Avete presente quel detto ”L’erba del vicino è sempre più verde”? Quella sensazione di perenne mancanza di mezzi e risorse rispetto agli altri, un continuo manifestare invidia per ciò che non si ha ma che si vorrebbe avere o per ciò che si ha ma che si crede che gli altri abbiano meglio. Ecco, noi italiani la conosciamo bene quella sensazione. Siamo rosiconi per natura: è così nella politica, è così nel sociale, è così soprattutto nello sport. Nel Calcio, specialmente.

Sono ormai passati quei tempi in cui eravamo consapevoli di essere i più forti, di perdere le competizioni per sfortuna, complotti – ogni riferimento a Byron Moreno è puramente casuale – o altre cause di matrice divina. Tanto sapevamo di avere più talento degli altri, anche dei brasiliani. Sì perché se nel giro di dieci anni hai visto indossare quella maglia azzurra a Baggio, Del Piero e Totti non puoi invidiare Ronaldo e Ronaldinho, anche se sono stati così sublimi da risultare irreali.

Viviamo nel nostro passato, e ricerchiamo i pezzi del nostro puzzle scomposto altrove, in qualcosa degli altri che possa ricordarci di quando eravamo dominatori della scena mondiale, tanto nelle relazioni inter-statali quanto nello sport. Tutto ciò, però, oscura la visione strategica del futuro, e tutto ci appare distorto: vediamo solo positività nelle dinamiche situazionali altrui, perché tanto “noi stiamo messi peggio di tutti“. E così, sotto un profilo meramente politico, agli occhi di noi italiani la crisi di governo appena superata risalta più degli scandali – con conseguente crisi – spagnoli, e il nostro governo lo facciamo apparire più disordinato di quello tedesco, dove Seehofer (Ministro degli Interni) ha minacciato la Merkel di rompere la coalizione, tanto per. Il calcio, però, in una società “pallonara” come quella italiana domina il dibattito pubblico, più di quanto le dinamiche politiche Salvini-centriche possano mai ambire a fare, e forse è proprio per questo motivo che noi italiani manifestiamo invidia nei confronti degli altri Paesi con maggior riferimento a questo specifico argomento rispetto ad ogni altra cosa.

Qualche mese fa, Giampiero Ventura si è reso artefice di uno dei più grandi fallimenti della storia calcistica italiana, ottenendo – in maniera più che legittima – insulti in ogni dialetto dello stivale per aver privato milioni di tifosi della gioia di assistere al Mondiale di Russia da protagonisti. Da quel momento gli accostamenti con le altre squadre si sono sprecati, facendo da accompagnamento alla damnatio memoriae perpetrata ai danni dell’ex tecnico del Torino – ovviamente, sempre in maniera più che legittima. Ciò che lascia perplessi è, tuttavia, l’incapacità del tifoso azzurro di guardare oltre la punta del proprio naso, e di riuscire ad essere ipercritico solo nei confronti di ciò che gli sta intorno, senza mai riuscire ad estendere la stessa impostazione critica anche nei riguardi del resto del mondo: come se noi fossimo la landa desolata alle pendici dell’eden, insomma.

I fatti, però, dimostrano tutt’altro. Assumendo l’esordio a vuoto dei Campioni del Mondo in carica e la perdita di brillantezza da parte di Spagna e Francia come condizioni temporanee, ciò che fa specie è dover assistere ad un’Argentina in piena crisi identitaria, nave in gran tempesta travolta dai flutti croati e dalla caparbietà islandese. L’Argentina è modello di calcio, el futbol, da sempre patria di straordinari talenti che hanno marchiato a fuoco la storia di questo glorioso sport. Uno in particolare. Forse due. Diciamo uno e mezzo. Perché forse uno dei motivi principali (ma non decisivo) del fallimento – almeno fino ad ora: “il calcio è strano Beppe!” – dell’Albiceleste va ricercato proprio nel fatto che nel passaggio trentennale da Quel numero 10 a questo numero 10 si è persa l’attitudine a fare la differenza in campo internazionale. Certo, Messi ha trascinato di peso i suoi al Mondiale, imponendosi come deus ex machina di un gruppo che avrebbe meritato la competizione meno di San Marino. La Croazia, però, non è la Bolivia, e l’Islanda, a differenza del Venezuela, è trainata dalla forza di voler dimostrare che l’exploit di Euro 2016 non è stato un caso, ma che dietro il suo miracolo c’è progettazione e talento. Lionel sta toppando, contrariamente a quanto accaduto ai gironi di quattro anni fa – quando, tuttavia, la luce si spense proprio sul più bello -, o specularmente a quanto accaduto ad un simbolo del nostro calcio in un caldissimo Mondiale iberico giocato circa 36 anni fa. Paolo Rossi portò l’Italia sul tetto del mondo praticamente da solo, dopo un girone disastroso, che premiò gli azzurri solo per il rotto della cuffia. Niente è ancora detto: la Nigeria ha regalato un assist importante alla Selección, agli Argentini decidere se sfruttarlo.

Messi “concentrato” prima dell’inizio di Croazia-Argentina, durante gli inni. Fonte: bbc.uk

Ciò che, però, rende particolarmente complicato intravedere uno spiraglio di luce dalla porta aperta dai Nigeriani è la presenza in panchina di un uomo dal gusto estetico particolarmente discutibile e dalle competenze calcistiche altrettanto rivedibili. E non si sta parlando di Giampiero Ventura. Strano a dirsi, perché a ben vedere i pareri dei tifosi italiani l’ormai ex c.t. azzurro sembrava essere la peggior sciagura capitata nel Calcio. Jorge Sampaoli non avrà tenuto Insigne in panchina in un momento decisivo, ma farlo con Dybala e Higuaín ed inserirli solo a partita compromessa, o convocare Willy Caballero e Pavón al posto di Rulli e Icardi, di certo non lo rende un tecnico migliore. L’Argentina avrà certamente limiti tecnici importanti, soprattutto se si guarda dalla cintola in su, ma l’incapacità di esaltare le qualità dei più grandi talenti presenti sulla scena mondiale, tutti concentrati sotto un’unica camiseta, inevitabilmente lo cataloga tra i flop di tutti i tempi. Le colpe di quello che, a prescindere da come andrà, è definibile come un fallimento su tutta la linea sono condivise, ma la volontà di un allenatore di voler ergersi a indiscusso protagonista di una storia che necessita di essere scritta da tutti allo stesso modo è imperdonabile. A prescindere da quante Copa América ha in bacheca.

E noi Italiani faremmo meglio a non guardare con aria di eccessiva ammirazione tutte le realtà altre dalla nostra, come se fossimo le vittime sacrificali di un processo fatale che in ogni caso porterà ad avere il “Giampiero Ventura” della situazione. Ogni Nazionale, ogni realtà politica, ogni realtà sociale ha un suo Ventura: un reietto, un leader mal riuscito, un modello negativo per gli addetti ai lavori. Una persona che con malizia o inconsapevolezza arreca danni ad un sistema, e che non ha il coraggio di scontare la sua pena.

Da oggi anche l’Argentina, da sempre rispettabile rivale e modello dell’Italia, ha il suo Giampiero Ventura, che siede, borioso, su quella panchina.

 

Fonte immagine in evidenza: ilbianconero.com

 

Vincenzo Marotta

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