ai più giovani e, così, il settimo capitolo è dedicato all’educazione dei figli, partendo dalla loro formazione etica, fino alla vita sessuale. Proprio qui, dopo essersi dichiarato sorprendentemente a favore dell’educazione sessuale, torna subito nell’impostazione rigorosamente cattolica e mette in guardia verso «il sesso sicuro».  A fronte di statistiche recenti, che parlano di una crescita nei contagi di Hiv e di Aids proprio a causa di rapporti sessuali senza preservativo (circa l’85% dei casi), per Bergoglio è importante ribadire che il contraccettivo rimane comunque un male perché promuove «un atteggiamento negativo verso la naturale finalità procreativa della sessualità, come se un eventuale figlio fosse un nemico dal quale doversi proteggere».

Irremovibile e prevedibilissimo no, oltre che per l’utero in affitto, anche verso quello che definisce «l’anatema» dell’eutanasia, evidenziando la sacralità della vita: un punto di vista cristiano classico e per lo meno contraddittorio, per il quale se l’artificio non deve assolutamente intervenire nelle nascite, quando si tratta di morte, al contrario, si legittima il ricorso a qualsiasi tipo di intervento tecnico e artificiale, fino all’accanimento terapeutico.

Insomma, guardando il documento da una prospettiva totalmente laica e legata alle problematiche più attuali,  l’Amoris Laetitia non sembra aver apportato complessivamente nulla di nuovo, almeno dal punto di vista dottrinale. Ha invece ribadito, in alcuni passi in modo più contemporaneo e poetico, una posizione sostanzialmente conservatrice. Posizione che, se a volte appare, soprattutto dall’interno della struttura ecclesiastica, eccessivamente liberale e progressista, è perché tenta timidamente di stare a ritmo con il mondo, o almeno di non arrivare troppo in ritardo e di distaccarsi da linee dottrinali troppo spesso inadeguate e controproducenti per la Chiesa stessa. Così, cercando di inseguire la modernità e di scardinare, per lo più a parole, alcuni degli antichi dogmi morali inattuali, inciampa nell’impossibilità di dare una giustificazione teologica a queste piccole aperture, ritornando inevitabilmente sui soliti vecchi e reazionari passi.

Rosa Uliassi

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