Nicolo Ammaniti Fango
Fonte immagine di copertina: Pixabay

“Grottesco e sanguinario”, “Violento, ma geniale”, “Una lettura sicuramente efficace”. Così la critica etichetta Fango, una delle prime opere di Nicolò Ammaniti, pubblicata per Einaudi nel 1996. Una raccolta di racconti “lunghi”, simile a un romanzo “breve” a puntate, che fotografa la storia di una gioventù romana metropolitana, un po’ sbandata e anticonformista, fuori dagli schemi e dai pregiudizi, capace di passare dalle “feste in piscina”, ai “delitti mortali”, dalla spensieratezza al terrore, in poche semplici battute. Insomma, una messa in scena al limite tra l’horror e il grottesco, l’ironico e la commedia all’italiana, che rievoca quel linguaggio crudo e tagliente, cifra distintiva dello stesso scrittore Nicolò Ammaniti, che riapparirà, qualche anno più tardi, nel suo best seller Io non paura. Anche lì, stessa prassi stilistica: la narrazione emotiva si fa potenza linguistica, la parola azione immediata e la scrittura fonte e motivo di immedesimazione.

Nicolò Ammaniti in Fango descrive uno spaccato di realtà fuori da ogni norma, in cui lo straordinario prende il sopravvento sull’ordinario, e la lingua diventa cruda e spietata, perfettamente in linea con quel periodo di formazione “cannibalesca” di Ammaniti. “Cannibali“: così venivano chiamati gli scrittori che in Italia, verso la fine degli anni Novanta, avevano dato vita a un vero e proprio fenomeno letterario, sulla scia della pubblicazione dell’antologia “Gioventù bruciata“. Enrico Brizzi, Giuseppe Caliceti, Matteo Galiazzo, Aldo Nove, Isabella Santacroce, Tiziano Scarpa e Alda Teodorani, solo per citarne alcuni. Artefici di narrazioni sopra le righe, anticonformiste, ma sempre più ricercate e necessarie.

Tanto che lo scrittore, conduttore, comico e illustratore Daniele Luttazzi, andando un po’ controcorrente, arriva a dichiarare: “Fu un’antologia profetica: intellettuali come Mauri e Guglielmi la criticarono perché secondo loro conteneva una narrativa lontana dalla realtà italiana. Dopo qualche mese, l’Italia conobbe i casi del mostro di Firenze, del serial killer ligure, di Erika e Omar, dei satanisti lombardi”. Persino i libri, per il loro riuscito realismo, passano alla storia come “pulp”, rifacendosi al film di Quentin Tarantino “Pulp fiction”. E agli esordi, Nicolò Ammaniti è, a tutti gli effetti, voce importante di questo gruppo.

Tornando a Fango, la trama non si può certo definire “a senso unico”: è piuttosto un percorso lungo e turbolento, suddiviso in sei grandi-piccole storie, non necessariamente incatenabili. Il primo racconto, già emblematico dal titolo, è “L’ultimo capodanno dell’umanità“: una messa in scena dell’orrore tra manie e perversioni, che tra scelte personali errate e follie di gruppo, porterà al crollo della situazione. La narrazione di Ammaniti si concentra in modo particolare sulla notte di Capodanno alle porte del “Comprensorio delle isole” a Roma. Una delle giornate più attese dell’anno che si preannuncia fantastica, all’insegna di divertimento, spensieratezza e buon vino. Finché qualcosa non va storto, la vena violenta e grottesca torna a incombere sul destino: due ragazzi, sotto effetto di droga, fanno esplodere l’intero abitato, gettando della dinamite nella caldaia. E a salvarsi sarà solo, ironia della sorte, chi ha cercato in modo volontario la morte.

Rispetto”, il secondo racconto presente in Fango, è sicuramente il più crudo: dopo una notte passata in discoteca, alcuni ragazzi in preda ai fumi dell’alcol si danno allo stupro di gruppo, infliggendo violenze inaudite su tre ragazze ignare e conosciute quella stessa sera. ll perfetto ossimoro tra titolo e fatti narrati rievoca l’incisività stilistica di Ammaniti, che non solo scrive, ma plasma e persuade il lettore. “Ti sogno, con terrore” è il racconto che tiene più col fiato sospeso: una giovane ricercatrice, trasferitasi da poco a Londra, è ossessionata in sogno dal suo ex ragazzo. Verrà a sapere che in Italia è ricercato quale colpevole di alcuni omicidi seriali. Anche se la follia compie brutti scherzi e niente è come sembra: risulterà lei la serial killer. 

Lo zoologo” è la storia di un giovane studente che alla vigilia dell’esame di zoologia, ultimo prima della laurea, viene ucciso da tre naziskin dopo essersi intromesso nel pestaggio di questi ultimi nei confronti di un barbone. Grazie ai riti del barbone, conoscitore di antiche magie, l’anima dello studente ritorna nel corpo e lo trasforma in uno zombie. In questa nuova veste lo studente supera l’esame, si laurea e diventa un brillante ricercatore. “Carta e Ferro”, collocata penultima nell’indice di Fango di Nicolò Ammaniti, è invece la mini-storia di una disinfestazione fatta da un gruppo di uomini della Asl in un appartamento in cui vive una donna molto disturbata, rimasta affetta mentalmente dopo la perdita dei famigliari in un incidente stradale. Il continuo non è dato a sapersi, ma una certezza c’è: il post sarà un “bagno di sangue”. Infine, “Ferro“, il più positivo della raccolta: un uomo alla ricerca di sesso a pagamento finirà per capitare nelle mani di una famiglia molto originale, innamorandosi perdutamente di una donna condannata alla verginità a causa di alcune protesi. Così l’uomo e la “macchina” si uniscono in un amplesso e trovano l’amore. 

Insomma, in Fango lo stile narrativo di Nicolò Ammaniti è tagliente: sotto il profilo linguistico non si ricerca la “bella parola”, ma quella giusta ed efficace, in grado di essere quanto più incisiva possibile nelle orecchie e nel cuore di chi legge e ascolta. Il buon narrato lascia spazio a un linguaggio semplice e scorrevole, ricco di “slang” e turpiloqui giovanili. E sullo sfondo rimane la resa teatrale e cinematografica, la “fiction”, tanto cara ad Ammaniti: l’ironia mischiata a verità.

Il lettore dello scrittore romano non può permettersi di “leggere e basta”: in Fango, ad esempio, rimarrà sempre catturato dal vortice destabilizzante di follie, violenze e disagi. “Ammaniti ci fa vedere tutto; ma contemporaneamente ci fa un cenno con la testa: sí, è tutto vero ma, badate, bisogna che guardiate meglio… E chi se ne accorge, si diverte ancora di più”, scriveva l’accademico e critico letterario Alberto Asor Rosa, riassumendo nell’introduzione per Einaudi l’opera di una grande e “geniale” penna.

Marta Barbera

Marta Barbera
Classe 1997, nata e cresciuta a Monza, ma milanese per necessità. Laureata in Scienze Umanistiche per la Comunicazione, attualmente studentessa del corso magistrale in Editoria, Culture della Comunicazione e della Moda presso l'Università degli Studi di Milano. Amante delle lingue, dell'arte e della letteratura. Correre è la mia valvola di sfogo, scrivere il luogo dove trovo pace.

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