In questi giorni ho partecipato a diversi incontri con docenti, studenti, mondo della scuola. Pur avendo lasciato il liceo ormai sette anni fa, quando si parla di scuola in questo Paese e lo si fa in un certo modo, non possono che riaffiorare idee e sentimenti che hanno caratterizzato anni di militanza e rappresentanza studentesca.

Allora come ora, il problema viene sempre posto come tema di comunicazione, così fu ai tempi della Moratti per poi arrivare a Fioroni e alla Gelmini: sono sempre gli studenti o gli insegnanti che non capiscono di quali sorti progressive si discuta in quelle aule parlamentari. Eppure, se c’è un dato oggettivo, la scuola in questi anni è stata peggiorata.

Non è mia intenzione mettermi in cattedra o agitare gessetti colorati alla lavagna, ho troppo rispetto per chi quotidianamente svolge il lavoro di educatore. Mi piacerebbe semplicemente provare ad aggiungere qualche elemento di discussione, a partire dalla funzione cosiddetta costituzionale della scuola.

La scuola è innanzitutto uno strumento di emancipazione culturale e sociale: che sia nel centro città o in periferia, che sia in un contesto dinamico o degradato, la scuola pubblica deve in ogni caso assolvere a quella funzione costituzionale, ossia formare cittadini in grado di conoscere e avere strumenti in grado di farlo.

Nel ddl discusso ieri e approvato alla Camera non ci sono solo provvedimenti che riguardano il governo della scuola (alcuni interessanti ed utili altri particolarmente preoccupanti); in quel ddl, ed è ciò che contesto in primo luogo, c’è tutta la portata ideologica e culturale che ha caratterizzato gli ultimi 20 anni. È la perfetta continuità con quell’impostazione di chi dietro al “merito” e l'”autonomia” ha celato le peggiori disuguaglianze. Parlare di scuola in questi giorni non è più questione da ‘addetti ai lavori’. Siamo tutti coinvolti, tutti parte in causa, non come insegnanti, non come presidi, non come studenti né come genitori, non come politici. Ma come cittadini. E tutti, come cittadini, dobbiamo assumerci le responsabilità di una scelta.

Prima di tutto, occorrerebbe saper chiedere scusa agli errori enormi prodotti in questi anni e di cui la “sinistra” è in gran parte responsabile: la legge sull’autonomia scolastica, che con la modifica del titolo V della Costituzione che ha ‘regionalizzato’ l’istruzione, ha frantumato l’unitarietà del sistema scolastico, trasformando le scuole in ‘progettifici’ e accentuato differenze territoriali e culturali che, al contrario, la Costituzione chiede proprio alla scuola di livellare, per garantire le pari opportunità; il passaggio da direttore a dirigente scolastico senza alcuna differenza nei percorsi di provenienza, tanto è che si hanno dirigenti scolastici di liceo che provengono dalle scuole materne; la legge sulla parità scolastica, che ha dissennatamente assimilato le scuole private al sistema d’istruzione pubblico implicandone il finanziamento economico da parte dello Stato in spregio al dettato costituzionale, per arrivare all’aberrazione attuale che vede le scuole private paritarie finanziate ogni anno con centinaia di milioni di euro di denaro pubblico mentre quelle statali sopravvivono oramai solo grazie al contributo volontario, privato, delle famiglie.

Per quanto il testo uscito dalla Camera sia migliore di quello proposto rimangono tutti i nodi mai sciolti che sottenderebbero ad una vera riforma della scuola. Ben vengano iniziative come il Curriculum dello studente e la carta dei diritti e dei doveri degli studenti in stage, dopodiché mi piacerebbe che con la stessa forza con cui si rivendicano certi risultati, mi si spiegasse quale attività sociale può svolgere un ragazzino di un piccolissimo comune della provincia di Benevento che parte alle 6.00 del mattino per arrivare a scuola e ritorna alle 16.00 del pomeriggio a casa; quale attività fisica ed intellettuale si può svolgere nei palazzoni delle nostre periferie, tra cemento e ancora cemento.

Ci siamo riempiti la bocca in questi anni dell’uguaglianza delle condizioni di partenza senza mai interrogarci seriamente che le differenze più grandi stanno proprio lì, tra un bambino che per i primi cinque anni ha sentito parlare solo il dialetto ed un bambino che invece viene da una famiglia in cui si è parlato sempre e solo l’italiano, tra i contesti diversi di appartenenza. Insomma, su questo nemmeno una parola. È la retorica del merito che ancora una volta si fa gioco di territori, persone in carne ed ossa, opportunità.

Altro punto critico, il tema della valutazione. La logica della competizione, del valutare chi è più bravo, è un altro elemento che va in perfetta continuità con l’impostazione di questi anni: lo sviluppo della professionalità insegnante non è una gara. La competizione il buon insegnante la fa con se stesso e in cooperazione con gli altri, la fa ogni giorno negli occhi e nelle espressioni dei propri studenti e nelle aspettative dei genitori. Il rapporto tra il docente e la classe, inoltre, è un rapporto esclusivo che difficilmente un altro potrà valutare da fuori.

In ultimo, mi piacerebbe discutere della vera e unica possibile riforma della scuola di cui abbiamo veramente bisogno, quella dei cicli e della didattica. È profondamente incivile che a soli 13 anni si debba scegliere cosa essere da adulto, l’assenza di mobilità sociale dipende anche e, soprattutto, da questo. La condizione familiare è determinante nella scelta dei percorsi di formazione. In molti istituti professionali dover andare a scuola è un peso, è tempo sottratto ad imparare un mestiere che consentirà di vivere e di cominciare a farlo il prima possibile. Di questo non si trova alcuna traccia nemmeno nella discussione da parte del governo.

Mi piacerebbe, infine, cambiare radicalmente la scuola, renderla quanto più inclusiva possibile, capace di comprendere attitudini, ambizioni, talenti, punti di vista, capace di offrire strutture e strumenti adeguati ad accrescere le proprie potenzialità e far emergere il meglio che ognuno ha; mi piacerebbe avere una scuola aperta tutto il giorno in cui poter svolgere attività sportive, culturali, ricreative; mi piacerebbe che si capisse una volta per tutte che senza uguaglianza non c’è merito e che se non si crea uguaglianza non sarà mai possibile valutare il merito. Di tutto questo non c’è traccia, della #buonascuola, appunto, ancora non se ne vuole davvero parlare.

Antonella Pepe

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