Superare il Jobs Act reintroducendo i voucher del Jobs Act. Ecco il piano del contratto di governo, che a parole combatte precarietà e lavoro sommerso, ma nei fatti non propone nulla per contrastarli.

Nelle scorse settimane i media si sono focalizzati sui temi più affrontati in dichiarazioni pubbliche da esponenti del nuovo governo: dal caso Aquarius alla difesa della cosiddetta famiglia tradizionale, dalla flat tax all’autonomia di manovra di Conte, dalle sanzioni alla Russia ai rapporti con l’Unione Europea. Un solo tema – per sua sfortuna non accompagnato da nessun virgolettato utile a produrre valanghe di commenti – è stato colpevolmente dimenticato: il lavoro. Poco viene promosso dal nuovo governo su Jobs Act, voucher, lotta alla disoccupazione e alla precarietà. Poco trova spazio su giornali e televisioni.

Il contratto di governo non approfondisce particolarmente la questione, dedicandole a malapena una pagina abbondante su cinquantotto. Certo, il reddito di cittadinanza – cui è dedicato un corposo capitolo a sé stante – nella Weltanschauung grillina è intrinsecamente collegato alla lotta alla disoccupazione, ma consideriamo la sezione più propriamente dedicata alle politiche alternative al Jobs Act renziano, da sempre aspramente criticato da Lega e Movimento Cinque Stelle.

Il lavoro nel contratto di governo

Pur provando a districarsi tra vaghi richiami a principi costituzionali non si fa altro che scoprire che di indicazioni concrete sulle intenzioni del nuovo governo ce ne sono ben poche. Il contratto propone l’introduzione di un salario minimo orario “per tutte le categorie di lavoratori e settori produttivi in cui la retribuzione minima non sia fissata dalla contrattazione collettiva“, ma non lo quantifica. E si tratta comunque della misura meno astratta in una pagina che sottolinea la necessità di digitalizzare, creare occupazione, superare la precarietà, “consentire alle famiglie una programmazione più serena del loro futuro“.

In una parola, il contratto elenca perfettamente le finalità della riforma del lavoro del nuovo governo, ma si dimentica purtroppo di illustrarci questa riforma.

C’è però una questione che fa eccezione, sulla quale il contratto si sofferma in modo forse non così prevedibile: la reintroduzione dei voucher.

I voucher, vale la pena ricordarlo, sono buoni lavoro erogati dall’INPS che il datore di lavoro può utilizzare per pagare alcuni tipi di prestazioni accessorie. Sono stati introdotti dal 2003, ma vengono spesso associati al Jobs Act perché con questa riforma ne è stato incentivato l’uso, tra le altre cose aumentando da cinquemila a settemila euro netti la cifra che è possibile guadagnare in un anno con i voucher. Il governo Gentiloni ha preferito abolirli per evitare il referendum sulla questione proposto dalla CGIL – temendo una nuova disfatta alle urne per il PD dopo quella del 4 dicembre 2016 – e, in definitiva, per riformarli.

Perché ora le due forze più radicali nella loro opposizione al governo Renzi reintroducono i “suoi” voucher? Il contratto di governo, in realtà, prende atto della cancellazione totale dei voucher e propone di sostituirli attraverso “l’introduzione di un apposito strumento, chiaro e semplice, che non si presti ad abusi, attivabile per via telematica attraverso un’apposita piattaforma digitale, per la gestione dei rapporti di lavoro accessorio“.

I voucher 2.0

In che cosa i voucher 2.0 si differenzino dall’originale non è dato saperlo. O meglio, quell’accenno alla loro forma digitale sembra tradire la matrice grillina della soluzione, ma è tutt’altro che chiaro come questa “via telematica” possa combattere i problemi che già affliggevano i “vecchi” voucher.

Un primo ordine di critiche è politico, e arriva da sinistra: come si può dire di voler combattere la precarietà con uno strumento legato a filo doppio con questa precarietà? I voucher, infatti, favoriscono per loro stessa natura un massiccio turn over tra i lavoratori a causa del tetto massimo elargibile al singolo lavoratore.

Ma una seconda critica va al di là delle divisioni ideologiche sui diritti dei lavoratori: il rapporto tra voucher e lavoro nero è tutt’altro che chiaro. Introdotti per combatterlo, in molti casi non hanno fatto altro che nasconderlo. Inoltre, tutt’altro che raramente i voucher sono stati utilizzati per pagare lavoratori a tempo pieno.

Di tutto questo, però, nel contratto di governo non se ne parla. E il rischio che i voucher tornino con gli stessi problemi con cui se ne sono andati una prima volta si profila all’orizzonte. Ecco il gattopardismo al contrario del governo del cambiamento, nel quale alla fine cambiano solo i nomi delle cose: tutto deve restare (anzi, tornare) come prima perché tutto cambi.

Davide Saracino

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