Alle spalle della stazione ferroviaria di Mergellina, abbarbicata ai piedi del costone tufaceo di Posillipo, si estende il piccolo Parco Vergiliano a Piedigrotta: area stranamente sconosciuta, perfino ai napoletani, che racchiude importanti pezzi di storia e di cultura.

Pianta del sito
Pianta del sito

L’Edicola

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Edicola di Don Pedro D’Aaragona, 1668

Il timido ingresso non spicca subito agli occhi, ma, non appena varcata la stretta soglia del parco, l’atmosfera cambia. Un piccolo sentiero in salita ci introduce alla suggestività di queste poche centinaia di metri quadrati, e subito ci troviamo di fronte una grande edicola, con due lapidi distinte: l’iscrizione superiore esalta la bellezza dei Campi Flegrei e le proprietà curative delle sue acque termali, decanta le meraviglie del luogo ed informa sui lavori di restauro della Crypta Neapolitana, la grotta scavata nel tufo della collina di Posillipo a cui è inevitabilmente legato il parco; la seconda epigrafe, invece, enumera i primi dodici balnea che si incontravano dall’uscita della crypta fino alla Solfatara, descrivendone le virtù. Le due lapidi furono fatte apporre da Don Pedro D’Aragona nel 1668, impegnato nella restaurazione dell’acquedotto – chiamato anche Fontis Augustei Aquaeductus -; quella inferiore fu curata dal medico Sebastiano Bartolo, autore, sullo stesso tema dei benefici termali, della Thermologia Aragonia.

Il sentiero continua a salire, scosceso, sulle pendici della collina; e dopo aver girato l’angolo, accompagnati da fiori, alberi e arbusti tipici della flora campana descritti su piccole lapidi con esametri bucolici virgiliani e versi leopardiani, ci troviamo davanti un mausoleo marmoreo con una sola effigie a risaltare agli occhi: GIACOMO LEOPARDI.
La cronaca (o la leggenda) ha voluto legare eternamente il grande poeta a questo luogo, seppellendo i resti del grande poeta proprio in quest’oasi naturale adesso immersa nel caotico traffico cittadino.

La tomba di Giacomo Leopardi e il mistero della sua morte

Come sappiamo, Giacomo Leopardi arrivò a Napoli nel 1833 a causa del proprio declino fisico che gli imponeva un clima più salubre. Ad accompagnarlo l’esule antiborbonico Antonio Ranieri, conosciuto tra il 1827 e il 1828. Qui il poeta, trovando un lieve sollievo alle sue sofferenze fisiche (anche se non sempre in buoni rapporti con il popolo napoletano, che pare lo schernisse per la sua doppia gobba -toccarla aveva una funzione propiziatoria secondo le credenze partenopee), compone le sue ultime liriche, Il tramonto della luna e La ginestra. Dopodichè, la morte: il 14 giugno 1837, mentre nella città imperversava una gravissima epidemia di colera che aveva costretto il governo borbonico a provvedimenti straordinari, Giacomo Leopardi si spegne a casa dell’amico Antonio Ranieri a causa di una grave indigestione di confetti di Sulmona, trangugiati avidamente il giorno precedente durante i festeggiamenti dell’onomastico dell’amico.

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Mausoleo a Giacomo Leopardi

La cronaca vuole che Antonio Ranieri, dopo aver fatto benedire il corpo da un  medico agostiniano, impedì che il corpo dell’amico fosse gettato in una fossa comune per via delle severe norme igieniche del periodo a causa dell’epidemia, e grazie alla conoscenza del capo della Polizia e dopo aver corrotto il parroco della chiesa San Vitale Martire di Fuorigrotta, la salma del poeta fu lì seppellita. In seguito Ranieri fece costruire per il suo amico un decoroso sepolcro, e nel 1844 la cassa e una lapide furono collocate nel vestibolo della chiesa.
Nel 1897 il Parlamento dichiarò la sua tomba monumento nazionale, e solo nel 1900 i suoi resti furono riesumati per poi essere trasportati nel 1939 al parco Vergiliano a Piedigrotta.

La realtà dei fatti, però, è ben diversa: la versione del Ranieri (sulla cui testimonianza è basata la ricostruzione e l’attendibilità degli spostamenti della salma) perde di credibilità insieme alla pubblicazione del suo libro “Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi“, in cui infangava il suo rapporto con il poeta (descritto come un perenne bisognoso di cure, attenzioni e denaro) per difendersi dall’accusa di aver acquisito fama solo grazie all’amicizia con il Nostro. Inoltre sembra che Ranieri non avesse nessun rapporto con il ministro di Polizia, e quando il corpo del poeta fu riesumato nel 1900 non solo tra i resti mancava il cranio, ma anche le altre ossa risultavano incongruenti tra loro. Antonio Ranieri aveva fama di essere un famoso studioso di anatomia, e più di una lettera certifica che si fece spedire questo o quell’osso per poterlo studiare. Egli, dunque, potrebbe aver ben sostituito i resti del poeta con il “materiale” dei suoi studi, e le spoglie del Leopardi non siano riuscite a sfuggire al cimitero dei colerosi, di recente costruzione proprio per far fronte alle oltre 20mila vittime dell’epidemia.

La Crypta Neapolitana

Ma il Parco Virgiliano nasconde ancora altre bellezze e altri frammenti di storia. Continuando a salire lungo il viale, giungiamo

O se a Napoli presso, ove la tomba Pon di Virgilio un’amorosa fede, Vedeste il varco che del tuon rimbomba Spesso che dal Vesuvio intorno fiede, Colà dove all’entrar subito piomba Notte in sul capo al passegger che vede Quasi un punto lontan d’un lume incerto L’altra bocca onde poi riede all’aperto. (G.Leopardi, Paralipomen)
O se a Napoli presso, ove la tomba
Pon di Virgilio un’amorosa fede,
Vedeste il varco che del tuon rimbomba
Spesso che dal Vesuvio intorno fiede,
Colà dove all’entrar subito piomba
Notte in sul capo al passegger che vede
Quasi un punto lontan d’un lume incerto
L’altra bocca onde poi riede all’aperto. (G.Leopardi, Paralipomen)

all’ingresso della galleria chiamata Crypta Neapolitana, lunga 711 metri, larga 4, ed alta tra i 5 e i 20 metri. La crypta scavata nel tufo della collina di Posillipo, collega Mergellina (salita della Grotta) e Fuorigrotta (via della Grotta Vecchia), e da questa prendono nome i due quartieri di Napoli: Piedigrotta, al di qua e ai piedi della grotta, e Fuorigrotta, al di là della grotta.

La leggenda vuole che Virgilio scavò quella grotta in una sola notte grazie alle sue arti magiche, per facilitare il viaggio agli abitanti dei villaggi di Puteoli che venivano in città, evitando le curve tortuose e le irte salite della strada preesistente, la Via Antiniana per colles, che risaliva la collina del Vomero per giungere a Fuorigrotta. La leggenda era tanto radicata che il re Roberto D’Angiò pose scherzosamente la questione sulla sua costruzione a Francesco Petrarca durante un suo viaggio a Napoli, che rispose anch’egli ironicamente dicendo:

“Non mi è mai capitato di leggere che Virgilio fosse un tagliapietre”.

Ma la realtà sulla sua costruzione ce la racconta lo storico greco antico Strabone,  fu realizzata da Lucio Cocceio Aucto per volere di Marco Vipsanio Agrippa, come parte di una rete di infrastrutture militari comprendenti anche il Portus Iulius e altre gallerie simili. La galleria poi è orientata in modo tale che in occasione degli equinozi il sole fosse perfettamente allineato tra i due ingressi all’alba e al tramonto, così che in quei momenti la galleria, nella quale solitamente regnava un buio profondo, risplendesse invasa dalla luce naturale.

grotta di posillipoMa l’importanza della crypta non sta soltanto nelle leggende sulla sua costruzione, bensì anche nei numerosi culti che le sono legati. Secondo Petronio, nel I secolo era consacrata a Priapo, dio della fertilità, e in essa si svolgevano riti propiziatori ed orgiastici; riti che continuarono in età magno-greca con la consacrazione della grotta alla dea Afrodite.
Sotto la dominazione spagnola fu ritrovato un bassorilievo rappresentante Mitra Tauroctono tra il sole e la luna, datato intorno al III-IV secolo (attualmente conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli) che ha portato ad ipotizzare l’esistenza di un luogo di questo culto in qualche anfratto della grotta.
Ben presto, però, i riti pagani furono sostituiti da quelli cristiani, e nella crypta è ancora presente parzialmente un affresco della Madonna Odigitria, che diventò oggetto di una straordinaria devozione popolare fino alla costruzione della chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, davanti all’ingresso della crypta.

La tomba di Virgilio

Tomba di Virgilio vista dal soppalco
Sepolcro di Virgilio (colombaria)

Ed è proprio di fronte alla crypta che si eregge un monumento funerario posto ad un livello più alto rispetto a quello antico, meta antica di pellegrinaggio, fonte di antiche leggende nonchè ciò che dà nome al parco: la tomba di Virgilio.

Ha la forma di un colombario (con dieci loculi per urne cinerarie), assai ricorrente nell’architettura funeraria campana. Al centro vi è posto un tripode di metallo, ritrovato durante i lavori di restauro, nel quale tutt’ora i giovani innamorati danno fuoco a fogli di carta, per ricevere una benedizione sul proprio amore. E sul tumulo è inciso il noto distico che sembra sia fatto attribuire proprio a Virgilio morente.

Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces.
[Mantova mi generò (Virgilio nacque ad Andes, vicino a Mantova), la Puglia mi portò via (Virgilio morì a Brindisi), ora Partenope mi conserva (i resti di Virgilio sono a Napoli); ho cantato i pascoli (Bucoliche), i campi (Georgiche) e i condottieri (Eneide)]

L’attribuzione della tradizione del tumulo a Virgilio non può essere smentita, nè confermata. È certo, però, che è stata da sempre meta di pellegrinaggi anche di uomini illustri che l’hanno venerata, come Stazio, Silio Italico, Plinio il Giovane, Goethe ed altri.

Ma perchè legare eternamente Virgilio proprio a questo luogo? I biografi ci raccontano che il poeta, partito per la Grecia per un viaggio di studi, si sarebbe ammalato gravemente e poi deceduto a Brindisi, nel viaggio di ritorno, all’età di 51 anni, nel 19 a.C. I suoi resti furono trasportati a Napoli e raccolti nel sepolcro sulla via Puteolana presso la villa che aveva acquistato da Sirone.

Eppure c’è qualcosa di più di qualche osso conservato, che avrebbe mantenuto Virgilio ancorato alla terra partenopea 11280613_10205834408516797_1682445602_nnell’eternità dei secoli a venire. Perchè Napoli deve la sua poetica origine anche alla sua poesia.

Noi tutti conosciamo Virgilio, il poeta delle Egloghe, delle Georgiche, dell’Eneide; noi tutti conosciamo Virgilio, il grande maestro di Dante; ma conosciamo poco Virgilio Mago, che ha prodigato alla città diletta tra tutte, i miracoli del suo potere magico. Fu lui stesso ad esclamare:

Ille Virgilium me tempore dulcis alebat Parthenope…
[In quel tempo me Virgilio nutriva la dolce Partenope]

ed il nostro popolo non è mai stato ingrato alla memoria di questi versi. Egli fu colui che plasmò la mosca d’oro che scacciò la grande quantità di mosche che infestava la città; egli fu colui che asciugò le paludi stracolme di sanguisughe, che con i loro miasmi guastavano l’aria producendo pestilenze, febbri e morìe, e ne fece sorgere giardini, e l’aria divenne la più pura che mai si potesse respirare; egli uccise il serpente del Pendino che aveva morsicato adulti, bambini e ragazzi, e fu sempre lui a far fruttare il mare di una quantità di pesci innumerevoli, dopo che i pescatori di Porta di Massa si lamentarono della penuria della pesca.

Virgilio Mago fu amato, rispettato, idolatrato quasi come un dio, perchè la sua magia non fu mai malvagia, ma sempre a vantaggio della città e dell’uomo. E gli abitanti di Parthenope lo ringraziarono eriggendo un grande monumento, quello che sorge all’imboccatura della grotta. Ma non ebbero alcuna sicurezza di fatto il luogo e il modo e l’epoca della sua morte. Nulla si sa della sua morte: come Parthenope, la donna, egli scompare. Il poeta non muore.

E la città lo abbraccia eternamente.

Bibliografia

Matilde Serao – Leggende Napoletane
Angela Matassa – Leggende e Racconti Popolari di Napoli

Sitografia

Archemail, Napoli Archeologica: http://www.archemail.it/arche9/0napoli18.htm
D
icette o’ Pappice: http://www.dicetteopappice.it/2015/06/giacomo-leopardi-una-morte-che-si-tinge-di-giallo/

Camilla Ruffo

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