prostituzione donna
Fonte immagine di copertina: https://messina.gds.it/articoli/cronaca/2019/11/11/

Spesso si parla di prostituzione con toni infantili, sfociando in battute, risatine e velate offese. Altre volte il discorso tocca apici di moralismo affettato e strumentalizzato che classifica il “mestiere più antico del mondo” come una pratica bestiale e, nel complesso, da aborrire. In entrambi i casi il fenomeno della prostituzione resta sterile e incompreso, un pensiero sfiorato ma allontanato nell’immediato. Ciò avviene perché è visto come una realtà altra e troppo distante dal quotidiano e magari viene anche addolcito dalla convinzione che, alla fine, le donne che scelgono questa vita seguono liberamente la loro strada.

In primis quello della prostituzione non è proprio “il mestiere più antico del mondo”, in quanto implica un contesto di rapporti economici e culturali che è estraneo all’uomo primitivo che vede la donna come cacciatrice e, con il passaggio dal nomadismo alla vita stanziale, madre, allevatrice e raccoglitrice. Le prime testimonianze di meretrices (da merere, guadagnare) vengono dal mondo latino ed erano figure atte al mantenimento dell’ordine morale: l’amore a pagamento distoglieva gli uomini dall’attentare alle virtù di donne già sposate.

Partendo da queste fondamenta, il fenomeno della prostituzione ha guadagnato sempre più terreno, nutrendosi sia della fascia sociale più povera, sia di quella che gestisce il potere e il denaro.

La sociologa Giulia Selmi offre una panoramica sulle varie forme di prostituzione. Ci sono donne che scelgono da sé questa strada e che quindi sfruttano i costrutti della società patriarcale che identifica la donna come un oggetto (sessuale) per un proprio tornaconto personale (anche se, ci sarebbe da chiedersi, quanta libertà resta loro dopo essersi concesse per denaro); altre che vengono costrette con violenza (fisica o psicologica). C’è inoltre chi è costretta a vendere il proprio corpo per strada, cedendo gran parte del proprio guadagno a organizzazioni criminali, e chi riceve i clienti in casa propria, selezionandoli e riuscendo a mettere insieme un reddito. Anche i media e le modalità sono differenti: c’è chi offre le proprie prestazioni sessuali su piattaforme virtuali, chi in locali con annesse performances in lap dance e chi in case o in auto affittate.

A dimostrazione delle forti ambiguità che si manifestano in tale fenomeno, basti pensare che il 20 settembre 1958 in Italia entra in vigore la legge numero 75, la legge Merlin (dal nome di Lina Merlin, deputata socialista e prima firmataria) che rende di fatto la prostituzione illecita, ma si limita a perseguire coloro che dalla prostituzione traggono profitto, lasciando impuniti chi si prostituisce e i loro clienti. Oggi sembrano sempre più palesi i limiti di tale legge (in Italia la prostituzione di per sé non è un reato, lo sono però il suo sfruttamento e l’istigare qualcuno a prostituirsi), come anche quelli degli altri modelli normativi presenti sul territorio dell’Unione Europea: dal proibizionismo croato alla legalizzazione tedesca e infine il modello svedese che carica di responsabilità i clienti.

Il mondo della prostituzione è uno sfaccettato caleidoscopio di cui ogni sfumatura nasconde una realtà differente, sommersa da dolori, costrizioni, percorsi di vita diversi ed estremamente complessi. L’aspetto più oscuro è quello che sfocia nella tratta delle schiave. Se infatti la forza lavoro è la qualità che viene richiesta agli uomini, le donne vengono sfruttate soprattutto dal punto di vista sessuale. Oria Gargano, presidente di Be Free, cooperativa sociale contro tratta, violenze e discriminazioni, si concentra su un tragico fattore scatenante: la miseria e la mancanza di prospettive nel paese di origine. Di qui subentra la drammatica decisione, da parte della famiglia, di spedire la primogenita in Europa per ottenere almeno un introito economico. Da qui il deserto e i lager libici, dove le ragazze sono torturate e violentate per mesi in attesa che una maman le chiami in Europa. Il continente è visto come un paradiso da raggiungere, il luogo dove finalmente sarà possibile ricostruirsi una vita e trovare un lavoro. Ma la realtà sbatte loro in faccia tutti i debiti contratti durante il viaggio che le porterà tra le strade, prede facili per le organizzazioni criminali. Elena è una ragazza di diciannove anni, proveniente dalla Bulgaria che ha così testimoniato per l’Associazione comunità papa Giovanni XXII (un’associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio fondata nel 1968 da don Oreste Benzi):

«Io sono stata venduta dai miei famigliari a una banda che mi ha portata in Italia. Dopodiché mi hanno venduta ad un’altra banda di rumeni che mi hanno chiusa in una casa per una settimana, mi hanno minacciata, mi hanno presa a botte, mi hanno obbligata a prostituirmi. Dopo questa settimana di inferno sono uscita sulla strada e dopo due-tre mesi sono stata presa con la forza dagli albanesi; mi hanno rapita, sono stata minacciata con una pistola puntata alla testa e con un coltello alle spalle. Mi hanno chiusa in una casa al buio, per un mese non ho visto la luce del sole, non ho avuto contatti con nessuno, sono stata violentata dai miei aguzzini. Ho visto portare in questa casa le ragazze che non volevano ‘lavorare’. Venivano picchiate davanti ai miei occhi. Una ragazza è stata ammazzata. Mi hanno mandata sulla strada. Dovevo portargli almeno mille euro al giorno.»

Dall’altro lato ci sono i fruitori di questo servizio. I clienti sono sempre molto difficili da inquadrare, poiché ricoprono una fetta sociale abbastanza eterogenea e, soprattutto, come possono essere etichettati? Sono semplici consumatori o dei veri carnefici? E se così fosse, quante responsabilità possono essere attribuite loro se nell’equazione il grosso viene fatto dalle leggi di mercato e dalle politiche pubbliche? Sebbene le profonde diversità che sussistono tra coloro che alimentano il mercato della prostituzione, la psicoanalista Simona Argenteri asserisce che da un punto di vista psicoanalitico è possibile rinvenire un denominatore comune: l’autoreferenzialità e il non riconoscimento dell’alterità. «Non riuscire a integrare dentro e fuori di sé i due livelli della relazione, quello primario dell’unione tenera senza conflitto e quello delle pulsioni irruente e disturbanti della seduzione e dell’eccitazione». Si tratta quindi di persone che pretendono di liberarsi totalmente di ogni responsabilità attinente all’atto sessuale e che hanno il solo obiettivo di sentirsi appagati, senza pensare ad alcun tipo di condivisione emotivo-sentimentale o al benessere di chi gli è accanto.

Alessia Sicuro

Alessia Sicuro
Classe '95, ha conseguito una laurea magistrale in filologia moderna presso l'Università di Napoli Federico II. Dal 2022 è una docente di lettere e con costanza cerca di trasmettere ai suoi alunni l'amore per la conoscenza e la bellezza che solo un animo curioso può riuscire a carpire. Contestualmente, la scrittura si rivela una costante che riesce a far tenere insieme tutti i pezzi di una vita in formazione.

1 commento

  1. Dott.ssa Alessia Sicuro,
    Ho letto con attenzione il suo articolo.
    Francamente non capisco il nesso tra il titolo dell’articolo ed il suo contenuto.
    L’articolo pone una serie di dubbi e di domande del tutto legittimi.
    Mi domando come sia possibile al contrario un titolo così perentorio e superficiale

    La ringrazio anticipatamente

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