Nel corso della modernità e attraverso i suoi prodotti letterari, storiografici e filosofici fa spesso irruzione la figura del mostro. Nel panorama culturale europeo che va da Rabelais a Diderot o ancora da Shakespeare a Mary Shelley i mostri sono indicati come sproporzionati o eccessivi come a indicare che la dimensione della modernità è troppo limitata perché contenga il loro straordinario potere creativo e la straripante soggettività.

I mostri rappresentano le forze dell’antimodernità e la loro rappresentazione non appartiene solo allo scenario culturale europeo ma anche a quello americano o africano. In particolare la loro rappresentazione è sempre associata all’esotico, al diverso e dunque all’elemento straniero. La figura del mostro, dunque, in epoca moderna e più in particolare nel contesto coloniale rappresenta un utile strumento per manipolare l’immaginario collettivo e legittimare il dominio sulle popolazioni cosìdette mostruose, terrorizzando la civiltà con esotici racconti riguardanti le atrocità dei cannibali in Africa o i roghi delle streghe che si verificarono in Europa e America e, dunque in seno alla civiltà, tra il XVI e XVII secolo.

In particolare ne La Tempesta di Shakespeare emerge la figura di Calibano, un mostro deforme; è un esempio lampante dell’immagine del nativo colonizzato e le sue sembianze sono orribili e minacciose. Il suo nome rimanda sia a un anagramma di “cannibale” sia a un’allusione ai caraibici, gli antichi abitanti delle isole dei Caraibi che furono sterminati durante la prima colonizzazione.

Il mago Prospero racconta che, nonostante avesse cercato di educare e civilizzare il mostro, è stato costretto a imprigionarlo dentro un albero dopo che egli aveva tentato di insidiare sua figlia Miranda. Secondo questa commedia di Shakespeare, dunque, la mostruosità e la natura selvaggia del nativo legittimano il potere dell’uomo moderno che tenta di assoggettarlo in nome della modernità e della civiltà.

Prospero, tuttavia, non può liberarsi o uccidere Calibano poiché, come egli dice alla figlia Miranda: “ Non possiamo fare a meno di lui, ci accende il fuoco, ci porta la legna e rende utili servigi”[1]. Il lavoro del mostro seguendo l’idea della dialettica servo- padrone di matrice hegeliana è considerato necessario e quindi egli deve rimanere all’interno della società dell’isola colonizzata dal mago.

La figura di Calibano rappresenta la figura delle lotte anticoloniali e della resistenza dei popoli sottomessi. Prospero gli insegna la sua lingua per esser compreso dopo aver reso schiavi tutti gli abitanti dell’isola e il mostro, ormai, lo maledice con quello stesso idioma augurandogli il contagio della “peste rossa”.

La cultura di Calibano è la cultura della resistenza. Egli dopo esser stato a lungo sotto la tirannia di Prospero riesce a liberarsi emancipandosi in primis da quella mostruosa immagine di inferiorità, sottosviluppo e incompetenza che Prospero gli aveva fatto interiorizzare.

Dal punto di vista di Prospero, il mostro incarna quello scontro dialettico tra ragione e follia, civiltà e barbarie mentre Calibano si considera dotato di ragione e risponde alle leggi della propria civiltà muovendosi attraverso un paradigma culturale diverso rispetto a quello del padrone e della sua famiglia.

Alessia Rosano

[1] W. Shakespeare. La Tempesta, atto primo, scena seconda.

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