A leggere l’intervista di stamattina a La Stampa di Matteo Renzi si rimane abbastanza esterrefatti. Come scrive bene Marco Sarracino sul suo blog, non si capisce se esiste una colpa e chi sono i responsabili di un’affermazione del PD non proprio convincente.  Sia chiaro, come si dice spesso, la vittoria ha molti padri mentre la sconfitta è orfana. Tuttavia, dalle parole del premier/segretario non c’è un cenno di autocritica rispetto al lavoro fatto dai suoi audaci riferimenti, né una qualche parola riguardo l’azione politica di questi mesi. Anzi, il segretario/premier quasi ha voluto dirci che se ha sbagliato qualcosa, è stato il non mettere tutti uomini suoi a “governare” il partito (poi basterebbe ricordagli che in realtà il 70% del partito è fatto proprio da renziani e che i vari Lotti, Serracchiani e Guerini non ci sembrano appartenere a componenti diverse).

Per responsabilità di tutti, abbiamo trascorso forse fin troppo tempo a “ragionare” di primarie sì o no, di forma partito, di cosa funziona meglio o peggio, leaderismo, ecc. Nel frattempo il Pd ha perso consensi e, insieme ad essi, un numero spropositato di iscritti. Certo, le regole non sono irrilevanti, caratterizzano la natura stessa di un partito, ma ciò che è mancato in questi anni, a mio modestissimo parere, è ben altro.

Le primarie vanno regolate, e molti sanno cosa ho sempre pensato, ma va regolato anche il tesseramento (non dimentichiamo che anche i congressi tradizionali hanno dato prove non proprio entusiasmanti, considerati i molti tesserifici); gli iscritti devono essere consultati non solo sui nomi, ma anche sulle cose che intendiamo fare e sulla visione comune che intendiamo rappresentare. Tutte questioni giuste, aspetti della vita democratica che sono sostanziali, ma che non interromperebbero la sfiducia crescente e l’emorragia che giorno per giorno si vive anche nelle realtà più virtuose.

Ciò che ha allontanato di più in questi anni è l’assenza di una chiara riconoscibilità del progetto e della visione del Partito democratico per il Paese: basta leggere i giornali e capire che ogni qualvolta un dirigente si esprime lo fa a titolo personale, basta andare in un qualsiasi circolo e scoprire che tanti militanti sono mossi da tanta energia ma anche stanchi dal non saper rispondere. “Il Pd deve ritornare nelle piazze e nelle strade” pontifica qualcuno, ed io mi dico “Ok. Ma per dire che? Facciamo da megafono al governo? o, piuttosto, cerchiamo di indirizzare l’azione di governo sulla base di un progetto autonomo e forte capace di confrontarsi con le altre forze politiche e avere consenso nel Paese?”

Il Partito democratico deve avere la forza di costruire e pensare all’Italia e l’Europa di domani, avere uno sguardo sui cambiamenti in atto nel mondo. Insomma, deve imparare a rispondere al più crudele degli interrogativi: cos’è il Pd. È su questo che noi possiamo riattrarre consensi e partecipazione disinteressata, piuttosto che su meri calcoli sul voto moderato (poi mi spiegherete cosa c’è di voto moderato nel 20% del M5S). Non serviranno altre convention su come riorganizzare il partito, servirà rimetterci tutti a pensare, a discutere, ricostruire un rapporto virtuoso con le realtà sociali e associative. È su questi presupposti che abbiamo la necessità di condurre la discussione, dal grande tema della cittadinanza e del lavoro che deve includere e non escludere; la globalizzazione ed i diritti; la lotta feroce alla criminalità organizzata e alla corruzione; il tema dell’ambiente e della sostenibilità; della cultura e della formazione; dell’uguaglianza e della giustizia sociale; dei diritti civili e delle libertà; dello Stato e dei suoi apparati burocratici.

Un partito democratico senza i necessari anticorpi e senza un perimetro di valori condiviso sarà sempre più la sommatoria di ceto politico e grandi potentati territoriali, ma non avrà la capacità di essere forza di cambiamento e i cittadini giudicheranno su questo. Non basterà offrire loro una migliore comunicazione, e non basterà commissariare qualche segretario. Occorre riaprire i termini e le condizioni del nostro stare insieme, occorre, insomma, avere meno cortigiani e più gente capace di pensare e incalzare.

Caro Matteo, ascolta qualche consiglio, facciamo tutti un bagno di umiltà, solo un PD forte e robusto nel suo pensiero e nella sua visione collettiva potrà salvarti da un inesorabile declino. 

Antonella Pepe

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