Un piatto povero, ma ricco: la Fellata del Sabato Santo

Tra le città italiane più ricche di tradizioni e curiosità, Napoli rappresenta da sempre terra in cui il confine tra sacro e profano è messo continuamente in discussione. Incomprensibile e misteriosa per chi napoletano non è, con i suoi vezzi e aneddoti è realtà unica al mondo.

Anche in occasione della Pasqua, Napoli non può che distinguersi per le sue abitudini e folklore. E ciò è vero anche dal punto di vista gastronomico, argomento da sempre caro ai napoletani: il menù secolare continua a tramandarsi e guai a non rispettare le tradizioni.

Ovviamente non possono mancare sulle tavole napoletane l’imperdibile Casatiello e sua maestà la Pastiera.

Il “Casatiello” è da sempre tradizione del sabato santo: pasta di pane, salumi, uova, formaggio e decorato con uova sode; il piatto dei “ricchi”, che i poveri potevano permettersi solo a Natale e Pasqua (questo per l’abbondanza dei migliori formaggi e salumi previsti nel piatto). E poi la Pastiera, che va gustata durante la settimana santa: realizzata con ricotta, grano e uova.

Il giovedì santo è tempo di “zuppa di cozze”, rigorosamente piccante. Molti storici attribuiscono questa tradizione a Ferdinando I di Borbone. Il monarca era golosissimo di frutti di mare e pesce: pescava egli stesso e dava istruzioni in cucina su come prepararli. Si racconta che fu ammonito dal padre domenicano Gregorio Maria Rocco, che gli suggerì di mangiare in modo “povero” la settimana santa e di non cadere in tentazione. Il re, per non rinunciare alle cozze appena pescate, ordinò che il giovedì santo gliele servissero semplici: un po’ di salsa di pomodoro, peperoncino e pane tostato. Il gustoso piatto piacque così tanto da diventare addirittura tradizione.

Il Sabato Santo, invece, è il giorno in cui per antonomasia si consumano i rustici e gli affettati. Per tradizione si preparano il giorno prima, quello del digiuno e dell’astinenza della carne.

Tra i piatti da consumare il Sabato Santo spicca la Fellata, antipasto pasquale per eccellenza della cucina napoletana. Tre sono gli ingredienti base, che non possono assolutamente mancare in una “fellata” che si rispetti: uova sode, ricotta salata e salame napoletano. Un piatto freddo a prova di dilettante, che può essere preparato anche da chi non ha particolari propensioni in cucina.

Partendo dalle uova che, in quasi tutte le civiltà antiche, sono presenti come simbolo di rinascita. Il cristianesimo non ha fatto altro che caricare credenze antiche di significati nuovi. L’uovo, portatore di vita, è diventato il simbolo della rinascita di Gesù. Nella fellata le uova rimandano proprio all’attesa della Resurrezione.

Non può poi mancare il salame, ovviamente napoletano, simbolo di ricchezza e fertilità: è buon augurio e un modo per aprire i banchetti, in attesa della festa religiosa (e dopo una serata dove per tradizione si è consumata una cena povera).

Infine, la ricotta che dà la giusta contrapposizione di sapori con gli altri ingredienti e che dal punto di vista simbolico rappresenta il senso dell’unione e della famiglia per la sua consistenza e compattezza.

Il nome “fellata” deriva dal napoletano “fella”, che significa nient’altro che fetta, termini usati per indicare il modo in cui vengono affettati e disposti gli ingredienti nel piatto. Il salame e la ricotta vengono tagliati a “fette”, le uova a metà o a spicchi.

È consigliabile accompagnare la fellata con un bel calice di vino rosso e pane cafone, quello con la scorza dura per intenderci.

La “Fellata” è un piatto semplice, ma che, come nella miglior tradizione napoletana, è reso ricco dai suoi significati. E perché no il suo valore è accresciuto dalla possibilità del “riciclo”, come piace ai napoletani, magari proprio in occasione della tradizionale scampagnata del lunedì.

Qual è il piatto tipico pasquale a cui non riuscite proprio a rinunciare?

Vanessa Vaia

Vanessa Vaia
Vanessa Vaia nasce a Santa Maria Capua Vetere il 20/07/93. Dopo aver conseguito il diploma al Liceo Classico, si iscrive a "Scienze e Tecnologie della comunicazione" all'università la Sapienza di Roma. Si laurea con una tesi sulle nuove pratiche di narrazione e fruizione delle serie televisive "Game of Series".

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