“Dalla mia protagonista [ Gerda Taro ] ho imparato a vivere nel presente, ogni cosa che accadrà non potrà che trovarmi felice”

Così la neo-eletta vincitrice del Premio Strega 2018 Helena Janeczek commenta il suo successo. Il libro al quale ella deve la sua vittoria è “La ragazza con la Leica” (Guanda): una grande opera bibliografica che ricorda le gesta coraggiose della fotografa Gerda Taro, morta giovanissima durante la guerra civile spagnola nel 1936 .

Così la scrittrice tedesca di Monaco, naturalizzata italiana e residente a Gallarate fin dal 1983, commenta la sua vittoria:

“L’emozione è grandissima, non sono mai stata al Ninfeo come ospite del premio ed entrarci la prima volta per poi uscirne da vincitrice è sconvolgente. Pensavo ad una situazione molto più fluttuante e incerta. Pensavo che il verdetto fosse ancora aperto. Speravo nella vittoria ma non me l’aspettavo. Non mi aspettavo, sinceramente, che questo libro, che mi ha accompagnato per sei anni, potesse passo dopo passo andare così lontano.”

E con queste parole Helena Janeczek scrive un altro pezzo di storia. La Janeczek è infatti la decima donna vincitrice del riconosciutissimo anche a livello internazionale Premio Strega (istituito a Roma nel 1947 da Maria Bellonci e Guido Alberti). Un successo, quindi, anche sociale: dal 2003 nessun’altra donna vinceva tale premio, mentre quest’anno i cinque finalisti erano in maggioranza donne: tre in totale (la vincitrice, Sandra Petrigna e Lia Levi) e due uomini (Marco Balzano e Carlo D’Amicis).

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Gerda Taro, la temerarietà di una fotografa

Gerda Taro nacque nel 1910 a Stoccarda da una famiglia di ebrei polacchi. Fin da subito si interessò ai movimenti socialisti e lavoratori e per la sua pregnante influenza sul territorio tedesco, fu costretta, con l’avvento del nazismo, a rifugiarsi a Parigi. Qui Gerda conobbe e si fidanzò con Endre Friedman, fotografo ebreo e comunista, e diedero vita al personaggio di Robert Capa che successivamente Friedman adotterà come suo pseudonimo. I due acquistarono ben presto notorietà e nel 1936 giunsero in Spagna per seguire da vicino la guerra civile spagnola e documentarla.

Gerda era ormai nota a tutti per la sua freschezza e la sua bellezza: ma soprattutto era famosa per la sua temerarietà che più e più volte la portò a rischiare la vita per realizzare i suoi reportage di guerra e diffondere la propaganda antifascista. Fu infine poco dopo la battaglia di Brunete che Gerda perse tragicamente la vita: stava infatti tornando dal fronte aggrappata al predellino della vettura del generale polacco Walter Swierckinsky insieme ad un mucchio di feriti quando giunse un aereo tedesco che mitragliò su di loro. Nella confusione generale, la Taro venne sbalzata fuori dalla vettura e rimase schiacciata sotto un carro armato amico che li affiancava: fu trasportata d’urgenza in ospedale dove rimase vigile fino all’alba del giorno seguente, il 26 luglio 1937, quando sopraggiunse la morte.

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Helena Janeckzek e Gerda Taro: due donne a confronto

Entrambe provenienti da una famiglia di ebrei polacchi e nate sul suolo tedesco; entrambe donne “engagées” contro le ingiustizie sociali e in particolare contro la guerra: Gerda Taro l’ha vissuta sulla sua pelle, documentandola attraverso i suoi reportages e impedendo che la memoria della guerra civile spagnola andasse perduta in mezzo a scartoffie di archivi abbandonati. Helena Janeckzek fa riesplodere dentro di sé l‘anima impulsiva e coraggiosa di Gerda e porta avanti la sua eredità: in particolare con la sua opera “Le rondini di Montecassino“, i suoi ininterrotti studi sulla shoah e la sua traduzione delle opere dell’insegnante, poeta e drammaturgo ebreo vittima dell’Olocausto Itzhak Katzenelson, anche la Janeckzek non vuole permettere che il doloroso passato dell’umanità scompaia dalla memoria collettiva, con il rischio che certi errori possano essere ripetuti.

La Janeckzek, inoltre, lotta da tempo contro un altro nemico sempre più diffuso: l’ignoranza. Basti pensare alle sue traduzioni delle poesie dell’austriaco Albert Ehrenstein o al libro “Bloody Cow” che racconta la storia di Clare Tomkins, la prima vittima della malattia di Creutzfeldt-Jakob, più nota come “mucca pazza”. Da citare è anche la sua collaborazione con il blog collettivo e progetto culturale Nazione Indiana (dove scrive insieme ad autori del calibro di Piersandro Pallavicini, Raul Montanari, Tiziano Scarpa e Dario Voltolini) con lo scopo di dare voce a testi che non trovano spazio nell’editoria commerciale e con l’altro e più importante intento di promuovere l’interdisciplinarità, il multiculturalismoil rapporto diretto con chi legge e l’indipendenza dal mercato e dall’industria culturale.

“Volevo fare romanzo di una generazione di cui lei diventa cuore pulsante. I personaggi del libro sono i più vicini a lei, una donna che racchiude lo spirito del tempo e resta nel cuore delle persone: un cardiochirurgo innamorato di lei, un’amica del cuore e il suo fidanzato prima di Robert Capa.”

Sono infine queste le intenzioni che hanno spinto Helena Janeckzek a scrivere “La ragazza con la Leica”: un libro che riporta in vita uno dei personaggi, o meglio, degli eroi, che hanno fatto la storia del ‘900, una donna che ha affrontato con raro coraggio luoghi di guerra per diffondere la propaganda antifascista fino a sacrificare la propria vita, una donna la cui figura esemplare è stata spesso e purtroppo ignorata dalla letteratura contemporanea.

Cristina Barbero

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