Archivio del Tribunale dei Minori di Napoli. Dopo tanti anni, nascosto tra le macerie del terremoto del 23 novembre del 1980, è stato recentemente rinvenuto un ragguardevole numero di fascicoli. Si tratta di referti di poliziotti, psicologi e assistenti sociali che racchiudono storie di ragazzi sfortunati. La scrittrice Adelia Battista, trovandosi sul posto al rinvenimento delle pratiche, viene colpita dalla lettura di un documento in particolare; decide così di dare vita all’esistenza travagliata di una piccola orfana napoletana col romanzo Nina. Vico Storto Concordia, 10. Pubblicato nel 2021 dalla casa editrice di Napoli Dante&Descartes e curato da Raimondo Di Maio, il libro ha ottenuto un successo così rapido da arrivare alla seconda ristampa nel giro di un mese.
Adelia Battista – nata ad Avellino nel 1958 – è una giornalista campana, nonché socia fondatrice dell’Agenzia di Stampa DWpress. Il notiziario delle donne. Ha collaborato con vari giornali, tra cui Il Mattino e L’Avvenire. La scrittrice ha sempre dedicato nei suoi lavori ampio spazio al ruolo sociale della donna, ai suoi diritti e alla lotta continua per la sua tutela; i personaggi della storia di Nina ne sono la lampante dimostrazione. Ha curato, inoltre, l’epistolario vincitore del Premio Speciale Elsa Morante 2012, Bellezza, addio. Lettere a Dario Bellezza di Anna Maria Ortese.
La violenza domestica e la forza di Rosa
Napoli. Vico Storto Concordia, 10 è dove Nina inizia la sua seconda vita con sua sorella Teresa. Dopo aver perso la mamma – Carmela Vincitelli – per una grave polmonite, le due sorelle e i fratelli Vincenzo e Pasqualino restano col padre – Nicola Bottone – alcolizzato, uomo violento e giocatore d’azzardo. Pieno di debiti e truffatore, quando tornava a casa ubriaco, sfogava sulla moglie umiliandola in tutte le maniere possibili: proibendole di vedere i genitori, spingendo la moglie ad elemosinare in strada, picchiandola o offendendola. Alla morte della madre i ragazzi vivono la loro quotidianità, questa volta soli e indifesi, nel terrore, finché la figlia Teresa – stremata dall’ennesimo abuso subito – fa arrestare il padre. I ragazzi vengono rinchiusi nell’orfanotrofio di San Gennaro.
Sarà la nonna materna Rosa, grazie alla sua tenacia, a riuscire ad ottenere l’affidamento di Teresa e Nina, mentre gli altri due nipoti saranno adottati da un’altra famiglia. La Signora Rosa – umile lavandaia – incarna tutti i valori della donna per eccellenza: la generosità, dimostrata portando le zeppole fatte in casa agli altri bimbi dell’orfanotrofio; la perseveranza nella lotta per avere in affido le nipoti; la sensibilità che arriva alla sua massima manifestazione con le parole di conforto che riserva a Nina in seguito agli incubi sul padre; la disponibilità per chiunque abbia bisogno d’aiuto; una bontà d’animo per cui tutto il quartiere prova profonda stima.
L’avvocato Giovannino fa di tutto per fare ottenere alla signora Rosa l’affido delle ragazze. Quando riesce nell’intento non pretende nulla in cambio, dimostrandole così tutta la sua riconoscenza, poiché da piccolo, mentre la madre era a lavoro e non poteva accudirlo, veniva accolto e curato come un figlio da lei. Non solo nonna Rosa ma anche mamma di tutti.
«Chi canta, prega due volte»
Nina, intonata come la mamma e nonno Armando (raro esempio di vero amore), da quando Carmela è andata via non canta più come un tempo. Sarà la nonna a salvarla per la seconda volta, vedendo nella nipote un vero talento da coltivare e ricordando a tal proposito le parole di un professore che insegnava al Conservatorio di San Pietro a Majella: «Chi canta, prega due volte». Nina ritrova nel canto una via d’uscita da tutto il male ingiustamente subito. Vi sarà, infatti, un seguito: Napoli è una canzone. Nina canta a New York.
Adelia Battista ha voluto riscattare, in forma di romanzo, una delle mille esistenze ingiustamente travagliate. Questo romanzo ha la funzione di non dimenticare e di offrire, al contempo, ad una storia documentata solo in parte la speranza di un buon epilogo, un seguito felice immaginario in cui Nina possa riappropriarsi di sé e della felicità che merita. Come dice Umberto Eco: «Narrare è dare forma al disordine dell’esperienza».
Debora Incarnato