Di Maio
Il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio (fonte: ANSA/RICCARDO ANTIMIANI).

Tra pochi mesi Luigi Di Maio festeggerà il suo primo anno al ministero degli Esteri. Di seguito quindi un breve bilancio dell’operato della Farnesina sotto Di Maio. Da quando ha abbandonato il ministero dello Sviluppo economico ed il giogo dell’alleanza con Salvini, il suo profilo politico si è certamente rinnovato. Ciò non toglie che la politica estera è una “cosa seria”, nella cui gestione i sorrisi e le belle e talvolta giuste parole non possono riconciliare interessi radicalmente divergenti. Bisogna scegliere da che parte stare e Di Maio, per il momento, ha scelto la continuità.

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Di Maio con il Primo Ministro Albanese Rama (fonte: Albania News).

Il ministro si vuole mostrare oggi come un abile difensore dell’interesse italiano agli Esteri. Non è certo più il Luigi dei congiuntivi sbagliati, avendo appreso un notevole aplomb politico (ovvio è che i suoi colleghi non rappresentano comunque un metro di paragone virtuoso), ma in un anno non si diventa statisti. La nuova direzione di Di Maio vuole quindi apertamente riunire gli interessi italiani ad Occidente e ad Oriente, passando per l’Africa, e generalmente trascendendo le classiche linee di cooperazione dettate dalle sfere di influenza globali. Si noti, a riguardo, il buon rapporto politico con la Russia e l’estremo impegno diplomatico italiano per la nuova “Via della seta”, ossia le rotte commerciali che sotto l’egida (o il dominio?) cinese attraverseranno l’Asia e parte di Africa ed Europa.

L’enfasi posta da Di Maio sugli aiuti ricevuti dall’Italia durante l’emergenza coronavirus da Russia e Cina si è accompagnata ad un’apprezzabile gratitudine per Paesi di solito trascurati dal dibattito pubblico (e che al di là delle cortesie e della contingenza, lo rimarranno ancora): la Romania e l’Albania, peraltro storicamente connessi all’Italia. Al contempo il ministro degli Esteri si è anche affrettato a ribadire che l’Italia è saldamente legata ai valori della NATO ed in particolare che «gli Stati Uniti sono il nostro principale alleato», poiché con essi «condividiamo molto, sia in termini commerciali che valoriali».

Insomma, amici di tutti e nemici di nessuno, per cercare di trarre il massimo vantaggio per l’interesse nazionale italiano. Di Maio si è così armato di mascherina tricolore ed ha avviato una serie di video autopromozionali del suo operato durante la crisi da Covid-19. C’è da dire però che la vergognosa sfilata organizzata per Silvia Romano è rivelatrice di una prosecuzione nella gestione degli affari esteri in stile passerella politica, sulla stessa scia del teatrino organizzato per il rimpatrio di Cesare Battisti dal Brasile. 

Il Di Maio dei mille tavoli in Africa

«La stabilizzazione duratura e sostenibile della Libia rimane una priorità assoluta per il Governo italiano, a tutela del nostro interesse nazionale, del futuro del popolo libico e della stabilità dell’intera regione euro-mediterranea», ha dichiarato Di Maio a metà maggio. Ma il suo messaggio di comunanza di interessi tra attori con prospettive così diverse (l’Italia, la Libia e in generale il Mediterraneo) è a dir poco ingenuo.

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Di Maio a colloquio con al-Sarraj (fonte: Rai News).

La tutela dell’interesse italiano in Libia non è definita pubblicamente, ma in sostanza consiste nel far valere gli interessi economici e di mobilità. Per quanto riguarda gli affari esteri in Libia, di primaria importanza è preservare le attività dell’azienda pubblica ENI, che opera da più di sessant’anni nel paese nordafricano. Sul fronte dei migranti, stando alle parole di Di Maio, l’Italia prenderà il comando della nuova missione europea Irini, che ha rimpiazzato l'”operazione Sofia”, per dimostrarne l’impegno primario in Libia. Premesso questo, tale missione non presenta alcun carattere di salvataggio in mare, quanto di embargo marittimo sulle armi destinate alla Libia. 

Come queste intenzioni possano in realtà coincidere con il futuro del popolo libico non è chiaro, e non è chiara la sua esistenza come comunità unica, che forse è nata e morta negli sforzi unitari del Presidente Gheddafi. Sembra ancor meno chiaro, quasi paradossale, voler preservare gli interessi del bacino Mediterraneo tramite la sua militarizzazione da parte anche italiana. Formule vuote nelle quali Di Maio eccelle, poiché mentre apprende l’arte del comunicare in maniera risoluta con il suo pubblico, in realtà egli sa benissimo di trovarsi nel bel mezzo di un fronte geopolitico complicato che in Libia si gioca con(tro) attori ben più potenti, ossia Russia e Turchia. Nello specifico, la Russia appoggia l’Esercito Nazionale Libico (LNA) di Haftar e la Turchia il Governo di Accordo Nazionale (GNA) di al-Sarraj e l’offensiva vincente di quest’ultimo nelle scorse settimane ha riacceso le mosse internazionali nel Paese.

È altresì chiaro che l’Italia ha da anni perso un ruolo geopolitico forte in Libia, ben prima dell’arrivo di Di Maio; la libertà dei francesi nel finire Gheddafi senza tener conto della volontà italiana ne è un esempio. Tuttavia, l’idea del Ministro degli Esteri Di Maio di far incontrare a Roma nello stesso giorno Conte sia con Haftar che con al-Sarraj, dimostra una certa superficialità nella lettura della situazione. L’incontro, ovviamente, è saltato.

Di Maio in Parlamento sulla compravendita di armi con l'Egitto. (fonte: ANSA/GIUSEPPE LAMI)
Di Maio in Parlamento sulla compravendita di armi con l’Egitto (fonte: ANSA/GIUSEPPE LAMI).

La relazione dell’Italia con l’Egitto del generale al-Sisi è invece l’ennesimo esempio della probabile innocuità, ma anche ingenuità, vittima della retorica del soddisfare gli interessi di tutti. Nello specifico il “colpo grosso” italiano che si prospetta a giorni consiste nella vendita di Fincantieri all’Egitto di due fregate militari dal valore complessivo di 1,2 miliardi di euro. Di Maio ha mostrato ancora ambiguità sulla faccenda, in seguito alle critiche sulla mancanza di cooperazione da parte egiziana sul caso Regeni e sull’incarcerazione dello studente dell’Università di Bologna Patrick Zaky. 

Se è vero che l’Egitto si rifornirebbe comunque di armi, magari comprandole dalla Francia, principale “avversario” italiano nell’area, è anche vero che scatenare una guerra commerciale per impadronirsi del mercato egiziano non è forse in linea né con un tentativo di riduzione delle violenze arbitrarie di al-Sisi contro gli oppositori, né con le parole rassicuranti e democratiche di Di Maio sui rapporti con questo Paese.

Alla luce del funzionamento delle relazioni internazionali contemporanee, la disparità di potere che esiste in molti dei rapporti bilaterali tra Stati del Sud e del Nord del Mediterraneo crea le condizioni per poter trattare con più incisività su alcuni temi. Tradotto, Di Maio e la compagine degli Esteri potevano almeno tentare di ottenere una collaborazione effettiva sul caso di Giulio Regeni, arenato nel marasma dei servizi segreti egiziani.

A questo proposito, a parole si può certo difendere l’”interesse italiano” nella sua duplice forma: rendere giustizia ai genitori di Regeni sulla barbara uccisione del figlio e promuovere l’interesse strategico ed industriale italiano. Tuttavia nei fatti questi due interessi sono così distanti da precludersi a vicenda. E Di Maio, sotto la mascherina tricolore ed il volto sorridente, sembra al momento preferire gli interessi dell’industria militare, piuttosto che pretendere chiarezza sui casi di Patrick Zaky e di Giulio Regeni.

Lorenzo Ghione

3 Commenti

  1. Bell’articolo, molto chiaro nel definire la politica estera italiana, soprattutto nell’ambito del bacino mediterraneo e l’ipocrisia che, non solo da ora, regna in questo contesto geopolitico improntato ad una prevalenza nei riguardi dei forti interessi economici, energetici e di vendita di armi

  2. Bell’articolo, molto chiaro nel definire la politica estera italiana, soprattutto nell’ambito del bacino mediterraneo e l’ipocrisia che, non solo da ora, regna in questo contesto geopolitico improntato ad una prevalenza nei riguardi dei forti interessi economici, energetici e di vendita di armi.

  3. L’abbandono della produzione/progettazione di strumenti di guerra dovrebbe essere nel DNA di una società dello Stato Italiano, la realtà smentisce i nostri ideali e la costituzione. Produciamo strumenti di morte e siamo anche contenti di guadagnarci sopra! La falsità degli italiani, il gioco delle tre carte. .. uno schifo altre che orgoglio di essere italiani. Bell’articolo, complimenti!

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