Le elezioni 2018 del 4 marzo scorso in Italia sono terminate nella nitidezza del “voto utile”, gli scenari del “voto ideologico” sono ben lungi da un panorama elettorale in cui l’unica priorità è la sopravvivenza: tra reddito di cittadinanza, flat tax e piani sulla gestione dell’immigrazione i cittadini hanno scelto chi più di tutti promette loro di non abbandonarli.

Se prima delle elezioni del 4 marzo le promesse elettorali miravano ad uno stato di welfare sempre più alto e quasi surreale, ora l’asta è scesa al ribasso. Vari leader si spingevano sempre oltre promettendo  (con lo stesso ardore di Ulisse intenzionato a superare le colonne d’Ercole) l’abolizione dell’Irap, del canone Rai, l’istruzione gratuita, pensioni fino a 1000 euro, redditi di natalità, c’è addirittura chi proponeva di conquistare un pezzo di Libia per risolvere il problema dell’immigrazione, insomma abbiamo raggiunto il non plus ultra dell’immaginazione umana: ma si sa che Ulisse fu collocato all’inferno da Dante, in quanto il troppo ardore conduce alla perdizione se non è mosso da virtù e di virtù negli attuali partiti politici ce n’è ben poca.

Dopo l’inondazione di promesse elettorali last minute, la fase attuale è la straziante attesa e le verosimili previsioni circa alleanze e larghe intese per raggiungere quella maggioranza necessaria per governare, che anche senza l’oracolo di Delfi e per quanto sia contorto il Rosatellum, era possibile prevedere che nessun partito avrebbe mai raggiunto. Di ciò e di molto altro i candidati erano ben coscienti: nonostante ciò si è corsi alle urne con un’opinabile legge elettorale e il risultato è che il voto dei cittadini è stato un voto non determinante ma orientativo, in quanto sono le mosse e contromosse degli esponenti politici in questi giorni a costruire il nuovo Governo.

Le elezioni, con tale legge elettorale, hanno semplicemente svolto la funzione di stabilire chi ha più voce in capitolo per sedersi al tavolo e giocare la partita a scacchi. D’altronde lo stesso De Mita in un’intervista per Che Tempo Che Fa ha affermato «Ora politicamente può succedere di tutto», poi ha concluso «la situazione politica non è drammatica, è tragica».

E se lo dice De Mita…

Da un lato il risultato delle elezioni è stato indubbiamente lo scacco matto per i residui della Sinistra istituzionale, così come per Berlusconi e per Renzi, chiaramente depennati dalla volontà popolare.

Renzi ha rassegnato le dimissioni dalla segreteria del PD: l’artefice dello sviluppo diacronico del modo di comunicazione politica (si è passati, infatti, dal linguaggio aulico e solenne della Prima Repubblica ai brevi tweet della cosiddetta Terza Repubblica) alla fine si è avvicinato ai cittadini con un linguaggio semplice ma che non ha convinto nei contenuti. Berlusconi per quanto cerchi di tenersi in forma non può negare la vecchiaia, tantomeno i numerosi procedimenti giudiziari e così dopo la campagna elettorale si riapre un capitolo che considerava chiuso, ovvero quello riguardante la compravendita dei senatori: rischia di pagare un maxi-risarcimento per “danno d’immagine subito dallo Stato”.

Sul carro dei vincitori salgono il Movimento 5 Stelle e il primo partito della coalizione di centro-destra, ovvero la Lega di Salvini. Altro dato emerso dalle elezioni è la netta linea di demarcazione tra Nord e Sud: un sud-Italia prevalentemente a favore del M5S e un nord-Italia prevalentemente a favore del centro-destra. Bisogna usare molta fantasia per credere nell’unità sentimentale ed economica dell’Italia, altrettanto sforzo di fantasia esige la convinzione che l’alleanza di due forze politiche così diverse possano attuare il famigerato interesse dei cittadini.

Le consultazioni sono lunghe ed ardue, in primis per il Presidente Mattarella cui spetta il compito di attribuire l’incarico di Governo, e in tale fase di pendenza è come se il destino di tutti fosse racchiuso nelle stanze di quel Palazzo. Inutile negare che la politica istituzionale influenza le scelte di tutti, volenti o nolenti, votanti o non votanti: ogni fatto personale è sociale e viceversa. Le decisioni prese nel Palazzo del Potere, per quanto opinabili ci possano apparire, sono l’ovvia conseguenza delle scelte cittadine attuali o trascorse: se la politica è lo specchio della società sarebbe meglio cominciare a credere che il problema in sé non è la politica ma gli uomini che la detengono.

Alla luce di ciò, in seguito alle elezioni, ci sono sempre vinti e vincitori: stavolta per chi suona la campana della sconfitta? Probabilmente per tutti: sicuramente per la Sinistra istituzionale, sicuramente per il partitismo di vecchio stampo, per la credibilità, per l’idealismo, per l’onestà politica, ma anche per i vincitori che si trovano a fare i conti con l’attuazione delle loro promesse eroiche. Per quanto intricato sia il labirinto politico esso sorregge le sorti del Paese e determina il vivere quotidiano, quindi caro cittadino lettore, nonostante tu ti astenga da responsabilità sociali ed elettorali, o riservandoti il beneficio della critica credi di poter analizzare le vicende politiche astrattamente come se si trattasse di un telefilm o di una partita calcistica, «non chiederti mai per chi suona la campana: essa suona (anche e soprattutto) per te» (John Donne).

Melissa Aleida

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