Violenza contro le donne: la situazione in Veneto e le richieste alla Regione
Foto di Katherine Hanlon, da Unsplash

Perché la necessità di approfondimenti in merito alla violenza contro le donne? Perché viviamo ancora in una società patriarcale dove le donne subiscono violenze fisiche, sessuali, verbali, psicologiche, sono danneggiate da disuguaglianze economiche, sociali, di genere che non gli permettono di esprimere al massimo il loro potenziale. Per questo, e per tanti altri motivi, c’è bisogno di una rete territoriale che sia di sostegno alla donne vittime di violenza maschile, che lavori sulla sensibilizzazione nelle scuole e tra i cittadini. È vitale, quindi, che le regioni italiane sostengano e contribuiscano concretamente alla nascita e allo sviluppo di centri antiviolenza e case rifugio affinché tutte le donne possano non sentirsi sole nella loro lotta. Nella regione Veneto, ad esempio, il numero dei centri antiviolenza e delle case rifugio attive è quarantaquattro. Ma c’è ancora tanto da fare per aiutare concretamente le donne vittime di violenza.

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Foto di Mélodie Descoubes, da Unsplash

Violenza contro le donne: le richieste d’aiuto durante il lockdown

I numeri che raccontano la violenza contro le donne non sono per nulla positivi rispetto a quelli degli anni precedenti. Anzi, con l’emergenza causata dal Coronavirus, le donne si sono trovate costrette a convivere 24 ore su 24 con i loro incubi casalinghi. Il fenomeno della violenza domestica in Italia ha proporzioni allarmanti. Nei primi giorni del lockdown, i telefoni dei centri antiviolenza (CAV) sono stati muti, poi qualcosa è cambiato. Infatti, secondo un’analisi, effettuata dalla rete D.i.Re, nel periodo dal 2 marzo al 5 aprile in 80 CAV del territorio nazionale, il numero di richieste di aiuto è aumentato rispetto ai dati disponibili per lo stesso arco di tempo nel 2018. Dalla ricerca emerge che 2.867 donne si sono rivolte ai numeri di supporto telefonico, con un incremento del 74,5% rispetto alla media. 

Mariangela Zanni del Centro Progetti di Donna di Padova, ha dichiarato a il manifesto

«Le prime due settimane c’è stato un calo drastico delle segnalazioni. […] Poi abbiamo fatto una campagna nazionale, richiamando l’attenzione dei media su questo tema, e dicendo che #noicisiamo e i telefoni hanno ricominciato a squillare». Se poi, a livello nazionale, alcune regioni si sono mosse per accogliere le donne vittime di violenza in strutture in disuso, – «Qui sul territorio del Veneto, non è stato avviato nessun dialogo in questo senso. Stiamo gestendo le situazioni di emergenza affittando delle case vacanza oppure, qui a Padova, pagando la stanza in un albergo sociale. Tutti i costi ricadono sui centri. Alcune donne, non avendo residenza perché costrette a cambiare comune o perché arrivate in Italia da poco, non hanno nemmeno accesso alle misure di sostegno economico varate dal governo».

Gli aiuti disponibili per le donne in Veneto

Dal 2013 anche in Veneto è stata approvata la legge “Interventi regionali per prevenire e contrastare la violenza contro le donne” che prevede, da parte della Regione, una serie di azioni volte alla tutela e al recupero di condizioni di vita normali delle donne vittime di violenza, oltre che tutte una serie di attività mirate al contrasto del fenomeno. A tal proposito, sono stati attivati centri antiviolenza e case rifugio in ogni provincia della Regione. L’ultimo report (consultabile a questo link), presente sul sito della regione Veneto, risale al 2019 e si rifà a dei dati raccolti nell’anno 2018. Sono 44 i centri antiviolenza e le case rifugio operative in Veneto. Inoltre, i primi hanno attivato degli sportelli in diverse aree della Regione, e il servizio è in crescita rispetto agli anni precedenti. Nel report si scrive:

«In Veneto sono residenti 2.509.236 donne (dato anno 2017) che possono accedere ai 22 Centri antiviolenza distribuiti nel territorio regionale: confrontando questi due dati, si può affermare che esiste un CAV ogni 114.000 donne residenti in Veneto. Questo dato è migliorato rispetto allo scorso anno […] Se si prendono in considerazione anche gli sportelli operanti (25), la fruibilità del servizio per le donne residenti in Veneto è in netto miglioramento rispetto alla scorsa rilevazione». 

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Fonte: Regione Veneto

Insomma, i dati forniti dalla Regione sono piuttosto positivi nonostante a novembre 2019 la Regione Veneto denunciava un ritardo nell’arrivo dei fondi da parte dello Stato. Con l’emergenza dovuta alla pandemia da COVID-19, sono stati stanziati dei fondi regionali e statali per provvedere all’aumento delle richiesta d’aiuto da parte delle donne, che però erano già quelli previsti ordinariamente per l’anno 2019. Infatti, Mariangela Zanni, consigliera D.i.Re per il Veneto, già ad Aprile evidenziava la necessità di un fondo ad hoc «perché i fondi ordinari servono a finanziare il minimo indispensabile dell’attività dei centri. Inoltre non tutti i centri ottengono questi fondi [..]».

Cosa si chiede ai futuri amministratori della regione Veneto

I centri antiviolenza del network di D.i.Re (la prima associazione nazionale italiana di centri antiviolenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne) e della rete Iris presenti sul territorio veneto, hanno pubblicato un appello ai/alle candidati/e che si confronteranno il 20 e il 21 settembre per la presidenza della Regione: 

«Vogliamo una Regione che si impegni ad abbattere le disuguaglianze e valorizzare il potenziale di genere. Chiediamo diritti, politiche e servizi volti alla prevenzione e al contrasto alla violenza. Il governo della regione che noi donne vogliamo non può prescindere dalla giustizia sociale ed economica. È un principio sul quale non siamo disposte a trattare. Giustizia sociale significa partire dalla lotta alle discriminazioni, contro le donne e contro le soggettività oppresse sulla base del genere. Per questo tutte le proposte politiche, nonché i programmi, devono considerare l’ottica di genere, ossia l’impatto che avranno le azioni che si andranno a effettuare sulla vita delle donne».

Si chiede ai/alle candidati/e di prevedere dei fondi che riescano a rispondere alle esigenze di tutti i centri antiviolenza presenti sul territorio, distaccandosi dai ritardi dei fondi statali, in modo da strutturare dei contributi economici certi e proporzionali al fabbisogno dei CAV. È necessario, inoltre, che la nuova amministrazione si impegni a garantire alle donne un percorso di uscita dalla violenza, aiutandola in diversi ambiti (lavoro, alloggio, genitorialità e salute). Promuovere la rete territoriale di contrasto alla violenza contro le donne e stimolare iniziative volte alla sensibilizzazione sul tema di cittadini, personale amministrativo, studenti e insegnanti; garantire una corretta rappresentazione di entrambi i sessi nei ruoli apicali e decisionali e utilizzare un linguaggio rispettoso delle differenze di genere e inclusivo, sono le altre esigenze a cui dovrebbe rispondere la nuova amministrazione regionale. 

C’è stata, poi, un’altra iniziativa partita dalle Donne degli Stati Generali del Veneto. Queste ultime hanno redatto un “Patto per le donne“, chiedendo ai candidati e alle candidate alle Elezioni Regionali di adottarlo, sostenerlo e concretizzarlo nel caso di vittoria alle elezioni. Il network femminile che si è occupato di scrivere il “Patto per le donne” coinvolgendo territori e istituzioni, lo descrive così:

«Si tratta in generale di sollecitare, attraverso il Patto, la partecipazione delle donne con azioni mirate, considerando le stesse soggetti capaci di agency, cioè capacità di relazione, di legami di prossimità, di micro decisionalità nel quotidiano che hanno esiti rilevanti nella costruzione di un modello di welfare di comunità in cui l’offerta di servizi appare strettamente connessa alle mutate caratteristiche del mercato del lavoro e di chi vi accede».

Le richieste da parte delle donne sono chiare e necessarie. Non si può più prescindere dal considerare i fenomeni per quelli che sono. La candidata italo-algerina alle elezioni nella regione Veneto, Assia Belhadj (già responsabile a Belluno del progetto Aisha per contrastare la discriminazione e la violenza contro le donne), è stata vittima di insulti e minacce quando ha annunciato la sua candidatura perché donna e musulmana. Assia Belhadj, in un’intervista a la Repubblica, ha dichiarato:

«La politica è vita. È necessario impegnarsi perché c’è ancora tanta strada da fare per arrivare a una società in cui le donne non vengono discriminate, come sta succedendo a me. Certo, mi attaccano anche perché sono musulmana e straniera. Non riescono ad accettare i nuovi cittadini e bisogna lavorare tanto sulla sensibilizzazione e sui progetti futuri per favorire il cambiamento interculturale. Una ricchezza e non un pericolo per la cultura italiana».

Federica Ruggiero

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