La dipendenza energetica che fa male all'Europa ma favorisce la Russia
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Uno dei più grandi problemi che l’Unione Europea sarà costretta ad affrontare nel breve e nel lungo periodo è sicuramente il rincaro del gas. Il rincaro delle bollette del 40% (con punte del 50% dal prossimo gennaio) deriva soprattutto dalla penuria della materia prima. Ma tale carenza non è figlia soltanto di una mera questione quantitativa, dato che su di essa incidono una convergenza di fattori internazionali che toccano la politica estera e la geopolitica e coinvolgono il principale fornitore dell’Unione Europea, la Russia. In fondo alla questione, infatti, c’è la delicata questione della dipendenza energetica che rende il continente fortemente condizionato dagli umori del Cremlino.

Quella in corso non è soltanto una crisi energetica, quindi. Non c’è dubbio che quest’estate i volumi di gas spostati dalla Russia all’Unione Europea siano diminuiti rispetto agli anni precedenti alla pandemia. Infatti, tra settembre e ottobre sono calati di circa il 17%, ma il fatto che la fornitrice Gazprom non abbia prenotato una capacità aggiuntiva di transito attraverso l’Ucraina, ha spinto le istituzioni europee a sospettare che Vladimir Putin abbia volontariamente favorito la penuria di gas nel vecchio continente.

Seppur da Bruxelles continuino a ridimensionare la portata dell’accaduto, è evidente che l’Unione Europea brancoli nel buio. La dipendenza energetica costringe i contendenti a cercare un dialogo continuo con il Presidente Putin anche quando questo si trasforma in concessioni e riconoscimenti politici che non fanno altro che rafforzare la sua posizione e la sua leadership. In questo caso alla base del dissidio c’è uno dei dossier geopolitici più scottanti degli ultimi mesi, la questione Gazprom-Nord Stream 2. La Germania ha di recente bloccato l’apertura del gasdotto per problemi burocratici (e per l’opposizione di Washington) provocando l’irritazione dei vertici dell’azienda energetica e quindi di Putin. La conseguenza è stata quella di ridurre le attuali forniture “inter-statali”.

In aggiunta c’è la questione Ucraina, un dossier che si trascina dal 2014 e che nelle ultime settimane ha conosciuto nuove tensioni. Tutto è nato da un rapporto dell’intelligence americana, la quale ha fatto sapere che Putin si stesse preparando ad una nuova invasione: sul confine russo-ucraino l’ex KGB ha schierato circa 150mila uomini e migliaia di mezzi pesanti. Una prova di forza non indifferente, indirizzata al Capo dello stato Zelenskyy, ai suoi rapporti con Washington e alla sua opposizione alla penetrazione russa nel Donbass.

I recenti sviluppi, dunque, non pongono soltanto un problema di dipendenza energetica, dato che i rincari sono soltanto l’ultimo dei problemi. C’è in gioco la dipendenza politica dell’Unione Europea. Non è un segreto che Putin e la Russia usino le risorse energetiche per perseguire obiettivi di politica estera. In questo senso il caso del Nord Stream 2 è emblematico per descrivere quanto a Bruxelles (e a Berlino) questo problematica non sia stata approfondita a sufficienza: in un momento in cui diviene necessario diversificare le fonti energetiche, la Germania ha deciso di legarsi ancora di più alla Russia.

Dipendenza energetica e geopolitica

Dando un rapido sguardo ai dati Eurostat, è possibile avere un quadro chiaro sugli assetti energetici dell’Unione Europea in termini di produzione, consumo e di importazione. Gli europei consumano più di quanto producono e per questo motivo hanno bisogno di importare dai Paesi terzi. In questo senso il gas risulta essere il secondo prodotto energetico più importato dopo il petrolio. Più della metà del fabbisogno energetico è soddisfatto dalle importazioni nette. Per quanto riguarda il gas naturale, l’UE si rifornisce per due terzi dalla Russia e (in minor misura) dalla Norvegia.

La divisione delle quote chiarisce ancora di più quanto il continente dipenda soprattutto da Putin: la quota di approvvigionamento russa si attesta attorno al 40%, quella norvegese a circa la metà, cioè al 18,5%. Queste percentuali mutano significativamente se le considerassimo in termini “di valore dello scambio“, cioè in share of trade in value, dato che il gas norvegese ha un costo notevolmente superiore rispetto a quello russo e ciò lo rende meno conveniente. Anche sul fronte del gas liquefatto, l’LNG, vale lo stesso discorso. I costi sono poco sostenibili, nonostante da tempo gli americani cerchino di penetrare nel mercato unico con questa alternativa.

I rischi economici, però, sono molto meno pericolosi rispetto a quelli geopolitici. L’imprevedibilità del flusso delle forniture, le quali possono essere aumentate o diminuite in base agli umori di Vladimir Putin, pongono la Russia in una posizione di forza rispetto ai partner europei. Secondo il sottosegretario polacco per il Clima, Adam Guibourgé-Czetwertynski, ci sarebbero segnali di una chiara manipolazione del mercato da parte di Gazprom, azienda monopolista nella fornitura del gas all’Europa. I timori del politico polacco hanno fondamento. In quelle stesse ore in cui il sottosegretario pronunciava la sua requisitoria, il Presidente Putin stava pronunciando un discorso che aveva il fine di calmare i mercati. Con un semplice “mettetevi d’accordo con Gazprom“, il prezzo del gas è sceso a 114 euro per megawattora – dopo aver toccato quota 150. Poche parole, ma sufficienti. Ed emblematiche.

La strategia di Putin e un’UE impreparata

Non è la prima volta che la penuria di gas e l’aumento dei prezzi rappresentano un problema per l’Unione Europea. Nel 2009, ad esempio, diversi Paesi rimasero a secco a causa di una disputa sui prezzi tra la Gazprom e Naftogaz, le due società monopoliste del gas e del petrolio rispettivamente di Russia e Ucraina. La storia si è ripetuta durante il primo conflitto tra i due stati per la Crimea, nel 2014, quando con il taglio delle esportazioni verso Kiev influì anche sui volumi diretti in Europa.

Dopo circa sette anni dal conflitto, le tensioni nell’Europa Orientale tornano a farsi sentire e, ora come allora, ad avere il famigerato “coltello dalla parte del manico” è di nuovo Putin. Sorprende, invece, il totale immobilismo delle istituzioni europee e delle singole nazioni circa la completa incapacità di provvedere a diversificare le fonti di approvvigionamento energetico. Diversificare la propria dieta energetica è una mossa geopolitica fondamentale per evitare inconvenienti, che periodicamente si verificano, e che costringono a riconoscere politicamente un competitor ambiguo e volubile come il presidente russo.

La Germania, la quale – senza mezze misure – è il perno della politica estera europea e ne decide la sua direzione ha investito molto sul Nord Stream 2, nonostante da anni l’Unione Europea abbia deciso di muoversi verso le fonti rinnovabili, e di recente ha deciso di chiudere le proprie centrali nucleari per concentrarsi sull’eolico e il solare, insufficienti a coprire il fabbisogno tedesco. Una prospettiva del genere andrà ad aumentare inevitabilmente la dipendenza dai combustibili fossili. E quindi la dipendenza energetica da Mosca.

Dipendenza energetica, Unione Europea e Russia
Il Nord Stream e il Nord Stream 2 (Fonte immagine Gazprom)

Dal canto suo, Putin ha deciso di eliminare altri inconvenienti, come quello di dover dipendere dagli umori – e dalle controversie – degli stati dell’Europa Orientale. Infatti, oltre a pagare i diritti di transito alle nazioni interessate, il presidente russo si trova periodicamente ad affrontare delle crisi, grandi e piccole, con i Paesi di confine. Diminuire il loro potere contrattuale è importante. Per questo motivo si rende necessario un corridoio come il Nord Stream che, attraversando il Baltico, arriva direttamente sulle coste del nord-est della Germania. Così facendo si diminuiranno i costi economici e, soprattutto, il potenziale di ricatto dei Paesi dell’Est.

Un punto di forza che sicuramente non può passare inosservato e che sta spingendo maggiormente i russi a giocare questa partita con il gas è sicuramente il contratto di fornitura. Gazprom privilegia i contratti di lungo periodo, i quali stabiliscono quantità, prezzi e tempi delle forniture fino a 25 anni, e che quindi danno a Mosca certezze sulle entrate. Negli ultimi anni, tuttavia, gli europei hanno preferito il “mercato a pronti” (spot market), con contratti di consegna a breve scadenza.

Nel 2018, il colosso petrolifero russo ha creato una piattaforma di vendita elettronica per integrare le forniture previste dai contratti a breve termine. Lo scorso agosto, Gazprom ha deciso di sospendere le vendite di gas in consegna nel 2022. Così facendo la società può affermare, in poche parole, di rispettare le scadenze stabilite dai contratti senza incorrere in alcuna sanzione, pur non rispondendo positivamente alle richieste di volumi aggiuntivi (non previste dai “contratti base”).

Alle difficoltà europee, ovviamente si accodano anche quelle italiane. L’Italia si trova costretta ad importare dall’estero oltre tre quarti del suo fabbisogno energetico, pari a 124,7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio nel 2013. Nel 2018, l’Italia superò la Turchia per la quantità di materie prime acquistate dal colosso russo Gazprom. Circa il 47% del gas acquistato dal Belpaese proviene da Mosca. Una situazione tutt’altro che idilliaca, nonostante il TAP, e che rende l’Italia uno dei maggiori importatori netti di energia d’Europa.

La dipendenza energetica rappresenta un grande problema per un continente sempre più affamato di energia e che sul futuro non ha assolutamente le idee chiare. La recente querelle sulla Tassonomia Europea ne è, forse, l’esempio più lampante. L’assenza di una strategia credibile e di lungo termine sulla questione energetica non farà altro che accrescere il potere contrattuale di Paesi ricchi di combustibili fossili ma politicamente inaffidabili. Una condizione che costringe l’UE a vivere in un limbo di perdurante instabilità.

Donatello D’Andrea

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