Tra attese e speranze si risolve così oggi il caso del secolo, con un nulla di fatto o, giuridicamente parlando, con una prescrizione; dopo anni di battaglie scientifiche nei laboratori alla ricerca di prove, emotive per le strade, affinché non venisse persa la memoria di coloro che sono morti, rei da parte loro di aver semplicemente respirato e riabilitative nei tribunali per dare giustizia agli stessi.

Tutta questa sequela di azioni, persone, parole ed atti è arrivata all’epilogo, alla chiusura del sipario con le dichiarazioni del presidente della prima sezione penale della corte di Cassazione Arturo Cortese che ha accolto la richiesta del procuratore generale Francesco Iacovello nel portare alla cancellazione della condanna a 18 anni in secondo grado inflitta all’unico imputato, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny per disastro ambientale doloso permanente e omissione di misure antinfortunistiche.

Vergogna! ecco la prima manifestazione pubblica e ufficiale delle parti civili che da ieri presidiano l’entrata del tribuna a piazza Cavour, di certo il modo in cui è sopraggiunta la conclusione del più grande processo per reati ambientali di questo Paese crea un certo spaesamento, non assolto per l’insussistenza del reato né tanto meno condannato per l’esistenza dello stesso, un limbo giuridico, che agli occhi dei parenti o semplicemente di coloro che vivono nei pressi degli ex stabilimenti, è il più grande schiaffo morale che si potesse mettere in atto.

La colpa mossa e accertata nei due processi precedenti era che già negli anni 70′, a fronte delle prime analisi compiute il decennio precedente, i dirigenti della multinazionale sapessero che il materiale per costruzioni eternit fosse autore, attraverso le polveri di amianto inalate, di diverse patologie polmonari, tra le quali spicca una grave forma di cancro, il mesotelioma pleurico e che di fronte a questa tragica verità non fosse stato fatto nulla per il ritiro del prodotto o il miglioramento delle condizioni di lavoro e produzione, una realtà celata che è rimasta tale fino al 1994 anno di ritiro del prodotto dal commercio.

La prescrizione era stata maturata alla conclusione del primo processo nel 2012 che aveva portato alla condanna a 16 anni di reclusione per i dirigenti  Louis de Cartier e Stephan Schmidheiny, divenuti 18 con la condanna in appello; ora con tale sentenza la prima sezione penale della Cassazione ha anche condannato al pagamento delle spese legali l’Inps e l’Inail che avevano fatto ricorso per non essere state ammesse come parte civile dalla Corte di appello di Torino nel processo Eternit.

Ciò che rimane, ora che il palcoscenico è smantellato, sono le dichiarazioni delle parti in causa, così in merito alla sentenza parla un portavoce della multinazionale «La decisione della Suprema Corte conferma che il Processo Eternit, nei precedenti gradi di giudizio, si è svolto in violazione dei principi del giusto processo. Schmidheiny si aspetta che ora lo Stato italiano lo protegga da ulteriori processi ingiustificati e che archivi tutti i procedimenti in corso».  sul tema si è espressa anche Legambiente “Ci lascia sgomenti l’idea che vengano considerati prescritti reati legati a fatti che ancora oggi continuano a mietere vittime”. Al di là del chiacchiericcio e della notizia che potrà fare storia oppure no, nella giornata di oggi la vera ed unica sentenza la fanno le vittime con il loro dovuto e granitico silenzio che traspira in quelli che erano i loro luoghi di lavoro, di ritrovo e di vita, un silenzio che fa mancare il respiro a chi è stato in quei posti, un silenzio che opprime, un silenzio che ci guarda!.
Eternit è per sempre.

Dario Salvatore 

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