Ismea: Come cambia il consumo dei prodotti alimentari a causa del Covid-19
Immagine: youtg.net

Riferendosi alle prime quattro settimane di emergenza Covid-19 l’Ismea, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, ha redatto il “Rapporto sulla domanda e l’offerta dei prodotti alimentari nelle prime settimane di diffusione del virus“, un monitoraggio delle filiere agroalimentari che analizza l’evoluzione dei mercati durante la pandemia di Sars-CoV-2. La suddetta emergenza ha portato i consumatori italiani a cambiare abitudini: tali modifiche hanno inevitabilmente influito anche sui consumi dei prodotti alimentari.

Il settore agroalimentare ai tempi del Covid-19

Con l’attuazione delle misure restrittive anti Covid-19, entrate in vigore il 10 marzo, l’istinto e la poca saggezza dei consumatori italiani hanno fatto registrare i primi assalti ai supermercati per l’accaparramento di prodotti alimentari. Scaffali vuoti, prodotti introvabili, scene degne dei peggior film post apocalittici raccontavano lo stato d’animo di un’Italia a dir poco atterrita e confusa. Allo stesso tempo tale fenomeno sottolineava l’importanza di una buona gestione del settore agroalimentare, tra i meno colpiti dalla crisi economica dovuta alla diffusione del nuovo coronavirus.

Tuttavia non tutto il settore ha attutito il colpo inferto da tale tempesta economica. Florovivaismo e pesca, ad esempio, vedono il loro mercato crollare con il 100% dei prodotti florovivaistici destinati al macero e il mercato ittico che registra una riduzione del fatturato che arriva all’80%. Ma il fenomeno più rilevante riguarda l’azzeramento del canale Horeca (ristorazione collettiva privata e pubblica) che, secondo l’Ismea «Ha sottratto un canale di sbocco importantissimo per i prodotti di posizionamento alto e medio-alto (per esempio vino o formaggi) e che assorbe percentuali rilevanti dei flussi complessivi di export».

Ismea: Come cambia il consumo dei prodotti alimentari a causa del Covid-19
Fonte: ismea.it

I dati sui consumi finali inerenti le prime quattro settimane di emergenza indicano che c’è stata una tendenza all’approvvigionamento di prodotti alimentari conservabili. Inoltre i consumatori hanno preferito utilizzare la spesa on line (+97% nella seconda settimana di marzo) e acquistare prodotti di quarta e quinta gamma (ortaggi e pizze pronte) mentre il settore bevande ha fatto registrare un aumento sotto la media (+9%). «Nel complesso delle 4 settimane, è il Sud Italia a registrare gli incrementi più alti su base tendenziale: +21% nel cumulato delle 4 settimane con punte del 39% nell’ultima settimana; seguono il Nord Est con una crescita del 20%, il Centro (+19 % con il +30% nell’ultima settimana) e il Nord Ovest (+16%)», si legge nel rapporto.

Nel dettaglio nei principali comparti si registrano differenti situazioni. Se nella filiera suinicola l’emergenza Covid-19 ha comportato una riduzione del 20% della produzione, il mercato avicolo ha visto un aumento delle domande diventando così un settore privilegiato rispetto alle altre carni. Il settore lattiero-caseario ha visto un graduale rallentamento degli scambi commerciali mentre la filiera ortofrutticola risulta regolarmente attiva anche se difficoltà legate alla mancanza di raccoglitori (spesso stranieri tornati nei loro Paesi di origine) e al trasporto su gomme evidenziano le criticità che tale settore dovrà affrontare nel futuro prossimo. L’azzeramento del canale Horeca influisce negativamente nel campo vitivinicolo in cui, secondo l’Ismea, si potrebbe registrare una perdita di un miliardo di euro in esportazioni.

Prodotti alimentari: GDO vs. ambiente e piccoli produttori

«Tra le tendenze che hanno caratterizzato i consumi, Ismea segnala l’orientamento quasi esclusivo verso la Gdo, tendenza che si accompagna alla sostanziale e progressiva perdita di peso dei mercati rionali, spesso costretti a chiudere». A denunciarlo Slow Food, l’associazione internazionale no profit impegnata nella lotta per la produzione etica ed ecosostenibile dei prodotti alimentari. I decreti anti Covid-19 hanno di fatto favorito la grande distribuzione organizzata (GDO) e il modello agroindustriale intensivo che, come evidenziato a più riprese dalla Fao e da numerose altre organizzazioni, movimenti ed enti scientifici, contribuiscono al danneggiamento dell’ambiente.

I piccoli produttori si ritrovano quindi a combattere una lotta su più fronti: da una parte l’orientamento dei consumatori verso prodotti alimentari provenienti dall’agricoltura intensiva e distribuiti dalla GDO, dall’altra un mercato che, causa pandemia, si è ridotto notevolmente (basti pensare all’azzeramento del canale Horeca).

Citando Nelson Mandela «Pensare è una delle armi più efficaci quando si affrontano i problemi». Grazie alla passione per il proprio lavoro a una solida e attiva rete di relazioni commerciali, molti piccoli produttori di tutta Italia si sono prontamente riorganizzati, rispettando le norme di sicurezza imposte dal Governo. Dalla Lombardia, al Lazio, alla Sicilia: con la collaborazione di Slow Food cittadini e associazioni di tutta Italia si sono attivate per mettere in capo diverse soluzioni utili al riavvio del settore bioagricolo locale. In Puglia gli associati Slow Food possono acquistare prodotti alimentari grazie al paniere delle eccellenze, aiutando così le piccole realtà locali direttamente da casa. Simile esperienza quella campana, regione in cui il progetto “La chiocciola che resiste” offre una mappa grazie alla quale è possibile individuare i produttori della rete dei Mercati della Terra.

Ismea: Come cambia il consumo dei prodotti alimentari a causa del Covid-19
Fonte: facebook.com/SlowFoodPuglia

Tantissime le iniziative raccolte finora. Per SlowFood i prodotti alimentari originati da una agricoltura etica ed ecosostenibile dovranno essere al centro delle politiche agricole post coronavirus: «La nostra è la risposta a questa crisi sistemica che, se da un lato ci obbliga a evidenziare l’importanza e il valore essenziale della filiera agroalimentare, dall’altro ci fa perdere di vista il primo anello della filiera: i contadini. Ma è proprio qui, nelle campagne che troviamo le trame dell’identità culturale dei popoli, la tutela di ambiente e paesaggio, e quindi del pianeta. E siamo sempre più convinti che è qui che si debba guardare per ricostruire».

Come una mantra, sempre più spesso sentiamo ripetere la celeberrima frase “comprare italiano” senza capire che tale slogan rimarrà solo uno slogan fintantoché si preferirà la grande distribuzione organizzata. Il greenwashing messo in campo dalle aziende della GDO molto spesso induce i consumatori a credere che l’agricoltura intensiva possa essere in qualche modo rispettosa dell’ambiente. Niente di più sbagliato. L’agroindustria è allo stesso tempo artefice e vittima della distruzione della natura. Comprare dai produttori italiani servirà a poco se allo stesso tempo non si salvaguarderà l’ambiente da cui quegli stessi produttori traggono il proprio sostentamento. Per questo motivo questo patriottico slogan va necessariamente modificato affinché il “comprare italiano” diventi “comprare locale, etico ed ecosostenibile”.

Marco Pisano

Marco Pisano
Sono Marco, un quasi trentenne appassionato di musica, lettura e agricoltura. Da tre e più anni mi occupo di difesa ambientale e, grazie a Libero Pensiero, torno a parlarne nello spazio concessomi. Anch'io come Andy Warhol "Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare". Pace interiore!

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