Caserta è Terra dei Fuochi, Terra di Lavoro dove il lavoro manca, Terra bruciata, Terra di lottizzazione e di abbandono, Terra di proteste e di promesse, Terra che alle elezioni politiche del 2018 vota M5S, ma solo perché rappresenta l’alternativa.

A Caserta e nelle province, come in tutta la Campania, il M5S ha fatto “cappotto”, dilagando soprattutto nei piccoli comuni: è stato il nuovo riferimento sociale nel quale riporre le speranze; ma definire la Terra di Lavoro ‘pentastellata’ sarebbe un azzardo storico e socio-culturale imperdonabile.

Per anni il panorama elettorale casertano è stato capeggiato da austeri partiti politici presentatisi sotto ogni forma e colore ma che hanno attuato, tra la docile maestria della persuasione nel farsi eleggere e tra l’accondiscendenza camorristica (pre e post-elettorale), gli stessi metodi di sciacallaggio territoriale a discapito di chi in quel territorio ci vive. Un territorio travolto dalle speculazioni e dagli abusi di potere che ha cercato riscatto nella travolgente linea politica tracciata e urlata dal Movimento 5 stelle: un movimento nuovo che parla di rabbia agli arrabbiati, un movimento che promette di assistere gli abbandonati e che quindi non poteva far altro che destare le speranze dei casertani assopite nella puzza dei rifiuti e nella puzza della disoccupazione.

La fiducia data ai pentastellati (che di per sé non prendono ideologicamente parte né a destra, né a sinistra) significa stanchezza e perplessità verso il passato, significa esasperazione, non è tanto un’identificazione quanto un voto di protesta.

Dato di fatto è la nemesi storica di una Sinistra istituzionale decaduta che non poteva oggettivamente godere della fiducia elettorale, che si è classificata addirittura dopo la coalizione del centro destra (il secondo partito più votato). Tuttavia a Caserta esiste un’altra sinistra popolare predominante da tenere in considerazione ma scardinata dal sistema istituzionale (dunque non computabile nei dati elettorali) che esiste quale retrovia d’idee e di denunce, che è un’effettiva forza ideologica nonché patrimonio culturale casertano: è la sinistra dell’anti-razzismo, dell’anti-fascismo, la sinistra popolare che nel territorio casertano c’è e c’è sempre stata e che impedisce una qualificazione pentastellata del territorio. Dai dati pubblicati da La Repubblica emerge che il 35% di coloro che nel 1987 votarono il Partito Comunista (Pci) sostiene il M5S: è chiaro che, se la sinistra ha dimenticato il suo ruolo e i suoi doveri, altri glieli hanno fatti ricordare classificandosi come primo partito italiano (anzi, movimento).

Altro punto a favore del preponderante esito elettorale sarà stata anche l’appartenenza del candidato premier Di Maio al territorio campano; in fondo, a furia di subire colonizzazioni ed invasioni straniere, la storia ci ha insegnato a stringerci nel patriottismo e nell’identità meridionalista. Magari sarà stato un segno di solidarietà, magari no; magari non ci sono analisi elettorali così complottiste. Magari è tutto più semplice e banale. Sta di fatto che nove pentastellati casertani ci rappresenteranno in Parlamento, 6 deputati e 3 senatori: Vilma Moronese, Danila De Lucia, Margherita Del Sesto, Antonio Del Monaco, Giuseppe Buonpane, Giovanni Russo, Marianna Iorio e Agostino Santillo. Altre rappresentanze parlamentari elette nel collegio di Caserta sono Sandra Lonardo (moglie di Clemente Mastella) e Carlo Sarro con Forza Italia, mentre il PD si aggiudica 2 parlamentari: Piero De Luca (ebbene si, proprio il figlio di Vincenzo) e Valeria Fedeli.

Il goal, lo scacco matto, l’asso nella manica a favore dei 5 stelle è stata, inoltre, la fine dell’era del Deluchismo a suon di procedimenti giudiziari per aver lucrato sulle emergenze rifiuti (come conferma l’inchiesta Bloody Money condotta da FanPage), la fine dell’era di Bassolino il cui sipario si chiude nell’indignazione popolare e nei danni erariali, tutto ciò ha permesso il trasferimento di una quota dell’elettorato del PD campano per lo più tra le file del M5S. Se la sinistra è rappresentata dal Partito Democratico e, dunque, da tali esponenti è evidente la ragion pratica per cui Caserta e provincia si siano dipinte di giallo, non perché il giallo sia un bel colore, ma solo perché si è presentato come il più pulito, ameno e contaminato da precedenti esperienze governative. Il 2018 è l’anno zero per la Sinistra istituzionale, da cui ripartire o in cui bloccarsi.

Il quadro generale può solo arricchirsi con le parole di Berlinguer che in un’intervista affermò:« La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. Ma poi, quel che deve interessare veramente è la sorte del Paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi: rischia di soffocare in una palude. Ma non è venuto il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio?».

C’è bisogno di una questione morale in politica che non si esaurisca nella bolla di sapone del populismo anestetizzante ed idealicida, c’è bisogno di un’epistocrazia (come direbbe Jason Brennan) ovvero “una democrazia degli informati”, solo così si potrà giungere ad una consapevolezza matura della realtà dei fatti: condizione imprescindibile per un buon voto, che altrimenti finirà con l’impelagarsi in una stagnante democrazia.

Melissa Aleida

 

 

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