«Oggi il consiglio dei ministri lo ha esteso per tre mesi», lo stato di emergenza, «questo implicherà alcune restrizioni alle libertà personali, ma questo è il prezzo da pagare per contrastare il terrorismo».

Le parole del presidente François Hollande spiegano ai cittadini francesi e al resto del mondo che lo stato di emergenza in cui versa la Francia giustifica e rende dunque accettabili «alcune restrizioni temporanee delle libertà».
Sino a pochi giorni fa, gli echi di censure e di divieti imprescindibili ai fini della sicurezza apparivano estranei, inconsistenti, remoti, un qualcosa che non poteva assolutamente esistere nella società odierna. Ad oggi, invece, la Francia di Hollande sostiene che si debba necessariamente violare le libertà personali, le stesse che consentono a ogni individuo di esprimersi e muoversi nel mondo, affinché possa essere possibile contrastare il terrorismo.
«La Francia risponderà al terrore con la forza della legge» sostiene il presidente francese, alludendo alla misura straordinaria rappresentata dallo stato di emergenza – forze armate, perquisizioni, coprifuoco, fermi, chiusura degli spazi di aggregazione, controllo dei mezzi di comunicazione rappresentano la reale consistenza della «legge» con cui si intende combattere il «terrore»; un emendamento prevede il blocco dei siti internet che inneggiano e giustificano il terrorismo. La Francia risponde alla guerra con la guerra, e si potrebbe cinicamente sottolineare che in guerra tutto diviene sacrificabile, finanche quelle libertà personali simbolo di Paesi in cui vigono “uguaglianza, libertà, fraternità”.

È giusto o sbagliato limitare le libertà personali? Ecco la domanda inevitabile, quella troppo eversiva per esser gridata e troppo importante per non esser posta affatto.

Le libertà personali di un cittadino libero sono, invero, inviolabili: ognuno deve poter disporre della propria persona senza limitazioni di sorta, senza restrizioni; da questo punto di vista è l’ipotesi che il Governo francese sguazzi nel torto ad apparire verosimile.
Tuttavia, esiste un altro diritto assolutamente inviolabile ed è quello alla vita, la cui tutela deve essere garantita dallo Stato, obbligato a utilizzare ogni mezzo a propria disposizione per la realizzazione di tal fine; da questo alternativo punto di vista lo stato di emergenza di Hollande rientra a pieno titolo nella categoria del giusto.

In fase di dibattito per l’approvazione o meno del prolungamento dello stato di emergenza, dall’Assemblea Nazionale è forse emerso il reale problema, quello che va al di là di concetti astratti quali “giusto” e “sbagliato”, ossia il rischio che la misura straordinaria diventi ordinaria.
Se difatti dinanzi alla barbarie sembra non esistere nulla di più importante del controllo – per comprendere, prevenire, difendersi –, dinanzi all’auspicato ritorno della pace esso potrebbe assumere il complesso ruolo di garante, nel presente e nel futuro, di questa serenità riconquistata.
Taluni deputati del partito dei Repubblicani, durante il dibattito sulla proroga, hanno avanzato la proposta di prolungare lo stato di emergenza per sei mesi anziché tre, probabilmente convinti che un intervento così invasivo debba essere accorpato a un lungo periodo.

Non è del tutto azzardata la preoccupazione che le restrizioni alle libertà personali possano passare dall’essere temporanee ad essere prolungate e infine definitive.

La Francia odierna, e assieme a essa l’intera Unione Europea, è corrotta dal terrore e dalla diffidenza; stretta nei propri confini, rafforza le serrature di tutti gli ingressi, sbarra le strade, presiede le piazze. Forse, neanche importa ai suoi cittadini delle libertà personali, forse a loro interessa solo sopravvivere a una guerra scoppiata in fretta e furia.
In un tale clima di incertezza e paura, drastiche misure d’urgenza e discriminazioni hanno tempo e modo di avanzare silenziose, e se le prime possono garantire nel presente più immediato la sicurezza, le seconde cibano quella rabbia che fa apparire tutto tollerabile – tollerabile sino a quando il pericolo sarà tangibile.

Oggi, le libertà personali sono «il prezzo da pagare» per salvaguardare i cittadini stessi, è auspicabile che domani non diventino la condizione necessaria per tutelare i confini nazionali da qualsivoglia minaccia.

Rosa Ciglio

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