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Brexit: “Britain first” o Unione?

Edimburgo – Non si parla di Brexit oggi a Londra e nel Regno Unito. Le parti a favore dell’uscita e quelle a sostegno dell’UE piangono infatti la morte di Jo Cox, che avrebbe compiuto 44 anni nei prossimi giorni.

La deputata anti Brexit, acronimo coniato dai media che significa “Britain exit”, è stata brutalmente assassinata nel pomeriggio del 16 giugno, lasciando un marito e due figli piccoli. Un uomo di 52 anni è stato già arrestato con l’accusa di omicidio. Avrebbe gridato «Prima la Gran Bretagna» prima di colpire la donna con una pistola; un passante ha tentato di difenderla, rimanendo anche egli colpito, ma non sarebbe in pericolo di vita. Nonostante il trasferimento immediato all’ospedale di Leeds, la donna è morta dopo il disperato tentativo di soccorso.
La Cox, ex dirigente della Oxfam, un’importante associazione umanitaria, era attivamente impegnata a sostegno dell’Unione Europea ed in particolare dei migranti. Per ora ogni attività relativa alla pubblicizzazione del referendum resta momentaneamente sospesa.
La morte della deputata laburista rappresenta una profonda ferita per la politica britannica e per tutti quelli che credono ancora nell’Europa unita.

Nel paese monarchico per eccellenza, il valore dato alle consultazioni popolari è fondamentale per conoscere cosa pensa la popolazione, anche se nell’immediato non ne scaturiranno grossi cambiamenti.

David Cameron, l’attuale premier, non poteva rimanerne indifferente dopo che nella propria campagna elettorale aveva promesso di interrogare il popolo in relazione alle ingenti spese sostenute per l’Europa e soprattutto per i migranti, che continuano ad arrivare numerosi.
Uscire dall’Unione Europea per il Regno Unito non sarà facile e rinegoziare trattati e patti oramai siglati con gli altri Stati, in materia soprattutto economica e commerciale, sarà complicato e richiederà alcuni anni. Il sistema economico britannico gode attualmente di una forte stabilità, ma quello che preoccupa sono le merci d’importazione che, nel caso di una eventuale uscita dall’UE, aumenteranno in maniera significativa.

Lo stesso Cameron, gran parte del Partito Conservatore di cui fa parte, i Laburisti, i Liberali Democratici e il Partito Nazionale Scozzese si sono schierati contro la Brexit, a sostegno dell’unione degli Stati in Europa, appoggiando la lotta contro il terrorismo internazionale e gli affari relativi alle merci e all’energia.

Nonostante non sia una leadership, l’UE costa a Londra circa 350 milioni di sterline a settimana, soldi che secondo il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito, gran parte dei Conservatori e ben cinque ministri del governo di Cameron, potrebbero essere investiti in strutture pubbliche o per aiutare i cittadini in difficoltà. Inoltre, con i futuri ingressi nell’area Schengen di Romania, Bulgaria e Croazia, il numero di immigrati potrebbe aumentare notevolmente, con rischi ulteriori, sia sociali, sia economici.
Intanto, nel caso di vittoria del SÌ, centinaia di migliaia di cittadini europei potrebbero essere costretti a ritornare in patria, così come i cittadini del Regno Unito che attualmente si trovano in Europa, a meno che non saranno realizzate valide politiche in materia di visti e soggiorni. Potrebbero, inoltre, aumentare le importazioni di merci dal Regno Unito, come i medicinali o le automobili. Viceversa, gli inglesi pagheranno di più le nostre merci, con possibili svalutazioni iniziali della sterlina.

Anna Lisa Lo Sapio

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