Violenza di genere: mappatura degli strumenti e delle strutture in Italia
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Secondo l’ultima indagine dell’ISTAT, risalente al 2014, una donna su 3 ha subito almeno un episodio di violenza nella sua vita, una dato che dimostra, come sostiene da sempre D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, che si tratta di un fenomeno strutturale e non di una emergenza contingente. Accanto a questo dato sconcertante, si rileva come le vittime non ottengano misure di protezione efficaci, anche adesso, in piena emergenza sanitaria, quando migliaia di donne che subiscono atti di violenza domestica sono costrette a restare a casa. Secondo quanto riportato nel  2019 dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), in base ad una ricerca Istat svolta nel 2017, sono in totale 338 i centri antiviolenza (CAV) e i servizi specializzati nel supporto alle vittime di violenza sul territorio italiano.
Ai centri antiviolenza nel 2017 si sono rivolte 43.467 donne, di cui il 67,2% ha avviato un percorso di uscita. Il 63,7% ha figli, nella maggior parte dei casi minorenni. Il 27% sono donne straniere.

I servizi offerti all’interno delle strutture sono di diversa tipologia: si va dall’accoglienza al sostegno psicologico, dal supporto legale all’accompagnamento verso l’autonomia abitativa e lavorativa. Meno frequenti sono, invece, i servizi di sostegno alla genitorialità, il supporto per figli minori o la mediazione linguistica. Per gestire le situazioni di violenza sulle donne, l’85,8% dei CAV è collegato a una casa rifugio.

Violenza di genere: mappatura degli strumenti e delle strutture sul territorio
Credit: Direcontrolaviolenza.it

La piaga della violenza di genere è purtroppo ancora molto radicata nella nostra società. Per far fronte a questa situazione, i profili organizzativi sono diversi e distribuiti sul territorio italiano, lavorando spesso in collaborazione con reti locali per l’erogazione di servizi.
Durante l’emergenza sanitaria provocata dal Coronavirus, i centri antiviolenza continuano ad assicurare sostegno alle donne che subiscono violenza attraverso strumenti come il numero verde nazionale 1522 collegato alle strutture di prossimità; questa fase specifica, per le donne vittime di violenza domestica, risulta peggiore perché costrette a restare in quelle case da cui vorrebbero scappare.
Tutti i CAV, infatti, si sono attivati per lavorare da remoto, riuscendo ad assicurare il lavoro di accoglienza e supporto alle vittime di violenza mediante iniziali contatti telefonici.

Come hanno dichiarato i consiglieri della Regione Campania Michele Cammarano e Luigi Cirillo: «I dati evidenziano che dall’inizio della pandemia e con il graduale intensificarsi delle misure di contenimento, le richieste di aiuto ai centri antiviolenza della Campania sono diminuite sensibilmente – e continuano – questo non vuol dire che il fenomeno si sia attenuato, ma che per le donne potrebbe risultare più difficile denunciare in quanto sotto stretto controllo dai conviventi».
Per questo sottolineano come, nel caso campano, la Regione debba monitorare che i CAV continuino la loro attività di sostegno. Nel mese di aprile, l’assessorato alle Pari Opportunità della regione Lazio guidato da Giovanna Pugliese ha reso disponibile un “contributo di libertà“, su richiesta delle donne provenienti sia dalle case rifugio che dai CAV e – più di recente – ha annunciato un dialogo con Ater per l’individuazione di nuovi alloggi per le vittime di violenza.

Nella regione Marche, come dichiarato dall’assessore alle Pari Opportunità Manuela Bora, dal 3 aprile 2020, grazie alla collaborazione con l’ASUR, è stata attivata una procedura per effettuare il tampone alle donne accolte in Casa Emergenza che non passano attraverso il Pronto Soccorso.
Dal 10 aprile è in fase di miglioramento anche una soluzione alternativa alla Casa di Emergenza, per gli alloggi delle donne vittime di violenza, positive alla COVID-19 e in quarantena.

Violenza di genere: mappatura degli strumenti e delle strutture sul territorio
Credit: ilfattoquotidiano.it

Il messaggio che si vuol dare alle donne è proprio quello della massima attenzione alle loro necessità, anche in un momento estremamente difficoltoso come quello che stiamo vivendo, per far capire che non sono lasciate sole con i loro aguzzini.
Questo perché, come sottolinea la presidente della Commissione Regionale per le Pari Opportunità delle Marche Meri Marziali, nei vari DPCM – atti ad arginare l’emergenza sanitaria -, «il problema della violenza di genere non è stato contemplato» ed è sorto solo in un secondo momento, su sollecitazione da parte dei centri antiviolenza, di associazioni come D.i.RE e di donne impegnate nelle istituzioni come Valeria Valente, presidente della commissione in Senato, che hanno lavorato con istituzioni e associazioni per evidenziale questa problematica.

In più, l’assessore alla Famiglia, Genitorialità e Pari Opportunità della Regione Lombardia, Silvia Piani ha evidenziato che «la violenza contro le donne non si ferma neanche in tempi di Coronavirus: anzi, dovendo rispettare la prescrizione di stare a casa, vittime e maltrattanti passano più tempo insieme». Ed è chiaro quanto questa situazione sia pericolosa perché «le case diventano prigioni» per le donne vittime di violenza domestica ed è, quindi, necessario che sappiano che è sempre disponibile un aiuto esterno.

La mappatura nazionale dei centri antiviolenza è ben strutturata anche in questo periodo di emergenza, ma per quanto riguarda il sostegno economico e i fondi stanziati, le difficoltà e le lacune sono maggiori e sottolineano come la strada sia ancora lunga.
Come si legge in un comunicato stampa della rete D.i.RE del 2019, i finanziamenti previsti per i CAV dovrebbero essere «destinati ai centri che rispondono alla definizione prevista dalla Convenzione di Istanbul, perché non basta aumentare i finanziamenti se non si verifica come e quando sono erogati, con che modalità le regioni li distribuiscono e che indicazioni arrivano dal Dipartimento Pari opportunità alle regioni».
«I fondi arrivano dopo molti mesi dall’inizio delle attività», aveva denunciato Mariangela Zanni, consigliera D.i.Re del Veneto, «e non sono uniformi i criteri con cui le regioni distribuiscono i finanziamenti».
«In Sardegna non c’è alcun controllo sui centri finanziati. In alcuni lavorano uomini, in altri operano direttamente dipendenti comunali. Alcuni vedono donne e maltrattanti», fa notare Luisanna Porcu, consigliera D.i.Re della regione Sardegna, sottolineando come questi metodi siano contrari alla Convenzione di Istanbul.

Per quanto riguarda, invece, la Basilicata, la Regione ha finanziato alcuni sportelli gestiti direttamente dai Comuni e una casa rifugio che non rispettano i criteri della Convenzione. «I soldi ci arrivano con sempre maggior ritardo e con il doppio passaggio Regione-Comune che ci penalizza non poco. Inoltre la retta di € 40 al giorno, sia per donna che per minore accolto, non ci consente una vera programmazione», afferma la consigliera D.i.RE Cinzia Marroccoli.

La regione Toscana ha approvato, nella legge di bilancio 2019, uno stanziamento aggiuntivo per ‘Interventi contro la violenza di genere’ di 205.000 euro l’anno per il periodo 2020-2022. Un impegno importante ma scarsamente mirato perché le risorse sono indirizzate in modo generico verso la prevenzione, sensibilizzazione, contrasto alla violenza sulle donne e sostegno che non riguardano nello specifico i fondi riservati ai centri antiviolenza. L’aumento dei fondi, che si è registrato su quasi tutto il territorio nazionale, soprattutto negli ultimi anni, è quindi un passo importante ma da calibrare e sviluppare meglio in linea con i riferimenti dati dalla Convenzione di Istanbul.

Violenza di genere: mappatura degli strumenti e delle strutture sul territorio
Credit: Controradio.it

Per contrastare la violenza sulle donne servono inoltre politiche integrate atte a prevenire, contrastare e sostenere le vittime e per far questo è necessario fare rete tra le diverse istituzioni e associazioni operanti nei centri antiviolenza.

Molte Regioni si sono mosse in questo senso: l’Emilia Romagna, ad esempio, già dal 2000 ha sottoscritto un Protocollo tra Regione, Anci Emilia Romagna, Upi Emilia Romagna e le Associazioni del terzo settore, come le Case e i centri antiviolenza, per porre le basi di una nuova modalità di lavoro, oggi conclamata, che richiede una grande interconnessione e una più forte collaborazione delle agenzie pubbliche, sia tra loro che con il privato qualificato. La regione Marche invece,  nel 2008, con la Legge regionale n° 32 avente ad oggetto “Interventi contro la violenza sulle donne” ha definito le funzioni della Regione; in Lombardia, nel 2019, i 12 sindaci delle Città metropolitane hanno aderito al Patto lanciato da ANCI “Per la parità di genere e contro la violenza”. Tutto questo per sottolineare come sia fortemente e strettamente necessaria la collaborazione istituzionale tra i diversi attori in gioco, per contrastare efficacemente e sostenere tutte le vittime di violenza che, purtroppo, ancora oggi, rappresentano un dato allarmante e che deve far agire per arrivare velocemente ad un contrasto efficace.

Le donne vittime di violenza di genere non sono sole, nemmeno in questa situazione di emergenza. Ma ancora più importante è il messaggio che deve arrivare al nostro Stato: la discussione e l’attuazione di un sostegno concreto ai centri antiviolenza partendo da un’adesione totale ed efficace della Convenzione di Istanbul.

Martina Guadalti

Quotidiano indipendente online di ispirazione ambientalista, femminista, non-violenta, antirazzista e antifascista.

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