favolacce film
favolacce fonte: mymovies.it

Dall’11 maggio è disponibile su diverse piattaforme on demand (l’uscita in sala è stata rimandata a causa della pandemia di COVID-19) la seconda pellicola dei Fratelli D’Innocenzo – Damiano e Fabio – Favolacce, vincitrice dell’Orso d’argento per la miglior sceneggiatura al Festival di Berlino di quest’anno (in concorso anche per il miglior film). Annunciato da alcuni come il “Parasite italiano“, Favolacce è un gioiello del cinema italiano contemporaneo per originalità, resa tecnica e resa narrativa, che lo rendono indiscutibilmente il film italiano più interessante di quest’annata e forse non solo. I Fratelli D’Innocenzo offrono agli spettatori un punto di svolta, una maniera diversa di fare cinema, che a lungo andare influenzerà i posteri.

Il microcosmo di Favolacce: la trama

Elio Germano in Favolacce. Fonte: welovecinema.it

«Quanto segue è ispirato ad una storia vera. La storia vera è ispirata ad una storia falsa. La storia falsa non è molto ispirata». E’ l’avvertenza del narratore (voce di Max Tortora), in chiave fiabesca, il quale trova un diario verde appartenente ad una ragazzina che viveva in un quartiere romano della medio-borghesia. Ella non è la protagonista, protagonista di Favolacce è il microcosmo della borgata, apparentemente tranquillo e monotono, ma che nasconde un’inquietudine angosciante. A questo mondo appartengono le famiglie protagoniste: Bruno (interpretato dallo straordinario Elio Germano) e Dalila hanno due figli dodicenni educati ed istruiti che in realtà nascondono un’evidente infelicità dovuta al carattere rabbioso dei genitori; la stessa prostrazione è vissuta da Viola, il cui padre è un uomo invidioso dell’apparenza altrui; Amelio vive in un camper con il figlio introverso (e diverso dagli altri) Geremia, rappresentando tutto sommato il genitore positivo tra quelli presentati. A queste famiglie infelici si aggiungono i personaggi di Vilma, giovane ragazza che aspetta un figlio dal suo fidanzato, e il professore Bernardini. Malvisto dai colleghi, egli sarà il mago Merlino della favola, colui che fornirà i mezzi necessari al dramma dei ragazzi, fino all’epilogo della tragica ribellione.

Apparenza e realtà: una non-favola

favolacce il film
fonte: mymovies.it

La dicotomia apparenza-realtà è al centro delle sotto-trame di una favola che di romanzesco ha ben poco, concentrandosi sull’emotività negativa dei singoli personaggi, a tinte acide e quasi espressionistiche, da poter parlare di tante favole rovesciate: delle favolacce, cioè inserite in un mondo stralunato, ma violento e folgorante per il suo estremo realismo. È attraverso quelle infelici pennellate che si costruisce il quadro della narrazione principale. Favolacce spesso desta allo spettatore un effetto straniante, suggerito dalla stessa regia che in modo strabiliante, attraverso un gioco di campi lunghi durante lunghi piani sequenza e inquadrature insolite, inserisce chi guarda non all’interno dell’azione, ma del contesto sociale di riferimento. Lo spettatore guarda attraverso una finestra, un punto apicale, una strada, punti così statici come le affezioni umane della borgata. Una staticità insolita che, combinata con una colonna sonora dal ritmo incalzante ed angosciante, lascia interdetti ed inquieti. La fotografia si staglia con colori caldi, in netta contrapposizione con la freddezza dei rapporti umani all’interno della pellicola; una fotografia che suggerisce quell’esigenza di calore affettivo tanto agognato dai piccoli protagonisti.

Favolacce e l’indifferenza italiana

Se Parasite ha rappresentato il parassitismo verticale tra classi lontane nella Corea del Sud di Bong Joon-Ho, Favolacce è una feroce critica all’autodistruzione tra classi orizzontali nell’odierna Italia. L’indifferenza ed il livore delle famiglie dinanzi i problemi altrui e degli stessi figli determina un logoramento di quella capacità autopoietica del microcosmo del quartiere stesso, portando ad una tragica fine che si ricollega in modo circolare al prologo. La notizia crudele trasmessa dal telegiornale all’inizio del film accompagna lo spettatore al suo termine, con la macchina da presa che si muove e punta su un sorriso, tanto macabro quanto risolutivo: il personaggio è straniato da tanto odio tra gli uomini, e sorride annullando quella negatività, così come la figura del saggio guarda dalla terraferma gli uomini travolti dalla tempesta.

Luca Longo

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