No, non avete sbagliato sezione. E no, non si tratta di un nuovo film di Wim Wenders.

Qui discutiamo di politica internazionale e non di cinema, anche se le immagini che circolano in rete da qualche giorno evocano un dramma in piena regola, se non un film dell’orrore, di quelli che ti fanno lasciare la sala di proiezione con una certa inquietudine, se non con un vero e proprio turbamento.

Lo stesso che molti di noi avranno provato nel vedere la foto di un bambino morto, adagiato su una spiaggia faticosamente raggiunta dopo chissà quanti giorni di viaggio (e in chissà quali condizioni).

Lo stesso che molti di noi avranno sentito nel guardare il filmato di quella reporter che, con abietta crudeltà, ha sgambettato un uomo che, con il figlio in braccio, stava cercando di scappare dalla polizia ungherese al confine con la Serbia.

In questi momenti sarebbe logico aspettarsi un intervento da parte dell’Unione Europea, che troppo spesso, in passato, ha espresso nient’altro che un assordante silenzio in tema di flussi migratori, lasciati alla gestione dei paesi membri.

E qui entra in gioco Dublino.

Dublino che nel giugno del 1990 ha ospitato i rappresentanti degli stati firmatari (allora solo dodici, fra cui l’Italia) che hanno dato vita ad un trattato internazionale in materia di diritto di asilo, poi diventato regolamento comunitario nel 2003 e riformato dieci anni dopo, oggi noto come Regolamento di Dublino III (2013/604/CE).

Al suo interno sono stati individuati i criteri e i meccanismi per l’individuazione dello Stato UE competente per l’esame della domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un Paese terzo (o apolide) all’interno di uno degli stati membri dell’Unione Europea, sulla base della Convenzione di Ginevra.

In punto di Regolamento, il primo Stato membro in cui vengono memorizzate le impronte digitali o viene registrata una richiesta è responsabile della richiesta di asilo di un rifugiato.

La norma prevede inoltre che una persona che abbia già presentato istanza di asilo in un Paese dell’Unione debba essere riconsegnata allo Stato destinatario della richiesta, qualora nel frattempo attraversi illegalmente le frontiere di un altro Paese.

Per questo motivo, l’Ungheria ha avuto facoltà di rispedire indietro i migranti che non hanno fatto domanda di asilo a Budapest ed hanno così illegalmente attraversato i confini dello stato magiaro.

Esistono soluzioni per arginare una così grave emergenza umanitaria? A quanto pare, nessuna a breve termine, a meno che, come ha fatto la Germania, non si sospenda il Regolamento di Dublino, ed ogni Stato provveda a elaborare le domande d’asilo dei rifugiati che varcano i suoi confini.

La proposta, naturalmente, non conviene a tutti, e paesi come l’Ungheria di Viktor Orban si sono immediatamente proclamati contrari alla proposta, insistendo affinché non ci siano modifiche allo status quo.

Sul punto, oltre alla lodevole presa di posizione di Angela Merkel, si registrano anche le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sostanzialmente d’accordo con l’omologa tedesca, che ha auspicato il superamento delle regole di Dublino, per arginare quello che è stato chiamato «lo spettro della paura», responsabile dell’innalzamento di «muri e veti», che a loro volta «alimentano nazionalismi e populismi».

Sin qui le reazioni dei capi di Stato. Adesso, crediamo sia giunto il momento (e anzi, siamo già in ritardo) di passare rapidamente ai fatti, per affrontare in maniera efficace un’emergenza di portata storica.

Dal punto di vista politico, sarebbe il caso di dare anche un segnale forte alla comunità internazionale, che possa finalmente percepire un’Europa unita anche nell’accoglimento dei rifugiati, invece di assistere a questo indegno arroccarsi su posizioni utilitaristiche e di convenienza da parte di quegli stati che da questa UE sembrano voler prima ricevere e poi, eventualmente, dare.

Carlo Rombolà

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