Autonomia e decentramento amministrativo hanno sempre avuto un forte ascendente sulla popolazione locale. Movimenti autonomisti scuotono Caserta, mossi dalle lotte ambientali all’informazione popolare, dalla cultura alla tutela delle fasce deboli.

Sullo scenario politico, l’indipendenza e l’autonomia appaiono aspirazioni essenziali dei popoli al libero svolgimento della vita sociale ed auto-organizzata. Mentre il Veneto e la Lombardia, attraverso un referendum, consultano la popolazione per spuntare maggiore autonomia, nella cornice internazionale la lotta della Catalogna per l’indipendenza procede con determinazione. Ma le province nostrane non sono da meno in quanto ad aspirazioni autonomiste: Caserta è ed è stata centro d’incubazione di movimenti autonomisti decentrati dal sistema politico istituzionalizzato e legittimati nello spazio sociale.

Emblematica esperienza autonomista a Caserta è Villa Giaquinto: un’esperienza che nasce dalla riappropriazione di un parco pubblico nel centro storico di Caserta, chiuso a seguito di atti vandalici e oggi rivalutato e gestito da giovani, anziani e famiglie. Un gruppo eterogeneo di persone, riunite nel “Comitato Villa Giaquinto” che collaborano e organizzano iniziative sociali e culturali per rendere quei 10.000 mq un posto in cui la felicità è un diritto. Raffaele Giovine, attivista del “Comitato Villa Giaquinto”, afferma: «Quest’esperienza, che è stata capace di rapportarsi in maniera autonoma con l’Amministrazione, riuscendo ad ottenere prima la formalizzazione e poi tanti interventi in villa, ha sempre ragionato con “la pratica dell’obiettivo” per rendere la villa un posto sempre migliore».

La carica ribelle è consequenziale alla necessità di auto-tutela dinanzi alle carenze di un apparato centrale burocratizzato ed accentrato. Su tale linea muove il “Comitato per l’Agro Caleno” impegnato nella rivendicazione di diritti precipuamente ambientali: bonifica sotto controllo popolare dell’area ex Pozzi-Ginori in Calvi Risorta e di tutte le discariche presenti, misure preventive e rimedi per le emissioni di diossina e veleni che da troppo tempo rendono Caserta e dintorni una “Chernobyl servita a piccole dosi”.

L’autonomismo si è sedimentato come alternativa alla disattenzione delle istituzioni verso gli interessi reali del substrato sociale: esse assumono le sembianze di strenui difensori dell’ordine pubblico, la salvaguardia del benessere sociale è mera proiezione teorica, esternata solo sulla carta dei manifesti programmatici dei partiti di turno.

La reazione ad un sistema politico carente ed inefficiente è la nascita della politica “dal basso”. Alla politica “del Comune” si affianca la politica “della strada”: due binari che faticano a procedere sulla medesima linea, e quando s’intersecano conducono spesso a uno scontro inflessibile.

Il dialogo con le istituzioni non sempre è possibile, vuoi per assenza di presupposti, vuoi per questioni di principio. Rivoluzioni e contro-rivoluzioni con tanto di lotta divisa in due parti: dietro le barricate gli autonomisti, avanti le istituzioni o chi per esse. In assenza di accordo, la legittimazione dell’autonomia s’instaura con lo scontro violento: una filosofia del martello.

Noto è che la natura del potere promana dalla legittimazione legale ad agire, prestata col consenso formale dei cittadini, elemento di cui non sono munite le formazioni autonomiste fondate sull’accondiscendenza popolare finché dura, per cui sono sempre esposte al rischio che (se non incanalante in un percorso formativo serio) assurgano a meri presupposti per la rivoluzione e non ad attuazione immediata dell’interesse comune.

Una società che si regolamenta da sola, finalizzata ad assecondare non le operazioni economiche ma a mediare e gestire le metamorfosi sociali, è un antidoto all’astrattezza delle amministrazioni tardive nella predisposizione di schemi regolamentari che poco combaciano con le sfaccettature di una società multietnica e in progressivo mutamento.

Le formazioni autonomiste non sono un’alienazione dal sistema, ma una catarsi nel sistema: espressione diretta e immediata del disagio sociale, l’unica “realpolitik”.

A Caserta l’autonomismo è fonte di distribuzione di cultura: l’associazione “Piccola libreria 80 mq” sita in Calvi Risorta è stata in grado di allestire una fornita biblioteca, ovvero un servizio di volontariato ottenuto a suon di lotte e sacrifici. La “Piccola libreria 80 mq” è riuscita nella non comune impresa di elevare la biblioteca a luogo di ritrovo sociale, in una zona in cui le biblioteche comunali sono inesistenti o malfunzionanti, nonché aprirsi al dialogo con le varie etnie presenti in zona. Luca Barbaro, esponente della “Piccola libreria 80 mq” afferma: «La libreria ha come primario obiettivo il confronto tra gli attivisti, al contempo cerchiamo di evitare che ognuno di noi resti vincolato ad un pensiero comune. Vogliamo costruire qualcosa che non sia troppo rigido, che sia personalizzato: dal confronto nasce un percorso collettivo che stimola ciascuno ad agire secondo le proprie idee ».

Possiamo perciò concludere che l’autonomismo non è la cornice culturale della società, ma l’unica rotta culturale in un territorio di autodidatti.

Dimostrazione pratica di chi s’interessa della parte debole della società è l’associazione “L’orto di Johnny” di Alvignano: un progetto di volontariato incentrato sulla cosiddetta “agricoltura sociale“ nato da una carenza di politiche e sostegni adeguati per le persone affette da disabilità. Daniele Romano, coordinatore dell’associazione, afferma: «Il dato allarmante del nostro territorio non è solo quello legato alla mediocrità dei servizi, ma anche a livello culturale ci sono dei pregiudizi nei confronti dei disabili: vengono viste come persone malate da curare e che devono stare a casa. Il nostro progetto parte dal presupposto che i disabili possono lavorare attraverso ciò che offre il nostro territorio: l’agricoltura. Ad oggi esistono solo servizi che vanno a soddisfare l’interesse economico di qualche cooperativa o qualche centro di riabilitazione».

In questo contesto l’autonomia inizia laddove sorge l’esigenza di affermare a gran voce un’identità di classe, o rivendicare i diritti delle fasce sociali deboli, o dalla rivalsa dei gruppi minoritari, e finisce dove incombono le decisioni autoritarie, sicuramente contestabili e revisionabili, ma vincolanti nei limiti legali.

Perciò autonomia è, anche, un modo singolare di socialità in un tragicomico presente.

Melissa Bonafiglia

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