Picco delle vendite di mascherine bianche in Corea del Sud. Il virus della Mers – sindrome respiratoria mediorientale da coronavirus – scatena il panico.

Dal 20 maggio, giorno in cui si è individuato il primo paziente infetto, un uomo sudcoreano di 68 anni che aveva viaggiato in Arabia Saudita – paese dove la malattia è stata individuata la prima volta nel 2012 – il numero delle vittime è salito a dieci. I casi accertati secondo il ministero della Salute sudcoreano sono 122, ma il numero potrebbe crescere presentandosi in particolar modo tra i familiari e amici dei primi pazienti colpiti. La velocità del contagio è dovuta al fatto che il paziente zero ha girato quattro ospedali prima di ricevere la diagnosi definitiva, entrando nel frattempo in contatto con numerose persone a lui vicine e operatori sanitari.

Ad agevolare la diffusione della Mers, inoltre, sono anche le condizioni degli stessi ospedali che come sottolinea Cho Sung-il, della Graduate School of Public Health della Seoul National University, in una intervista rilasciata al New York Times: “Le probabilità di contatto sono più alte in un pronto soccorso di un ospedale sudcoreano dove, per esempio, le sedie e i letti di solito sono disposti vicini tra loro”. Negli ospedali di St Mary’s, a Pyeongtaek, e del Samsung Medical Center di Seul, entrambi visitati dal paziente zero, si registra il maggior numero di casi.

Le autorità coreane hanno già disposto la chiusura di duemila scuole, l’annullamento di diversi concerti e raduni e la messa in quarantena di circa quattromila persone, quattrocento solo nell’ultima settimana. La Mers scatena allarmismo per le poche notizie certe riguardo il contagio – anche se l’Oms si sta mobilitando insieme ad alcuni funzionari della sanità sudcoreana per ricercare l’origine della malattia e il canale di trasmissione – e per la mancanza di un vaccino che spaventa ancor di più di fronte al  tasso di mortalità del virus di circa il 30%.
Le prime analisi compiute sul virus non mostrano risultati preoccupanti in termini di mutazioni genetiche e contagiosità, ma l’allarme in Oriente dilaga e con esso la paura del contagio.

 

Alessandra Vardaro

1 commento

  1. Sono giorni di ansia e preoccupazione questi, attraversati dall’incalzare del coronavirus pensando a quanti sono stati contagiati e a quanti ancora potrebbero esserlo, nella speranza che ben presto tutti guariscano e la curva epidemica cominci a scendere. Ma, in questo clima di apprensione, ancora più inquietante è il virus del razzismo. A quanto pare, in tanti si sono fatti prendere la mano dalla ‘sindrome cinese’ o, se vogliamo, dal tanto diffamato ‘pericolo giallo’. A voler sdrammatizzare per un attimo, è come se si fosse concessa una tregua ai ‘neri africani’, per puntare le frecce acuminate dell’odio verso i cinesi. Considerato che i propugnatori della discriminazione hanno bisogno sempre di qualcuno ‘diverso’ su cui rovesciare le loro frustrazioni infarcite di sentimenti nazionalisti, perché questa è la loro caratteristica, stavolta si sono inventati il cinese untore. In questo periodo, infatti, sono i ‘gialli’ ad essere diventati il bersaglio preferito dei sostenitori delle dottrine xenofobe, i quali, oltre alla paura che, ovviamente, colpisce anche loro, devono sopportare vessazioni e maldicenze di ogni genere. Le autorità sanitarie di tutti i paesi hanno messo in campo tutte le misure necessarie contro il contagio, ma al razzismo latente scatenato dall’ignoranza, o magari più ipocritamente mascherato dalla paura, a questo non c’è rimedio. I migranti africani, quelli che rubano il lavoro agli italiani, svolgendo proprio i lavori che gli italiani stessi non vogliono più fare, adesso fanno meno paura perché a terrorizzare e angosciare la vita di chi si sente costantemente minacciato dall’altro, ora sono quelli con gli occhi a mandorla rei di essere portatori del coronavirus, anche se in Cina non ci vanno da anni. Insultati sul web e tenuti alla larga nella società, si vedono boicottare, perché nessuno ci entra più, anche i propri negozi, fino a poco tempo fa, presi d’assalto per i prezzi popolari che ci offrono, con conseguente calo delle vendite. Gli episodi di razzismo nei confronti dei cinesi si moltiplicano quotidianamente in tutto il mondo, ma a impensierire non è chi, ormai, ha sviluppato gli anticorpi contro il razzivirus, ma tutti i bambini e gli indifesi, che come al solito non hanno mezzi e strumenti adeguati per potersi proteggere. Tuttavia l’ignoranza è una malattia dell’ immenso universo dell’intelletto umano, e più si è ignoranti più si è razzisti, e il pregiudizio la fa da padrone anche quando a rassicurarci sono i luminari della medicina e gli scienziati più esperti.

    Pasquale Aiello

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