Come ampiamente previsto, durante l’assemblea nazionale del Partito Democratico va in scena l’ennesimo scontro tra il segretario Matteo Renzi e le minoranze del partito. La resa dei conti vede la minoranza dividersi su atteggiamenti diversi: da parte di Bersani e D’Alema parlano le assenze, mentre Cuperlo con eleganza chiede rispetto ma assicura lealtà. Fassina e Civati invece non abbassano i toni e attaccano a spada tratta il leader del loro partito con parole di fuoco.

Milioni di lavoratori venerdì hanno perso una giornata dei loro stipendi per dire al governo che la politica economica che porta avanti non va bene.” così Stefano Fassina ha attaccato il governo e la dirigenza del suo Partito. “E’ grave che il segretario non abbia detto una parola sullo sciopero. Significa che al Partito Democratico non importa nulla di quelle persone che sono scese in piazza. Stiamo cambiando idendità, stiamo cambiando funzione politica. Stiamo diventando il partito dell’establishment che mette in atto l’agenda della Troika.

Il deputato, ormai apertamente dissidente, si interroga dunque sul cambiamento che la nuova leadership sta imponendo al partito, nato per rappresentare un popolo che dal PD non si sente più rappresentato. Fassina non ci sta a vedere scaricate su di sé e sugli altri esponenti della minoranza interna le colpe della maggioranza, contestando ruvidamente la delegittimazione morale e politica al quale periodicamente è sottoposto chi dissente. “Se vuoi andare ad elezioni dillo, smettila di scaricare la responsabilità sulle spalle degli altri” attacca ancora Fassina rivolgendosi direttamente al segretario Renzi, “la minoranza non fa diktat e non vuole andare al voto prima del 2018. Non ti permetto più di fare caricature di chi la pensa diversamente da te, è inaccettabile“.

Nel discorso di Renzi il messaggio è chiaro: una richiesta di lealtà verso chi ha la maggioranza e verso un governo che non vuole trovarsi a fare i conti con i mugugni del principale partito che lo sostiene. Da Gianni Cuperlo, uno dei primi a parlare, c’è il tono conciliante di chi non vuole strappare, con la conseguente rassicurazione di lealtà ma la pretesa di autonomia e rispetto: non è affiancato dagli assenti Bersani e D’Alema quando chiede che il segretario del suo partito si comporti come il segretario di tutti e non come un capo corrente.

Pippo Civati, che prima dell’assemblea aveva pronosticato la possibilità di una scissione, non smussa invece i toni: “Ho tatuato sull’avambraccio il programma elettorale su cui sono stato eletto: non c’era l’abolizione dell’articolo 18, non c’erano le infrastrutture di Lupi e Berlusconi, non c’era questo atteggiamento antisindacale. Io sono stato eletto così, alle primarie non le diceva neanche Renzi queste cose. La lealtà è verso gli elettori, verso le cose che pensiamo, verso i nostri valori e francamente la lealtà è verso la Costituzione“.

Il Presidente del Consiglio attacca l’Ulivo, e chi all’Ulivo ha fatto riferimento soprattutto al di fuori della maggioranza del partito, definendo il progetto Prodiano come un progetto composto da grandi promesse mai mantenute in vent’anni di vita. “Matteo Renzi dimentica sempre che in questi 20 anni noi siamo stati al governo 7 anni.” replica però Rosy Bindi in difesa di quella compagine con la quale è stata più volte ministro: “E’ stato il periodo di Berlusconi, mettere sullo stesso piano la responsabilità di Berlusconi con quella dell’Ulivo è un’operazione storica sbagliata e si dà un giudizio sommario“.

Con quest’assemblea ci sono state anche le annunciate modifiche allo Statuto votate all’unanimità, compresa la cosiddetta norma anti-scissione che prevede l’utilizzo del simbolo del PD solo su autorizzazione del segretario.

Roberto Davide Saba

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