sfruttamento della prostituzione
Immagine presa dall'articolo di Ottavia Spaggiari: «L'80% delle ragazze nigeriane sbarcate in Italia rischia di diventare vittima di tratta», datato 20/07/2017 su vita.it

La regolamentazione del mercato della prostituzione è uno dei cavalli di battaglia del programma di Salvini e del suo partito. Tuttavia, la campagna che ha accompagnato la proposta di riapertura delle case chiuse da parte della Lega apre degli interrogativi sui quali è impossibile non concentrarsi.
Si inizia chiedendosi se e in quale misura il fenomeno necessiti di essere regolato e si finisce per porsi domande più semplici, forse banali: quando possiamo parlare di sfruttamento della prostituzione? In cosa consiste lo sfruttamento in Italia? È comune? Cosa comporta il rapporto tra sfruttatore e sfruttato?

Ad aiutarci a costruire un quadro completo è intervenuta Marta, volontaria dell’associazione laica Casa dei diritti sociali di Roma.

Prostituzione e sfruttamento: due facce della stessa medaglia?

La prostituzione è la concessione di favori sessuali a scopo di lucro. In base alla Legge Merlin del 1958, in Italia la prostituzione in sé non è considerata reato, a differenza dello sfruttamento, dell’induzione e del favoreggiamento.

Lo sfruttamento, invece, è il reato commesso da chi approfitta dei proventi dell’attività di prostituzione di terzi ed è condannato dall’articolo 3 della legge n.75/58. A questi due fenomeni se ne aggiunge un terzo, quello della tratta: il trasporto coatto di esseri umani, che segue al rapimento o all’inganno della vittima, finalizzato allo sfruttamento.

I tre concetti sono collegati tra loro da un filo rosso che difficilmente è possibile spezzare. Quasi tutte le prostitute che lavorano in strada, che sia in orario diurno o notturno, sono vittime di sfruttamento o di tratta, mentre la maggior parte di quelle che non lo sono è perché hanno raggiunto l’autonomia dopo esserlo state.

L’associazione in cui Marta presta servizio opera solo in alcuni municipi di Roma, eppure il 60% delle ragazze a cui offrono assistenza è vittima di sfruttamento. Il restante 40% lo è stata in passato.

I numeri in Italia

Secondo recenti dati diffusi da Codacons, in Italia gli “operatori del sesso” sono 90.000, cui corrisponde un numero di clienti pari a circa 3 milioni. Della totalità di prostitute operanti nel nostro Paese, il 10% è composto da minorenni, mentre il 55% è costituito da straniere provenienti specialmente da paesi dell’Europa Orientale e dalla Nigeria.

«Le ragazze dell’Europa Orientale sono per lo più vittime di sfruttamento della prostituzione. A Roma, ad esempio, è alta la concentrazione in strada di donne romene tra i 20 e i 40 anni. Solitamente queste donne arrivano volontariamente in Italia con la convinzione di iniziare una nuova vita, il più delle volte accompagnate dal compagno o attratte dai racconti di un’amica che già lavora nel Bel Paese, e in seguito si prostituiscono consegnando una parte dei proventi allo stesso compagno o alla stessa amica», spiega Marta.

«La percentuale di ragazze nigeriane, invece, è composta interamente o quasi da vittime di tratta. In questo caso le ragazze vengono rapite o portate in Europa con l’inganno e costrette a prostituirsi per ripagare il debito di viaggio».

La combinazione di una serie di variabili fa sì che la Nigeria sia uno dei principali Stati da cui provengono le vittime di tratta. Parliamo di un Paese ad alto tasso di povertà, da cui le persone hanno necessità di migrare e per farlo si rivolgono ai trafficanti oppure vengono intercettate dagli stessi. Ad alimentare questo circolo interviene l’altissimo livello di corruzione di cui soffre la Nigeria, per il quale spesso sono le stesse forze dell’ordine a consegnare le vittime ai trafficanti.

Le misure di protezione del sistema italiano non sono abbastanza

Il problema fondamentale, per cui avrebbe forse senso discutere o meno della riapertura delle case chiuse, è che la protezione che viene offerta in Italia alle vittime di sfruttamento della prostituzione non è sufficiente a ridurre i numeri del fenomeno. Anzi, potremmo dire che è quasi inesistente.

Quella che descrive Marta è una situazione critica: «La maggior parte delle vittime non è a conoscenza di cosa è possibile fare a livello burocratico, legale e sociale per uscire dalla propria situazione».
Poche di loro decidono di sporgere denuncia e chi di loro lo fa si rivolge prima agli sportelli di associazioni laiche che ne garantiscono il supporto psicologico. Tuttavia, «la percentuale è bassissima».

Il sistema di protezione italiano non è efficiente. In primo luogo, perché non tiene conto delle difficoltà che si incontrano nel denunciare i propri sfruttatori. In secondo luogo, perché gran parte delle vittime di sfruttamento della prostituzione e di tratta è extra-comunitaria ed è impossibile non considerare che le politiche restrittive rivolte a chi non è cittadino europeo costituiscono un ulteriore ed enorme ostacolo, a discapito dei diritti umani sacrificati in tali condizioni.

Ludovica Grimaldi

Quotidiano indipendente online di ispirazione ambientalista, femminista, non-violenta, antirazzista e antifascista.

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