Nuovi scontri tra braccianti e polizia federale hanno scosso la valle messicana di San Quintín nella mattinata di sabato 9 maggio. Secondo quanto riportato da Proceso, l’ingresso della polizia nel pueblo di Vicente Guerrero (Baja California) avrebbe causato una settantina di feriti. La repressione ha avuto luogo in seguito a una delle tante mobilitazioni contadine che stanno investendo quest’area del paese da circa due mesi.

La valle di San Quintín sorge circa 300km a sud di Ensenada, nello stato fronterizo della Baja California. Si tratta di una zona ad alta concentrazione di colture, principalmente fragole e pomodori, in cui le condizioni di lavoro dei cosiddetti jornaleros (braccianti giornalieri) sono ai limiti dello schiavismo: 120 pesos (poco più di 7 euro) per 16 ore di lavoro al giorno, senza contratto, garanzie sindacali o sicurezza sociale e con una frequenza pressoché costante di maltrattamenti e molestie sessuali (le donne impiegate sono circa il 45% del totale) da parte del caporalato al soldo delle industrie agroalimentari.

Qui, lo scorso 17 marzo, circa cinquantamila campesinos hanno scioperato, barricando quell’unica carretera di 1500km che collega La Paz (Baja California Sur) a Tijuana, e dunque al confine. Si tratta della sola arteria che connetta il mercato statunitense alle produzioni di frutta e ortaggi per le quali un campesino messicano medio percepisce quotidianamente ciò che oltre il confine è, invece, il minimo sindacale all’ora. Lo sciopero si è protratto, poi, per le due settimane successive, durante le quali i jornaleros hanno lasciato marcire le colture dei campi e delle serre fino all’inevitabile repressione ordinata dal governatore federale Francisco Vega de Lamadrid, il quale ha disposto 1200 agenti in tenuta antisommossa contro un pugno di peones, 200 dei quali sono stati arrestati.

È una primavera rovente quella dei jornaleros, i quali stanno compiendo tutti gli sforzi possibili per protrarre la propria lotta e rendere note le loro terribili condizioni lavorative. La collusione dei sindacati con i poteri centrali costituisce un ulteriore freno all’espandersi della lotta sociale dei campesinos: la Confederación de Trabajadores de México (CTM) e Confederación Revolucionaria de Obreros Mexicanos (CROM) sono tra i firmatari degli accordi lavorativi che, dal 1994, hanno congelato il salario minimo dei braccianti all’irrisoria cifra di 120 pesos giornalieri. Ai braccianti bajacaliforniani non viene garantita una tutela degna sul piano della sicurezza personale: sia adulti che bambini lavorano a stretto contatto con sostanze tossiche presenti negli agrochimici senza protezione alcuna e spesso servizi basici come acqua, luce o gas sono loro una prerogativa delle colture a loro discapito. Il prodotto, e dunque il profitto, che è tutelato più della vita umana: la fotografia più nitida della degenerazione neoliberista del modello di “sviluppo” messicano.

Come da prassi nelle sperequazioni sociali latinoamericane, la questione etnica occupa un posto di primo piano nello sfruttamento dei lavoratori della valle di San Quintín. La quasi totalità della forza lavoro impiegata in questa zona del paese è, infatti, di sangue indio mixteco originaria degli stati meridionali di Oaxaca e Guerrero, probabilmente la zona più povera dell’intero Messico. Con quella commistione di fierezza e dolore che solo le popolazioni indigene d’America conoscono, i cosiddetti oaxacalifornianos hanno eluso la necessità di una tutela sindacale istituzionale, finendo per sperimentare forme di aggregazionismo sociale che hanno portato al sorgere di vere e proprie consulte comunitarie indigene. Il Frente Indígena de Organizaciones Binacionales (FIOB) ne è un esempio, con circa trecentomila adesioni tra cui si contano campesinos impiegati su entrambi i lati del confine. Proprio dagli Stati Uniti è giunta la solidarietà della American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations e della United Farm Workers of America, due delle più grandi associazioni sindacali del paese.

Il fatto che la rivolta dei jornaleros di San Quintín costituisca materia di cronaca anche oltre confine è sintomatico della risonanza che le sollevazioni stanno avendo da più di due mesi a questa parte. Una ferma e decisa condanna degli explotadores della Baja California è arrivata anche dal Chiapas e dai vertici dell’EZLN. A San Cristóbal de Las Casas, il Subcomandante Insurgente Moisés ha presieduto, nella stessa giornata di sabato 9 maggio, un seminario dal titolo “El pensamiento crítico frente a la hidra capitalista“, in cui ha dedicato spazio anche alla questione della semischiavitù vigente nelle coltivazioni del nord del paese:

Sono due i nostri compiti a cui dobbiamo adempiere: uno, il principale, riguarda ciò che faremo per aiutare i fratelli di San Quintín e di tutto il nord del nostro paese, e l’altro consiste nel moltiplicare il seme che stiamo per piantare perché crediamo che ciò debba essere lo slancio per far si che si moltiplichi anche dove vivono questi nostri fratelli. Provo rabbia perché ciò che sta succedendo ai fratelli di San Quintín è ingiusto: la chiamata che gli rivolgiamo è proprio per questa rabbia prodotta da ciò che sta facendo la scelleratezza del capitalismo.

Cristiano Capuano

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