La NATO mostra i muscoli in vista del vertice dell’8-9 luglio a Varsavia.

Nel corso di un incontro tra ministri della difesa tenutosi a Bruxelles poco più di una settimana fa il segretario generale Jens Stoltenberg ha infatti confermato le disposizioni dell’Alleanza già nell’aria da febbraio: quattro consistenti battaglioni multinazionali saranno presenti a rotazione in Polonia e nei Paesi baltici, e non viene esclusa un’operazione in Romania.
Tutti paesi situati al confine tra l’Europa orientale e la Russia, tutte missioni che si prefiggono il chiaro scopo di allertare le truppe di Putin.

Nonostante le dichiarazioni spesso concilianti di Obama – «Noi manteniamo un dialogo aperto e cerchiamo collaborazione con la Russia» – e quelle “pacifiste” del ministro degli Esteri russo Lavrov – «Ripeto: non cerchiamo lo scontro né con gli Stati Uniti, né con l’Unione Europea né con la NATO. Al contrario la Russia è aperta alla più ampia cooperazione possibile con i partner occidentali» –, la tensione tra le due superpotenze è evidente, e le nuove disposizioni NATO concretizzatesi a Bruxelles sono solo un’ulteriore pagina di questa epocale inimicizia.

Dai caccia russi che sfiorano le postazioni americane, alle mega esercitazioni come “Anakonda”, che ha fatto concentrare in Polonia circa 30.000 uomini e viene anche ben pubblicizzata su Twitter con un proprio hashtag, l’escalation di gravità di queste dimostrazioni di forza è palpabile, e sebbene le esercitazioni di ambo le parti vengano definite prettamente difensive (e lo sono), in realtà offendono eccome, soprattutto a livello mediatico.

Se a tutti sono noti i motivi del contrasto della Russia con gli USA, e quindi di riflesso con la NATO (crisi in Ucraina in primis), meno noti sono quelli del visibile aumentare della frequenza di queste schermaglie militari, oltre che dell’inasprirsi degli scambi diplomatici tra i due Paesi.

Se come detto in precedenza le cariche più in vista di entrambe le nazioni si sforzano di utilizzare toni pacati e inviti al dialogo, ci sono invece da registrare dichiarazioni dirigenziali ben più accese.

Curtis Scaparrotti, comandante delle forze militari NATO, non ha usato mezzi termini quando il 4 maggio ha parlato di «Resurgent Russia», vale a dire di una Russia che mira nuovamente a espandersi secondo modalità imperiali. Ma davvero la Russia sta preparando un’invasione dell’Europa? La domanda merita quantomeno una riflessione profonda, ad oggi assente.

I toni di gran parte delle narrazioni europee delle questioni orientali sono proprio quelli di Scaparrotti: Vladimir Putin viene descritto come un neo-Napoleone, senza che ci si interroghi veramente su cosa vorrebbe dire una guerra tra Russia e NATO per il Cremlino: presumibilmente la sua fine, o quantomeno un grande ridimensionamento. La crisi economica in cui versa la Russia appare infatti difficilmente reversibile, e una guerra dispendiosa è l’ultima delle preoccupazioni dei russi. Eppure la narrazione di Putin il conquistatore va avanti, e giustifica gli interventi NATO in Europa dell’Est.

Le cosiddette “misure di rassicurazione”, che la NATO ha disposto due anni fa, ovvero dall’inizio della crisi in Ucraina, diventano sempre più pressanti e definitive, mentre non viene considerato minimamente che le rivendicazioni attuali della Russia originano proprio dai rimedi adoperati dall’Alleanza, primo fra tutti il movimento di espansione del Trattato ai paesi limitrofi alla Russia.

Bulgaria, Romania e Turchia sono già membri NATO, e nel corso del vertice dell’8-9 luglio a Varsavia verranno probabilmente innalzate al rango di “Partner Associati” anche Ucraina e Georgia, paesi sui quali Mosca esercitava un’influenza storica.
La minaccia russa, dunque, permette alla NATO di stipulare nuove associazioni, e isola Putin in un risiko di tensioni crescenti.

Valerio Santori
(Twitter: @santo_santori)

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