Ci sono delle date che rimangono impresse nella memoria collettiva: l’11 settembre, ad esempio, ha detto al mondo che da quel giorno in poi nessuno si sarebbe più potuto sentire al sicuro, perché i terroristi, con il loro carico di odio, si erano dimostrati pronti a tutto, anche a sacrificare la vita per i loro ideali, distorti dal fanatismo e da un’interpretazione sanguinaria della religione.
Da quel giorno, il mondo ha assistito, impotente, a tante altre tragedie, anche in Europa, senza tuttavia poter paragonare, dal punto vista storico e politico, qualsiasi avvenimento successivo ai fatti di New York, che si può dire rappresentino il vero spartiacque nella moderna percezione del fondamentalismo islamico.

Gli attentati del 13 novembre a Parigi, invece, hanno molto in comune con gli attacchi agli Stati Uniti del 2001, non fosse altro perché i rispettivi presidenti, George W. Bush e François Hollande, hanno parlato di atti di guerra, a cui rispondere con forza e senza indugio.
Il presidente francese è stato, anzi, più sollecito dell’omologo americano, perché meno di 48 ore dopo gli attentati sono iniziati i primi bombardamenti dell’aviazione francese sulla città di Raqqa, in Siria, considerata il quartier generale dell’ISIS. Gli obiettivi del raid sono stati i principali posti di comando dell’organizzazione e uno dei campi di addestramento dei terroristi. E, al momento in cui scriviamo, sono in corso anche altre operazioni di questo genere.
Nel frattempo, il 16 novembre, Hollande ha tenuto un discorso molto chiaro e appassionato di fronte al parlamento francese riunito a Versailles, ma i destinatari del messaggio non erano solo i politici transalpini e le milizie dell’Isis, ma l’Unione Europea nella sua interezza, chiamata alle armi per costituire un fronte comune contro il nemico.

La richiesta ha una base giuridica, fornita dall’articolo 42 del Trattato sull’Unione Europea, contenente disposizioni sulla politica di sicurezza e difesa comune, che consente alla UE di avvalersi di mezzi militari in missioni al suo esterno, predisposte per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, laddove l’articolo 43 specifica che tali missioni possono consistere anche in azioni di lotta al terrorismo, anche tramite il sostegno a paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio.

A ciò si aggiunga, vero punto cruciale dell’intervento di Hollande, il testo del paragrafo 7 dell’art. 42, ove si legge che “qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”.

Il valore del discorso del presidente francese non si ferma alle ragioni giuridiche da cui prende le mosse, ma può essere eletto in chiave europeista, specie in un momento in cui fra i 28 membri predomina un certo scetticismo sull’opportunità di restare uniti. Il messaggio tocca delle corde mai sfiorate prima d’ora, e sposta l’attenzione su un attacco che non va più considerato come perpetrato dentro i soli confini francesi, bensì all’interno di quelli europei. Logico corollario di tale premessa è il principio per cui a dover essere protetti non sono più i confini delle singole nazioni dell’UE, ma quelli dell’Unione Europea stessa, considerata nella sua globalità.
In una Europa a tratti percepita come germanocentrica dai suoi stessi membri, dove tuttavia anche i singoli Stati hanno dimostrato a più riprese di non essere ancora in grado di ragionare in termini unitari, un discorso di questo genere potrebbe avere un effetto politicamente dirompente.

Ciò che si sta dicendo è, riadattando le parole di un altro famoso patriota, che “o si fa l’Europa, o si muore”, e questo non va più considerato un messaggio privo di contenuto, ma anzi, nell’idea di François Hollande, una presa di coscienza e insieme un invito all’azione che non può più essere rimandata.
A prescindere da quelle che saranno le reazioni dell’Unione Europea, si è trattato di un discorso fiero e persino coraggioso, basato su elementi concreti e dati di fatto, che potrebbe costituire una vera e propria svolta, tanto nella lotta al terrorismo quanto per le sorti dell’Europa unita.

Carlo Rombolà

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