summit africano sul clima
Fonte immagine: africaclimatesummit.org/

Il primo summit africano sul clima si è concluso a Nairobi (Kenya) lo scorso mercoledì, con l’obiettivo di sviluppare e promuovere una posizione africana comune in vista della prossima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Al vertice svoltosi nella capitale kenyota hanno preso parte le delegazioni provenienti dalla quasi totalità dei 54 Stati del continente africano, che insieme hanno discusso degli impatti che il cambiamento climatico provoca nei loro territori come pure della necessità di sovvertire la narrazione tradizionale dell’Africa come quella di una vittima sfortunata.

Da un lato, dunque, si è posto l’accento sugli effetti che il cambiamento climatico produce all’interno di un continente che è responsabile in minima parte del fenomeno in questione: nonostante una popolazione di 1,216 miliardi di individui, l’Africa contribuisce di appena il 4% alle emissioni globali di gas serra. Ciò nonostante deve confrontarsi – suo malgrado e quotidianamente – con gli effetti nefasti di un clima che cambia, producendo un aumento delle temperature e disastri naturali di vario genere. Il summit africano sul clima è stato quindi, tra le altre cose, un modo per riportare all’attenzione della comunità internazionale quelle responsabilità da cui si ostina a volersi sottrarre.

Stime e dati hanno infatti contribuito a restituire una situazione di profonda ingiustizia e gravità, che è tanto nota quanto volutamente ignorata. Come si legge sul sito dell’Ispi, dall’inizio del 2022, gli eventi metereologici estremi in Africa hanno causato la morte di 4 mila persone, colpendone un totale di 19 milioni. Alle perdite di vite umane si aggiungono poi le perdite economiche, come rilevato da un rapporto Onu dello scorso anno, secondo cui il continente perde da 7 a 15 miliardi di dollari all’anno proprio a causa dei cambiamenti climatici.

Le richieste avanzate dal presidente kenyota William Ruto

Pertanto, per riuscire a mitigare le perdite subite dal continente, il presidente del Kenya William Ruto – che ha fatto da cerimoniere del primo summit africano sul clima – ha suggerito una riduzione del debito che grava sulle economie dei 54 Stati, l’erogazione di nuovi investimenti in infrastrutture e lo sblocco dei 100 miliardi di dollari l’anno da destinarsi ai Paesi meno sviluppati così come previsto nel 2009 dalla COP15.

La combinazione di questi tre elementi costituirebbe anzitutto un incentivo alla crescita del continente nel campo delle energie rinnovabili. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, infatti, l’Africa vanta il sessanta per cento delle migliori risorse solari al mondo nonché un terzo dei minerali cruciali all’elettrificazione delle industrie che attualmente dipendono dai combustibili fossili. Pe cui, un incremento degli investimenti energetici su scala globale permetterebbe di rendere più attrattivo il territorio africano agli occhi delle aziende occidentali che operano nel campo delle energie pulite e migliorerebbe altresì le condizioni di vita di quei 600 milioni di africani che continuano ad avere scarso o nessun accesso all’elettricità.

Tuttavia, è proprio nel tentativo di incrementare la propria attrattività che si consuma un duplice rischio. Da un lato quello di greenwashing, dall’altro quello di offrire il fianco a nuove forme di colonialismo verde. 

Il primo summit africano sul clima si è svolto a Nairobi, in Kenya
Fonte immagine: edition.cnn.com

Il summit africano sul clima tra greenwashing e nuove forme di colonialismo

Quanto al rischio di greenwashing, esso è stato denunciato da una lettera aperta inviata nel mese di agosto al presidente Ruto. Al suo interno circa 400 organizzazioni afferenti alla società civile africana hanno denunciato come l’organizzazione del vertice sia stata dirottata da persone «intenzionate a promuovere un’agenda e interessi filo-occidentali a spese dell’Africa». In particolare, nella lettera si svela il ruolo indebitamente svolto dalla società di consulenza statunitense McKinsey and Company nel plasmare l’agenda del summit africano sul clima, mettendo in secondo piano la leadership di funzionari e ministri locali.

Ma senza un approccio integrato a guida africana – in grado di promuovere un futuro più pulito, sicuro e prospero che protegga la popolazione, i sistemi alimentari, le risorse idriche e la biodiversità del continente – concetti come quello di “crescita verde” e false soluzioni come quelle basate sui mercati di carbonio non faranno altro che favorire nuove forme di neocolonialismo.

A riprova di quanto denunciato da attivisti e membri della società civile, durante il summit africano sul clima gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato un investimento da 4,5 miliardi di dollari in progetti di energia pulita. Sebbene una simile operazione possa in apparenza risultare vantaggiosa per il continente africano, essa sarà in realtà realizzata attraverso i crediti di carbonio che, come spiegato dal direttore del think tank sul clima Power Shift Africa, Mohamed Adow, non faranno altro che offrire ai Paesi industrializzati e alle aziende più ricche il permesso di continuare a inquinare, rilocalizzando le emissioni climalteranti e spostandone l’onere sulle popolazioni africane.

Il primo summit africano sul clima, dunque, può dirsi solo parzialmente riuscito. Quanto, invece, alla buona tenuta dell’obiettivo di parlare con un’unica voce in occasione della prossima Conferenza sul clima, è certamente presto per potersi esprimere. Ci sono, tuttavia, i migliori presupposti per potervi riuscire nel lungo periodo, essendo stato stabilito – all’interno della Dichiarazione di Nairobi, adottata a conclusione del summit – che il vertice sul clima dell’Africa si terrà con cadenza biennale così da definire la nuova visione del continente in materia di clima e sviluppo.

Virgilia De Cicco

Virgilia De Cicco
Ecofemminista. Autocritica, tanto. Autoironica, di più. Mi piace leggere, ma non ho un genere preferito. Spazio dall'etichetta dello Svelto a Murakami, passando per S.J. Gould. Mi sto appassionando all'ecologia politica e, a quanto pare, alla scrittura. Non ho un buon senso dell'orientamento, ma mi piace pensare che "se impari la strada a memoria di certo non trovi granché. Se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te".

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