18 luglio 2015 – Fa caldo, temperature da bollino rosso; la Francia, l’Italia e l’intero mondo del motorsport si sveglia sotto una doccia gelata. Jules Bianchi non ce l’ha fatta. Il pilota francese, 25 anni, in coma dall’incidente dell’ottobre scorso a Suzuka, si è spento, durante la notte, nell’ospedale della sua città natale, Nizza. La vicenda dell’ ex Marussia parte da lontano, dalla passione, dal rispetto e dall’amore che ha sempre messo in campo per il suo lavoro. Un pilota composto e dalle credenziali enormi, che avrebbe presto visto i frutti del suo talento in una carriera che si prospettava decisamente in ascesa, ma soprattutto un ragazzo educato, gioviale. Di quelli che l’immaginario comune non riesce ancora ad affiancare accanto al titolo di “pilota di Formula Uno”.

L’annuncio è stato dato direttamente dai suoi familiari, alle 2.45, in un comunicato stampa che recita:

Jules ha lottato fino alla fine, come ha sempre fatto, ma oggi la sua battaglia è arrivata alla fine. Il dolore che proviamo è immenso e indescrivibile. Vogliamo ringraziare lo staff medico del CHU di Nizza che lo ha curato con amore e dedizione. Vogliamo anche ringraziare lo staff del General Medical Center nella prefettura di Mie, che ha assistito Jules subito dopo l’incidente, così come tutti gli altri dottori che si sono presi cura di lui negli ultimi mesi“.

Inoltre, ringraziamo i colleghi di Jules, gli amici, i tifosi e tutti coloro che hanno dimostrato il loro affetto per lui nel corso degli ultimi mesi; questo ci ha dato grande forza e ci ha aiutato ad affrontare questi momenti difficili. Sentire e leggere i numerosi messaggi ci ha fatto comprendere quanto Jules avesse toccato il cuore e le menti di così tante persone nel mondo“.

Vorremmo chiedere che la nostra privacy venga rispettata in questo momento difficile, mentre cerchiamo di fare i conti con la perdita di Jules”.

Le condizioni di Jules, in realtà, non sono mai cambiate da nove mesi a questa parte; proprio nelle ultime giornate, tra l’altro, il padre dichiarava che le speranze venivano meno con il passare del tempo.

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Gran Premio di Monaco 2014 – Jules Bianchi regala i primi due punti alla Marussia: è appena entrato nella storia.

5 ottobre 2014, Suzuka: l’incidente fatale di Jules Bianchi

La mattina del 5 ottobre 2014, a Suzuka, si disputava il Gran Premio del Giappone, con Jules in partenza dalla piazzola numero 20. La giornata si palesa drammatica fin dall’inizio, nel segno di condizioni atmosferiche avverse e del timore che un tifone si abbatta sull’autodromo. Difficile, col senno del poi, non contestare la decisione della direzione di gara, di lasciare – cioè – le vetture in pista fin quando al giro 43 Adrian Sutil esce di pista alla curva Dunlop. Ruspa e gru in pista. I commissari di gara decidono di esporre la doppia bandiera gialla, il regime nel nome del quale i piloti sono tenuti a rallentare e a mantenersi pronti in caso di arresto forzato. Decisione figlia del tentativo di salvaguardare lo svolgimento della gara e, al tempo stesso, la sicurezza; decisione infelice, perché a bordo di una vettura, in gara, finché non vi sia un impedimento categorico al loro passo, i piloti il piede non lo alzano mica.

Ancor di più in F1, dove quella del “trarre vantaggio” è la prima delle regole del pilota intelligente. Forse con qualche kilometro orario in più, sopraggiunge alla Dunlop anche Jules Bianchi. Il francese perde il controllo della sua Marussia e sbatte violentemente contro la ruspa, urto che diventa subito chiaro a tutti come un incidente mortale.

10556272_837266959654461_2126217116871203589_nLa gara si interrompe al 44esimo giro, vince Lewis Hamilton. Intanto, però, inizia la lunga battaglia del 25enne di Nizza.

Jules Bianchì fisicamente non riportò, nonostante l’impatto terrificante, lesioni fisiche visibili. Fu la decelerazione causata dall’impatto a causargli danni irreversibili al cervello. Il danno che riportò fu un “danno assonale”.

Sull’incidente venne aperta un’inchiesta, un vero e proprio caso che tira in ballo – prima su tutte – la direzione di gara, troppo morbida nel non aver avuto la prontezza di interrompere la gara. Quanto è accaduto a Nizza, nella notte tra il 17 e il 18 luglio. La morte di Jules Bianchi, ahinoi, è la chiara dimostrazione che in Formula Uno, nonostante tutti i progressi fatti in termini di sicurezza, il rischio è sempre dietro l’angolo. I piloti sono ancora gli eroi dei più, gli eroi delle domeniche davanti al televisore, gli specialisti del rischio e della velocità, con cui si vivono emozioni, sofferenze e momenti memorabili. Un pilota si misura al volante. Ad ogni giro svela una parte di sé, del suo carattere, dalla ferocia del leone all’astuzia della volpe. Ad ogni giro un pilota si conosce di più. Alcuni marcano il territorio, altri, invece, riescono a lasciare il segno anche se sotto i riflettori non amano starci (o non possono ancora starci), educati e professionali come pochi. Quei pochi che, per quello che possono, ci insegnano che aggrapparsi alla speranza che un giorno “gli ultimi saranno i primi” sarebbe troppo semplice. Che questa è solo la scusa del perdente. Che bisogna lottare, giorno dopo giorno, per un traguardo dopo l’altro. Che basta anche un millesimo di secondo, la più insignificante delle differenze, per raggiungere la vetta. Quella che ognuno di noi disegna in un modo, pensa in un modo e raggiunge in un modo. La più alta di tutte.

“L’automobile è un’espressione di libertà, e il rischio che stiamo correndo è quello di ammazzarci perché ce n’è troppa. Del resto, ci sono due modi classici di morire: di fame e di indigestione.” (Enzo Ferrari)

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Nicola Puca

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